Ciao
“fratello”
RAZZISTA.
Vuoi sapere perché i migranti non vogliono essere riportati
in Libia?
Una
lettera forte, cruda, in poche parole fotografa la tragedia e la
sofferenza dei migranti rinchiusi dei "lager"
libici. Un pensiero che
ha colpito tutti e per questo sta facendo il giro del web. Una lettera
scritta dall’attivista Nawal
Soufi che, razzista o no, dovresti leggere anche tu,
imparare a memoria
e aiutarci a diffondere.
Ciao
“fratello” RAZZISTA
Vuoi sapere perchè i
migranti non vogliono essere riportati in Libia?
Ok
Ti risponderò con delle
domande
Ti
è mai capitato di
violentare tua madre perché qualcuno ha il
fucile puntato
contro di te e contro di lei?
Ti
è mai capitato di
violentare tua sorella e di vedere nascere tuo figlio
dalla pancia di
tua sorella?
Sai
quanti figli di scafisti (e di trafficanti di uomini) abbiamo in
Europa?
Cioè, sai quante donne hanno
partorito al loro arrivo dei bambini non voluti?
Sai cosa significa mangiare un pezzo di
pane in 24 ore e vedere un pezzo di formaggino come fosse oro?
Ti
è mai capitato di fare i
tuoi bisogni dentro un secchio e davanti agli occhi di centinaia di
persone?
Ti
è mai capitato di avere
le mestruazioni e non poterti lavare per settimane o mesi?
Ti
è mai capitato di essere
messo all’asta e venduto come uno schiavo nel 2019?
Ti
è mai capitato di nutrire
tuo figlio con thè zuccherato e spacciarlo per latte?
Ti
è mai capitato di essere
picchiato a sangue perchè chiedi l’intervento di
un medico?
Ti
è mai capitato di essere
fucilato per colpa di uno sguardo di troppo?
Ti
è mai capitato di
svegliarti con le urine versate in faccia?
Ti
è capitato che qualcuno
ti aprisse il corpo con un coltello e mettesse subito dopo
del sale per
sentire maggiormente le tue urla?
Per tutti questi motivi, caro razzista,
ti posso classificare tra i criminali che hanno accettato un secondo
Olocausto.
- Nawal
Soufi -
Nawal
Soufi
Nawal
Soufi è una giovane
donna siciliana, nata in Marocco e venuta in Italia quando aveva solo
un mese. Ha salvato
decine di migliaia di persone dalla morte per
annegamento. Il
suo nome in arabo significa “dono”
La
missionaria della Consolata, in occasione della "Giornata mondiale contro la
tratta di esseri umani" torna a porre la luce su una delle
piaghe più gravi del XXI secolo che, come lei stessa
sottolinea, “ci
vede tutti coinvolti”
Contro la tratta di esseri umani.
L'impegno di Suor Eugenia Bonetti
“Quante
lacrime ho asciugato.
Quanta sofferenza ho visto a causa di quello che deve essere definito
un crimine contro l’umanità”
Così suor Eugenia Bonetti,
presidente dell’associazione Slaves no more onlus
(Mai
più schiave), racconta la sua esperienza di
“missionaria della strada” che la vede impegnata da
oltre 20 anni nella lotta alla tratta degli esseri umani, un fenomeno
che Papa Francesco
definisce “la
schiavitù
più estesa in questo XXI secolo”
La
Giornata mondiale
La tratta di esseri umani è un
crimine che vede 21 milioni di persone vittime di gravi abusi, tra i
quali il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale. Ed è
proprio per sensibilizzare la comunità internazionale sulla
situazione delle vittime e promuovere la difesa dei loro diritti che,
nel 2013, l’Assemblea Generale dell’Onu ha
proclamato il 30 luglio
la "Giornata
mondiale contro la tratta di
persone"
L’impegno
di suor Eugenia Bonetti
Era il 2 novembre del 1993 quando suor
Eugenia Bonetti incontrò Maria, una giovane donna che
bussò alla sua porta in cerca di aiuto.
“’Sister
please, help me!’
urlò. E io,
racconta la missionaria, di fronte a questo
grido mi sono sentita gelare. Ho visto le sue lacrime e da quel momento
non ho avuto più pace. È stato lì che
il Signore mi ha fatto capire che la mia missione era aiutare queste
persone”. Da quel giorno, infatti, la suora
anti-tratta non
ha mai smesso di lottare per liberare le donne dalla
schiavitù dello sfruttamento sessuale.
Le
schiave del XXI secolo
“Si pensa che la parola schiavo
appartenga ad un retaggio culturale passato. E invece, anche nel nostro
secolo, ci sono persone che vivono la loro via crucis sulle nostre
strade”, denuncia la religiosa sottolineando che
“davanti a
tanto dolore, il male più grande
è l’indifferenza dell’uomo che non fa
nulla per porre fine alle sofferenze di queste donne messe
lì sui marciapiede come fossero statuette di ebano”
Il
male più grande. L'indifferenza
“Tutti, come io stessa
all'inizio, tendiamo ad etichettare queste donne e a non occuparci di
loro. È un atteggiamento terribile perché con la
nostra indifferenza diventiamo complici dello sfruttamento”,
confessa suor Eugenia ricordando come anche il Santo Padre abbia
evidenziato la drammaticità di quella che lui stesso, nel
messaggio diffuso in occasione della giornata mondiale della pace, ha
definito “la
globalizzazione
dell’indifferenza”
Uniti
per spezzare le catene
“Solo lavorando insieme saremo
una grande forza capace di spezzare le catene della
schiavitù. Solo se uniti in comunione possiamo diventare la
voce di coloro che non ne hanno per gridare forte il loro dolore e
combattere le loro ingiustizie. Solo se ognuno di noi
romperà un anello allora la catena si spezzerà
automaticamente e nel mondo non ci saranno più
schiavi”
Dalla
polvere della strada alla maestà di San Pietro
“In questi anni, grazie
all'associazione, siamo riuscite a togliere dalla strada più
di seimila donne”. Tra queste
c’è anche
una giovane 18enne che “dalla
polvere della strada
è passata alla maestà di San Pietro”
“Questa giovane donna era incinta
e non aveva più legami con la sua famiglia. Non voleva far
sapere a sua mamma quello che stava vivendo. Con il tempo siamo
riuscite a convincerla ad andare via dalla strada e a contattare sua
mamma che, quando le parlò al telefono, la
rassicurò dicendole che un bimbo è sempre un dono
di Dio. Adesso questa ragazza è una donna e vive felice con
il suo bambino. Tempo fa ha ricevuto il battesimo da Papa Francesco e
per me è stata una grande gioia perché non
c’è nessuno che non sia degno di essere chiamato
figlio di Dio”
"Spezzare
le Catene"
La battaglia per la dignità delle donne
Edizioni
Rizzoli, 2012
Nel
libro è raccontata anche la mia vicenda personale di schiava
sessuale. Devo a Suor Eugenia Bonetti molte cose, tra le
quali il
coraggio della libertà, il recupero della
dignità, un sorriso ritrovato.
La
scorsa settimana una vasta operazione della squadra mobile di Teramo ha
eseguito sei misure cautelari. Arrestate
4 mamam e un italiano che affittava gli appartamenti. Una
sesta donna nigeriana è sfuggita alla cattura e viene
ricercata.
Bonifica del Tronto.
Operazione contro la mafia nigeriana, coinvolto anche un
fiancheggiatore italiano
Dodici
le ragazze nigeriane sottoposte a sfruttamento che sono state liberate
e affidate ai servizi sociali
A conclusione di una complessa
attività di indagine sulla tratta di esseri umani, lo
sfruttamento ed il favoreggiamento della prostituzione ed il
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina condotta dalla
Squadra Mobile di Teramo diretta dal V.Q.A. Dott.ssa Roberta Cicchetti
con il coordinamento della Procura Distrettuale di L’Aquila
nella persona del Sost.
Proc. Dott. Mancini David e con
l’applicazione del Sost.
Proc. Dott. Giovagnoni Stefano, la
scorsa settimana e stata data esecuzione all'ordinanza applicativa di
misura cautelare, emessa dal G.I.P. del Tribunale di
L’Aquila, nei confronti di 6 persone con la quale
è
stata disposta la custodia cautelare in carcere nei
confronti di 4 donne
nigeriane e la
misura degli arresti domiciliari
nei confronti di un
cittadino italiano. È ancora da eseguire
un'altra misura applicativa della custodia cautelare in carcere a
carico di una donna nigeriana al momento irreperibile.
Sei
persone sottoposte a misure di custodia cautelare, 5 donne nigeriane e
un italiano
I reati contestati a vario titolo agli
arrestati sono sfruttamento
della prostituzione, tratta
di esseri
umani, favoreggiamento
dell'immigrazione clandestina, e riduzione in
schiavitù.
Le 4
mamam
tratte in arresto sono:
Solomon
Elizabeth Rashidat nata in
Nigeria il 12.10.1978 residente a Martinsicuro,
Obanor
Vera nata in Nigeria il
01.10.1975 residente a Martinsicuro (TE),
Adam
Succes nata in Nigeria il
17.06.1987residente a Martinsicuro (TE),
Osazuwa
Kate nata in Nigeria il
01/04/1984 residente a Monsampolo (AP).
Il
destinatario italiano della misura
cautelare degli arresti domiciliari per favoreggiamento della
prostituzione è Di
Sabatino Gerardo nato a Teramo il
03.11.1957 ed ivi residente, rispettivamente proprietario e
comproprietario di due degli appartamenti di dimora di giovani
prostitute nigeriane.
Dodici
ragazze nigeriane salvate
Le
indagini, corredate da
attività tecniche, sono state avviate dalla Squadra Mobile
di Teramo monitorando costantemente la zona della strada
“Bonifica
del Tronto” allo scopo di interrompere il
costante flusso di giovanissime donne nigeriane, reclutate in patria
con la promessa di un lavoro in Europa e poi fatte giungere
clandestinamente attraverso disperati viaggi lungo la rotta
mediterranea, sottoposte a riti woodoo a garanzia del pagamento del
debito per il viaggio (pari
25.000 o 30.000 euro) ed, una volta
arrivate in Italia, costrette con violenza, minacce a prostituirsi
consegnando i proventi a chi le aveva reclutate in patria ed ai loro
referenti in Italia.
Nel
corso
dell’attività investigativa sono state individuate
ed identificate ben 12 giovani vittime dimoranti in 5
appartamenti di
cui 4 ubicati a Martinsicuro (TE)
ed uno a Monsampolo del Tronto (AP)
affittate dai rispettivi proprietari alle loro connazionali
destinatarie delle predette misure cautelari in carcere.
In
particolare, si è accertato
che Solomon Elizabeth
Rashidat, Obanor
Vera e Adam
Successsfruttavano
la prostituzione delle giovani donne nigeriane ospitate in casa
in
quanto ne percepivano i proventi ed in molti casi costituivano un vero
e proprio terminale di supporto dell’organizzazione nigeriana
che ne aveva curato il reclutamento, sottoposte ai rituali juju in
Nigeria e quindi il viaggio in Italia.
Si
accertava che alcune delle vittime si
trovano ancora in una condizione di assoggettamento totale
a Osazuwa
Kate che le costringe a prostituirsi per estinguere il
loro debito,
picchiandole e minacciandole di procurare del male ai loro familiari in
Nigeria.
Il
percorso di assistenza alle giovani
vittime ha consentito ad alcune di loro, nel corso delle
indagini, a
raccontare tra le lacrime, a personale della Squadra Mobile di Teramo,
la storia di drammatica vulnerabilità vissuta fin dal
momento del reclutamento ad opera dell’organizzazione in
Nigeria, a Benin
City, con la promessa di un lavoro e di un futuro
migliore, fino in Italia.
Ad
esempio, si narra specificamente della
conduzione del rito da parte di un uomo anziano chiamato Witch Doctor a
garanzia del pagamento del debito di 25.000 euro contratto per il
viaggio, pena, in caso di mancato pagamento, la sua morte e ritorsioni
verso i propri familiari. I
singoli casi sono in realtà
storie condivise da molte vittime.
Una
delle vittime, partita
nel marzo del
2016 da Benin City con altre persone, dopo aver
attraversato il Niger,
arriva a Tripoli 8 giorni dopo. La donna racconta che una compagna di
viaggio aveva perso la vita durante il percorso, picchiata per le
continue pretese di denaro è caduta dal pick-up, sul quale
viaggiavano ammassati.
Dopo
essere stata trattenuta per oltre due
mesi in abitazioni vicino a Tripoli, in cui vi erano molti
altri
connazionali in attesa di intraprendere il viaggio verso le coste
italiane, la vittima parte a bordo di un barcone dalle coste libiche,
arriva in Italia nel luglio 2016. Subito dopo viene “presa in
carico” dalla mamam Osazuwa Kate che la
costringe a
prostituirsi.
Le
indagini proseguono
Le
indagini proseguono per monitorare
fenomeni analoghi che rappresentano una violazione della
dignità umana e dei diritti fondamentali, oltre che un mezzo
di realizzazione di profitti elevati per la mafia nigeriana, che non
può essere in alcun modo tollerato.
Ancora un sanguinoso attacco
dell'organizzazione terroristica islamista nigeriana di Boko Haram nel
Nord Est del Paese africano. Un gruppo di uomini armati
hanno fatto irruzione durante un funerale sparando contro gente inerme,
donne e bambini compresi.
Nigeria. Boko Haram
fa strage ad un funerale, spari sulla folla. Almeno 65 morti.
Sono
almeno 65 le vittime ma il bilancio
è in continuo aggiornamento. Almeno una decina
i feriti in
gravi condizioni. Sono arrivati bordo di motociclette, jeep e pickup
armati con mitragliatrici pesanti. L'attacco, avvenuto sabato 27 luglio
verso mezzogiorno, si configura come il più
grave sferrato
contro civili dall'inizio dell'anno.
I
terroristi islamici di Boko Haram sono
tornati a colpire in Nigeria, facendo irruzione ad un
funerale e
sparando sulla folla. Almeno 65 morti, ma il bilancio dell'attacco,
raccontano dei testimoni alla Bbc, potrebbero essere molti di
più. L'attacco
è avvenuto in un villaggio nei
pressi di Maiduguri, capoluogo dello stato settentrionale
del Borno.
Hanno sparato a
raffica sulla folla colpendo anche donne e bambini.
Secondo diverse fonti, si sarebbe trattato
di una rappresaglia nei confronti degli abitanti del villaggio che
avevano respinto un attacco di Boko Haram nell'area due settimane fa.
Sconfitta
militarmente sul territorio dopo
la proclamazione dello Stato Islamico di Nigeria da una coalizione di
eserciti che, oltre a quello nigeriano, comprendeva anche quelli del
Niger, del Camerun e del Ciad, la
sanguinaria setta ha ricominciato una
escalation di attacchi nella sua tradizionale zona di influenza,
il
nord-est della Nigeria, dopo avere esteso la sua guerra
anche ai vicini
Niger, Ciad e Camerun.
In
10 anni di terrorismo, Boko Baram (nome
che vuol dire «l'educazione occidentale è
peccato») ha
provocato la morte di decine di migliaia di
civili, (si
parla di 25.000 civili uccisi in dieci anni) e almeno due
milioni e mezzo di sfollati, ha rapito centinaia di
ragazze
convertendole forzatamente all'islam e dal 2015
è indicata
come l'organizzazione terroristica più sanguinaria al mondo
dal "Think
tank Institute for
Economics and Peace"
Che muoiano
pure lì, che tornino indietro, che affoghino, basta che non
arrivino qui
I
grandi promotori del Decreto
Sicurezza,
pensato e voluto per fermare in ogni modo il soccorso in mare, hanno
avuto oggi il loro sacrificio umano: 150 persone, tra donne uomini e
bambini, sono naufragate e affogate al largo di Khoms, a 120 km a est
di Tripoli.
Persone,
non numeri o rifiuti.
Persone
che
tentavano disperatamente di fuggire dall'inferno della Libia, dai campi
di concentramento dove subiscono abusi di ogni tipo, dove devono
assistere agli omicidi, agli stupri, alle torture fatte su madri,
padri, figli.
Il
Governo Italiano ha dunque la
strage
che vuole oggi, a
disposizione, per rappresentare ciò che
costituisce il
vero obiettivo di un Decreto che non riguarda la
sicurezza di nessuno, che non ha a che fare con le urgenze
di questo
paese, che non porterà maggiore ordine e maggiore
stabilità.
Il
Decreto è l'ennesima
triste
pagina di una escalation contro chi osa provare a salvare una vita in
mare. Perché si deve sapere, tutti lo devono
sapere, che
quella gente, quei bambini, possono pure morire tra le onde, possono
marcire in uno stanzone putrido senza cibo e acqua, possono urlare dal
dolore che viene impresso nel loro corpo, ma assolutamente, non
devono
provare ad arrivare in Italia.
Che
muoiano pure lì, che
tornino indietro, che affoghino, basta che non arrivino qui
"Sono calati
gli sbarchi",
dirà
l'epigono contemporaneo della banalità del male. "Niente
più ONG, che sono taxi del mare", lo
seguirà a
ruota il codardo compagno di merende. Ed ecco oggi, dal mare, quelle
grida soffocate che non ascolta nessuno.
Eccoli
i sacrifici umani per voi,
tiranni
che potete permettere la vita e dare la morte.
Inchiniamoci tutti
davanti a questo orribile rituale. Abbassiamo
la testa, che quelle
vittime non possiamo nemmeno guardarle negli occhi. Abbassiamo la
testa, perché non riusciamo a fare abbastanza
di fronte a
questo orrore, ostentato come trofeo ai quattro venti.
"Piccoli Schiavi Invisibili 2019",
il rapporto Save The Children, nell'Unione Europea un quarto delle
vittime è minorenne. In crescita lo sfruttamento sessuale e
lavorativo.
Piccoli Schiavi Invisibili 2019,
Tratta e sfruttamento sessuale, una ragazza su quattro è
minorenne
Secondo il rapporto 'Piccoli
schiavi invisibili 2019', le vittime accertate
in Italia sono 1.660.
I minorenni coinvolti sono passati dal 9 al 13 per cento. Anche sulle
20.500 vittime registrate complessivamente nell'Unione nel biennio
2015-16, più della metà dei casi riguarda lo
sfruttamento sessuale, e con un consistente 26% legato a quello
lavorativo.
Una
vittima su quattro è minorenne
Un
quarto delle vittime di tratta in Europa è composto da
minorenni e l’obiettivo principale dei
trafficanti di esseri umani è lo sfruttamento sessuale, che
in Italia è in crescita costante. Le vittime accertate sono 1.660, con un numero
sempre maggiore di minorenni coinvolti, cresciuti in un anno dal 9% al 13%.
Anche sulle 20.500 vittime registrate
complessivamente nell'Unione nel biennio 2015-16, il 56% dei casi riguarda la
tratta della prostituzione, con un pur consistente 26%
legato allo sfruttamento lavorativo.
“Non si può ignorare
il fatto che il fiorente mercato dello sfruttamento sessuale delle
minorenni in Italia è legato alla presenza di una forte
‘domanda’
da parte di quelli che ci rifiutiamo di definire ‘clienti’,
i quali sono parte attiva del processo”
Anche se non rappresenta il principale
obiettivo del sistema della tratta, lo sfruttamento lavorativo
in Italia è in crescita e nel 2018 gli illeciti registrati
con minori vittime, sia italiani che stranieri, sono stati 263, per il
76% nel settore terziario. Il
numero maggiore di violazioni sono state segnalate nei servizi di
alloggio e ristorazione (115) e nel commercio (39), nel
settore manifatturiero (36), nell'agricoltura (17) e nell'edilizia (11).
Piccoli
Schiavi Invisibili propone quest’anno al suo
interno la graphic novel ‘Storia di
Sophia. Una vittima di tratta. Una ragazza’,
illustrata dal fumettista Roberto
Cavone, che racconta
la storia vera di un’adolescente nigeriana.
Sfruttamento
sessuale, il 64% delle ragazze proviene dalla Nigeria
Provengono
dalla Nigeriao
dai Paesi dell’est europeo e dai Balcanile ragazze che sono maggiormente
esposte al traffico delle organizzazioni e reti criminali,
che poi gestiscono in Italia un circuito della prostituzione in
continua crescita. Il numero delle vittime di tratta minori e
neo-maggiorenni intercettate in sole cinque regioni (Marche, Abruzzo, Veneto, Lazio e
Sardegna) dagli operatori del progetto Vie d’Uscita
di Save the Children
è infatti cresciuto del 58%, passando dalle 1.396 vittime
del 2017 alle 2.210 nel 2018, mentre i Paesi di origine sono per il
64% la Nigeria e per il 34% Romania,
Bulgaria e Albania.
Il
sistema nigeriano
Il business della tratta internazionale a
scopo di sfruttamento sessuale adottato in Italia dalla mafia nigeriana
si basa su un sistema che si adatta al mutare delle condizioni.
Un
esempio: l’adescamento con la
falsa promessa di un lavoro in Italia di vittime nella Nigeria del sud,
avveniva in gran parte a Benin
City (Edo
State), ma sembra essersi
spostato più a sud, nel Delta
State, anche per ovviare agli
effetti di un editto della massima autorità religiosa del
popolo Edo, Ewuare
II, che nel 2018 ha dichiarato nullo il rito juju,
utilizzato dai trafficanti per sottomettere le giovani vittime,
disarticolando, purtroppo solo temporaneamente, l’intera rete
di controllo.
Le
ragazze e le donne nigeriane, giunte in
Italia dopo un viaggio attraverso la Libia e via mare dove subiscono
abusi e violenze, devono restituire alla mamam, la figura femminile che
gestisce il loro sfruttamento, un debito di viaggio che raggiunge i
30mila euro
e sono costrette a ‘lavorare’
fino a 12
ore tutte le notti, anche per 10-20 euro a prestazione, raccogliendo
dai 300 ai 700 euro al giorno.
"Buona
parte dei soldi, sottolinea Save the
Children, serve per
pagare vitto, alloggio e vestiti, spesso anche per
l’affitto del posto in strada dove si prostituiscono (joint),
e l’estinzione del debito diventa quasi
irraggiungibile”
Dalle
strade alle Connection-House
I
trafficanti hanno inoltre spostato il
circuito della prostituzionedai luoghi
più facilmente
identificabili, come le piazzole lungo le provinciali o le
maggiori
arterie stradali, verso
luoghi ‘meno
visibili’, il
cosiddetto giro walk, come le fermate dei bus o i parchi, oppure
all'interno delle case, che in alcuni casi sono connection-house,
gestite e frequentate prevalentemente da connazionali, come quelle
segnalate dagli operatori in Campania e Piemonte.
Albanesi,
bulgare e rumene. Il reclutamento e finti "Lover Boy"
Sulle
nostre strade è rimasta
costante la presenza di ragazze di origine rumena o bulgara,
ma si
segnala un aumento delle ragazze di origine albanese. Un
ritorno che
riguarda anche i gruppi criminali albanesi in Italia, secondi solo a
quelli nigeriani.
Il
reclutamento delle vittime nei Paesi di
origine avviene con metodi sempre più efficaci.
In Romania,
lo confermano diverse testimonianze, ci sono le
‘sentinelle’ dei trafficanti che individuano in
anticipo negli orfanotrofi le ragazze che stanno per lasciare le
strutture al compimento dei 18 anni, e mettono in atto un adescamento
basato su finte promesse d’amore e di un futuro felice in
Italia.
I
finti “lover
boy” che
sono affiancati ad ogni ragazza lungo il periodo di sfruttamento in
Italia, che può durare anni, esercitano un controllo totale
e violento, come nel caso, riportato dagli operatori, di una ragazza
rimasta incinta indotta ad entrare in una vasca riempita di cubetti di
ghiaccio per indurre l’aborto per shock termico.
Il
sistema nazionale anti-tratta adottato nel 2016 non è stato
ancora rifinanziato dall'attuale governo
La
risposta del sistema italiano di tutela
delle vittime è ancora frammentaria “ed
è necessario potenziarla”
spiega il dossier. Lo ha
rilevato anche il gruppo di esperti del Consiglio d’Europa
che nel 2018 ha condotto una valutazione del quadro normativo e
istituzionale nel nostro Paese rispetto all'applicazione della
Convenzione Europea in materia.
Secondo Save the Children il primo "Piano
Nazionale d’Azione contro la tratta" adottato
dai governi
Renzi e Gentiloni nel 2016 per tracciare le linee guida del contrasto e
della prevenzione ha rappresentato un passo positivo importante, ma
è scaduto a dicembre 2018 e non è stato ancora
definito un secondo piano dall'attuale governo.
Per quanto riguarda il "Programma
Unico di
Emersione", che racchiude le misure concrete per
l’emersione,
l’assistenza e l’integrazione sociale delle
vittime, il finanziamento è stato potenziato dall'attuale
governo e ammonta a 24 milioni per il triennio 2019-2021.
Vie
d'Uscita
L’organizzazione di Save the
Children ha attivato dal 2012 il progetto "Vie
d’Uscita",
realizzato in Marche,Abruzzo, Veneto, Lazio, Calabria, Sardegna e
Piemonte.
Nel 2018 Vie d’Uscita ha sostenuto 32 percorsi di
avviamento all'autonomia di vittime fuoriuscite dal sistema di
sfruttamento.
Dal
2016, Save the Children ha poi attivato
la "Help-line
Minori Migranti" per offrire sostegno a minori stranieri
non accompagnati e a chi ha necessità di ricevere
informazioni ad hoc, dai familiari dei minori agli operatori delle
strutture di accoglienza, dai volontari ai comuni cittadini.
Il
servizio, gratuito e multilingue,
è attivo dal lunedì al venerdì, dalle
10 alle 17, al numero verde 800141016.
"Piccoli
Schiavi Invisibili 2019"
Rapporto
Save the Children sulla tratta e lo sfruttamento di minori
Provvedimenti
restrittivi per gli appartenenti al culto 'Maphite',
assoggettati a un rigido 'manuale
di comportamento', oltre che a un rito di iniziazione
codificato nella Bibbia Verde (Green
Bible)
Mafia Nigeriana,
Sgominata cellula dei Maphite attiva in Emilia Romagna. Gli
investigatori della Questura di Bologna mentre danno l'annuncio alla
stampa.
Sono
19 i fermi eseguiti dalla squadra
mobile della Questura di Bologna, in collaborazione con i
colleghi di
altre province dell' Emilia Romagna e di Bergamo, in un'operazione
contro la mafia nigeriana. Altre due persone che si trovano all'estero
saranno raggiunte da un mandato d'arresto europeo. Agli indagati
è contestata l'associazione di tipo mafioso.
I provvedimenti restrittivi e una serie di
perquisizioni, emessi dalla Dda e dalla Procura della Repubblica di
Bologna, colpiscono un elevato numero di appartenenti al culto
'Maphite'
(o Green Circuit
association), molto diffuso e potente, fino
ad oggi rimasto all'ombra rispetto alle altre cosche. Le
città coinvolte sono Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma,
Piacenza, Forlì, Cesena, Ravenna e Bergamo.
Tra
i destinatari non solo i semplici
"soldati"
ma anche soggetti che ricoprivano un ruolo di primo piano
all'interno dell'organizzazione criminale. In particolare:
coloro che
decidevano le nuove iniziazioni, gestivano
la prostituzione,
mantenevano i rapporti di forza con le altre organizzazioni criminali e
organizzavano lo spaccio di droga nelle piazze cittadine.
L'operazione di polizia ha impiegato
più di trecento poliziotti
Così
è strutturata la mafia nigeriana
L’indagine,
avviata nel 2017,
grazie anche alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, ha
consentito di ricostruire ruoli, gradi, gerarchie e regole di
funzionamento all'interno dell’organizzazione criminale,
nonché i diversi reati che hanno permesso all'organizzazione
stessa la propria sopravvivenza e il dominio in alcuni ambiti
criminali, spaccio di sostanze stupefacenti, sfruttamento della
prostituzione, uso indebito di strumenti di pagamento elettronico,
oltre a frequentissimi e violenti scontri con organizzazioni criminali
nigeriane contrapposte.
Tipico
e conosciuto soltanto dagli adepti
il modo di comunicare, i rituali, e un prestabilito modo di ingresso
all'interno dell’organizzazione, di affiliazione, rigidissime
le regole di comportamento e puntualmente codificate che ripercorrono
in parte quelle più conosciute delle organizzazioni di tipo
mafioso italiane.
Green
Bible. Il codice della 'Bibbia Verde'
La
mafia nigeriana aveva un codice chiamato
la 'Green Bible'.
Un vero e proprio manuale di istruzioni per gli
affiliati, nel quale, per esempio, il piano di riciclaggio di denaro
nei Paesi di origine era indicato come 'Mario Monti'.
Grazie alla
'Bibbia
Verde', contenuta in un pacco inviato dalla Nigeria
all'Italia
e intercettato a Torino, gli investigatori sono riusciti a ricostruire
la struttura del clan Maphite, le regole, le cariche e le investiture,
i riti di iniziazione, le punizioni.
Il
giuramento col fuoco per entrare nel clan
"Giuro
di essere leale e fedele
all'organizzazione dei Maphite. Se domani deciderò di
svelare questi segreti, questo fuoco brucerà me e le cose
che mi appartengono; ovunque mi trovi i Maphite mi faranno a pezzi sino
alla morte". I nuovi affiliati che entravano a far parte
della mafia
nigeriana erano sottoposti ad una sorta di rito tribale, prima venivano
picchiati dagli altri membri e poi dovevano tenere tra le mani dei
pezzi di carta infuocati, per dimostrare il loro valore.
La
spartizione dell'Italia tra diverse "famiglie"
Gli
investigatori bolognesi sono riusciti a
ricostruire la spartizione del territorio delle diverse
famiglie che
facevano parte del clan Maphite. La 'Famiglia
Vaticana', oggetto
dell'indagine, egemone oltre che in Emilia-Romagna anche in Toscana e
Marche. La 'Famiglia
Latino', nell'Italia nord-occidentale, la
'Famiglia
Rome Empire', nel centro Italia e la 'Famiglia
Light House of
Sicily', presente in Sicilia e Sardegna.
Per rappresentare il potere sul territorio
ed essere riconosciuti dai loro connazionali, gli affiliati del culto
nigeriano Maphite indossavano baschi o abiti con il colore verde.
I
rami dell'indagine
L'inchiesta
ha riguardato anche il
Piemonte, dove sono stati impegnati centinaia di agenti.
L'operazione
di polizia, che ha permesso di smantellare una cosca della mafia
nigeriana, ha condotto all'esecuzione di decine di fermi anche a Torino.
"Simili
alle organizzazioni mafiose italiane"
"È
la prima volta in
Emilia-Romagna, e una delle prime in Italia, che viene contestata
l'associazione di tipo mafioso a una organizzazione nigeriana", ha
detto il procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato. "Nel corso delle
indagini abbiamo apprezzato tutti i tratti caratteristici
dell'associazione mafiosa, come l'intimidazione violenta e
l'assoggettamento dei connazionali nigeriani. Abbiamo sgominato i
vertici e acceso un faro su un fenomeno criminale importante, dotato di
una struttura verticistica e di un organigramma che emula le nostre
organizzazioni criminali, come la Mafia siciliana e la 'Ndrangheta.
L'eroina gialla che in questi mesi ha creato grossi problemi per la
salute pubblica e decessi per overdose è un prodotto che
viene introdotto sul mercato proprio dalle associazioni criminali
nigeriane"
L'Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato l'epidemia di
ebola nella RD del Congo come un'emergenza mondiale. Secondo l'Unicef
contagiati 750 bambini.
Organizzazione Mondiale della
Sanità,
ha classificato l'epidemia di ebola nella Repubblica Democratica del
Congo come un'emergenza sanitaria mondiale.
Il direttore generale dell'Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus,
ha dichiarato che "è
il momento che il mondo prenda atto dell'epidemia", ma ha
raccomandato che le frontiere con i paesi vicini restino aperte. Finora ebola ha ucciso quasi
1.700 persone in poco più di un anno. Il Rwanda
ha sconsigliato i viaggi 'non
indispensabili' nella vicina Repubblica Democratica del
Congo senza però chiudere il confine.
Cresce
l'allarme per l'epidemia di Ebola in corso nella Repubblica democratica
del Congo. Oggi l'Organizzazione mondiale della
sanità (Oms)
ha deliberato lo stato di 'Emergenza
Internazionale di Salute Pubblica'. La decisione
è stata presa dal Comitato istituito dall'Oms, che si
è riunito a Ginevra per la quarta volta dall'inizio
dell'epidemia nel paese africano, lo scorso ottobre. Ieri il Rwanda,
confinante con la città di Goma,
aveva sconsigliato i viaggi 'non
indispensabili' in Rdc senza però chiudere il
confine.
Nei giorni scorsi il virus è
arrivato per la prima in una grande città della Repubblica
democratica del Congo. Si tratta di Goma
ai confini con Rwanda, dove
ieri è morto il pastore infettato, che aveva viaggiato in
autobus dalla città nord-orientale di Butembo, e dove "i
casi sospetti sono 22 non direttamente correlati a quello del pastore".
I contatti diretti con l'uomo sono stati sottoposti a vaccinazione.
L'Oms
aveva valutato già nel
giugno scorso l'opportunità di decretare lo stato di
emergenza sanitaria internazionale per l'Ebola in Rdc, concludendo
tuttavia che, benché ci fosse "grande preoccupazione, anche
perché la risposta continua a essere insidiata dalla carenza
di fondi adeguati e di risorse umane dedicate", l'epidemia
allora non
costituiva un'emergenza di sanità pubblica di rilevanza
internazionale.
"La
dichiarazione è una misura
che riconosce il possibile aumento del rischio nazionale e regionale, e
il bisogno di una azione coordinata e intensificata per gestirlo"
Ora
a preoccupare gli esperti è
l'espansione geografica dell'epidemia, con i casi che ora
coprono
un'area di 500 chilometri quadrati. "Nessun paese dovrebbe chiudere i
propri confini o porre restrizioni ai viaggi o ai commerci. Queste
misure sono implementate di solito in base alla paura e non hanno basi
scientifiche". La risposta, ha sottolineato il direttore
generale Oms
Thedros Adhanom Ghebreyesus, è stata ritardata anche dalla
mancanza di fondi.
"È
tempo che il mondo prenda
coscienza e raddoppi gli sforzi. Dobbiamo lavorare insieme in
solidarietà con il Congo per mettere fine all'epidemia e
costruire un sistema sanitario migliore. Un lavoro straordinario
è stato fatto per quasi un anno nelle circostanze
più difficili. Dobbiamo a questi operatori un contributo
maggiore"
Fino
ad oggi, a causa dell'ultimo focolaio,
quasi 2.500
persone sono state contagiate in Congo, di cui 1.665 sono
morte. E la situazione era stata giudicata particolarmente
allarmante
già nei giorni scorsi, dopo il primo contagio avvenuto a
Goma, grande città nell'est del Congo.
"Se
l'epidemia si dovesse diffondere in
una città di oltre un milione di abitanti come Goma sarebbe
un vero e proprio disastro umanitario"
Anche
l'Unicef lancia un allerta per la
tragedia che sta colpendo in particolar modo i bambini. In Congo 750
bambini sono stati colpiti dal virus Ebola (31% dei casi) ed il
40% ha
meno di 5 anni. Questa epidemia, ha avvertito Marixie Mercado,
portavoce dell'Unicef al Palazzo delle Nazioni a Ginevra, "sta
contagiando un maggior numero di bambini rispetto alle precedenti. Al 7
luglio, si
erano verificati 750 contagi fra i bambini. Questo numero
rappresenta il 31% del totale dei casi, rispetto a circa il 20% nelle
epidemie precedenti"
I
bambini piccoli, con
meno di 5 anni, sono
particolarmente colpiti e a loro volta stanno contagiando le donne.
Fra
gli adulti, le donne rappresentano il 57% dei casi. Il portavoce
dell'Unicef ha inoltre sottolineato che il tasso di
mortalità della malattia per i bambini con meno di 5 anni
è del 77%, rispetto al 67% di tutti i gruppi di
età. "Prevenire
i contagi fra i bambini deve essere al
centro della risposta all'Ebola", ha affermato. E
c'è anche
un'altra grave emergenza che sta emergendo: "I bambini che sono rimasti
orfani a causa della malattia hanno bisogno di cure e supporto a lungo
termine, fra cui la mediazione con le famiglie allargate che
però si rifiutano di accoglierli per paura di essere a loro
volta contagiati"
Dobbiamo ricordare che l'epidemia
è scoppiata in una zona di guerra, dove scorrazzano bande
armate e le violenze, anche contro la popolazione civile, sono
all'ordine del giorno. Operatori sanitari e volontari stanno lavorando
in condizioni estreme e rischiano concretamente la propria vita per
cercare di circoscrivere il contagio e aiutare la popolazione colpita
dal virus.
Anticipò
in un romanzo l’omicidio di una prostituta nigeriana. Ora è
latitante.
Daniele Ughetto Piampaschet,
uccise Anthonia Egbuna. Condanna a 25 anni confermata dalla Cassazione
Daniele
Ughetto Piampaschet, uccise Anthonia Egbuna,
nigeriana allora ventenne, e poi gettò il suo corpo nel
fiume Po’. Condannato
definitivamente a 25 anni, è sparito nel nulla.
Qualcuno lo ha soprannominato lo “scrittore assassino“,
e secondo la Cassazione lo è, visto che lo ha condannato in
via definitiva. Daniele
Ughetto Piampaschet è accusato di aver
anticipato in un libro i contorni del delitto, che poi avrebbe
commesso. Ora
l’aspirante romanziere torinese è latitante, non ha atteso le manette
ed è svanito nel nulla.
Deve
scontare 25 anni di carcere, ma dal 3 luglio ha
fatto perdere le sue tracce e le ricerche, fino ad ora,
sono state
senza esito. Il Piampaschet si è sempre dichiarato innocente
per
il delitto della ragazza nigeriana con cui ha avuto anche una breve
relazione.
La
ragazza fu trovata senza vita, con segni di numerose
coltellate, il 26
febbraio 2012 sul greto del Po’, nel torinese. Un
particolare già scritto in precedenza da Daniele Ughetto nel
suo
romanzo, e mai pubblicato, ‘La
rosa e il leone’. Coincidenza
inquietante, che aveva attirato su di lui i sospetti.
Una
lunga odissea giudiziaria
Ma
non tutti negli anni lo hanno ritenuto colpevole,
infatti la sua è stata una vera odissea giudiziaria. Fu
assolto
in primo grado, poi fu condannato in appello a 25 anni e 6 mesi per
omicidio volontario, era il 2015. Nel 2016 la Cassazione aveva
annullato la sentenza e rinviato il caso alla Corte d’assise d’Appello.
Un via vai dalle aule fino allo scorso 2 giugno, quando è
arrivata la condanna definitiva.
“L’attesa
giudiziaria mi ha cambiato la vita. Ora vivo
in campagna con la mia famiglia. Conduco una vita raccolta, sto
ristrutturando un casolare e continuo a scrivere“, aveva
detto dopo uno
dei tanti processi. Ma il carcere no, e quando i carabinieri si sono
recati a Giaveno
(Torino)
per arrestarlo, lui non c’era. C’era
però il padre che li ha aggrediti rimediando un arresto per
resistenza a pubblico ufficiale.
Ora
di Daniele Ughetto Piampaschet non si sa nulla, il
telefono è staccato, e gli appelli degli investigatori e del
suo
avvocato difensore sono caduti nel vuoto. Chi lo conosce pensa si sia
nascosto in qualche cascinale, magari per scrivere un altro capitolo
della sua vita, cercando di evitare che siano i giudici a scriverlo per
lui.
Lo scorso anni, dopo la condanna in secondo grado,
il
pubblico ministero aveva chiesto l’arresto ma il giudice non
ritenne
fondato “il
pericolo di
fuga“
e il Piampashet rimase in libertà
in attesa della sentenza definitiva. Una motivazione clamorosamente
smentita dai fatti di questi giorni.
Raccontammo
la triste vicenda di Anthonia nel nostro libro “Storie Vere”
L'Eritrea
di Isaias Afewerki è oggi uno dei peggiori regimi al mondo.
Dove la guerra con l'Etiopia è usata per giustificare un
servizio militare a tempo indeterminato. E dove avere un passaporto
è quasi un miraggio. Gli ultimi attacchi sono stati rivolti
agli ospedali cattolici.
Eritrea, pastori
Il
silenzio colpevole dell'Europa
Di
fronte alla dura repressione in
atto in Eritrea, alla chiusura di ospedali e scuole
gestiti da
associazioni religiose, di fronte a casi di tortura, e alla costante
violazione dei diritti umani, l'Europa
tace e, anzi, fa
affari con il
regime più totalitaio dell'Africa.
Il
rispetto dei diritti umani in Eritrea
è solo un ricordo che si perde nei tempi. La
lista di
violazioni è lunga e gli esempi recenti non mancano.
Il presidente (e dittatore)
eritreo Isaias Afewerki
L’ultima mossa del regime di Isaias
Afewerki, al
potere dal
1991, è stata quella di ordinare la chiusura
dei centri
sanitari gestiti dalla Chiesa cattolica nel paese, ovvero una
quarantina tra ospedali e scuole in zone rurali che garantiscono
sanità e istruzione alle fette più povere della
popolazione. Ebbene, qualche giorno fa in questi luoghi si sono
presentati militari armati che hanno sfondato porte e cacciato fuori
malati, vecchi e bambini. E
preteso l’esproprio coatto degli
immobili.
Il
29 aprile, quattro vescovi avevano
chiesto di
aprire un dialogo con il governo per cercare una soluzione alla
crescente povertà e mancanza di futuro per il popolo. Mentre
il
13 giugno sono stati arrestati cinque preti ortodossi ultrasettantenni.
Daniela
Kravetz, responsabile dei
rapporti tra
Nazioni Unite e Africa, ha riportato che il 17 maggio «trenta
cristiani sono stati arrestati durante un incontro di preghiera, mentre
qualche giorno prima erano finiti in cella 141 fedeli, tra cui donne e
bambini». L’Onu chiede ora che
«con
urgenza il
Governo eritreo torni a permettere la libera scelta di espressione
religiosa»
Guerra
Eritrea-Etiopia usata come scusa per il servizio militare a tempo
indeterminato
L’ex
colonia italiana ha
ottenuto di fatto
l’indipendenza dall’Etiopia nel 1991, dopo un
conflitto
durato trent’anni. E nonostante la recente
distensione tra
Asmara
e Addis Abeba, la guerra tra le due nazioni continua a singhiozzo lungo
i confini.
Sono ancora i rapporti con la vicina
Etiopia, del
resto, ad essere usati dal dittatore Afewerki per
giustificare
l’imposizione del servizio militare a tempo indeterminato. I
ragazzi, infatti, sono
arruolati verso i 17 anni e il servizio militare
può durare anche trent’anni, con
paghe miserabili
e
strazianti separazioni. Le famiglie si vedono portare via i figli
maschi senza conoscerne la destinazione e i ragazzi spesso non tornano
più.
Le
città sono prevalentemente
abitate da
donne, anziani e bambini.
E
per chi si oppone le
alternative sono la
prigione, se
non la tortura. Uno dei sistemi più usati dai
carcerieri è la cosiddetta Pratica del Gesù,
che
consiste
nell’appendere chi si rifiuta di collaborare, con corde
legate ai
polsi, a due tronchi d’albero, in modo che il corpo assuma la
forma di una croce. A volte restano appesi per giorni, con le guardie
che di tanto in tanto inumidiscono le labbra con l’acqua.
Eritrea,
storia di un popolo a cui è vietato viaggiare
Il
passaporto, che solo i più
cari amici del
regime ottengono una volta raggiunta la maggiore età, per la
popolazione normale è un miraggio. Il prezioso documento
viene
consegnato alle donne quando compiono 40 anni e agli uomini
all’alba dei 50. A quell’età si spera
che ormai
siano passate forza e voglia di lasciare il paese.
Oggi
l’Eritrea è un
inferno dove tutti
spiano tuttti. Un paese sospettoso e nemico di chiunque, diventato
sotto
la guida di Afewerki uno dei regimi più totalitari al mondo,
dove anche parlare al telefono è rischioso.
E
pensare che negli anni ’90,
quando
l’Eritrea si separò dall’Etiopia, era
vista come la
speranza dell’Africa. Un paese attivo, pieno di
potenziale,
che
si era liberato da solo senza chiedere aiuto a nessuno. Il mondo si
aspettava che diventasse la Taiwan del Corno d’Africa, grazie
anche a una cultura economica che gli altri stati se la sognavano.
L’Unione
Europea investe in Etiopia ed Eritrea
L’Unione
europea sta per
erogare 312 milioni di
euro di aiuti al Corno d’Africaper la costruzione di
infrastrutture che consentiranno di far transitare merci
dall’Etiopia al mare, attraversando quindi
l’Eritrea.
Una
decisione su cui ha preso posizione Reportes sans
frontières,
che chiede la sospensione di questo finanziamento ad un paese che, si
legge in una nota, «continua
a violare i diritti umani, la
libertà di espressione e e di informazione e detiene
arbitrariamente, spesso senza sottoporli ad alcun processo, decine di
prigionieri politici, tra cui molti giornalisti»
Cléa
Kahn-Sriber,
responsabile di Reporter
sans frontières in Africa, ha dichiarato essere
«sbalorditivo
che l’Unione europea sostenga il
regime di
Afeweki con tutti questi aiuti senza chiedere nulla in cambio in
materia di diritti umani e libertà d’espressione.
Il
regime ha più giornalisti in carcere di qualsiasi altro
paese
africano. Le condizioni dei diritti umani sono assolutamente
vergognose»
La
Fondazione di difesa dei Diritti
umani per
l’Eritrea con sede in Olanda e composta da
eritrei esiliati
sta
intraprendendo azioni legali contro l’Unione europea. Secondo
la
ricercatrice universitaria eritrea Makeda Saba,
«l’Ue
collaborerà e finanzierà la Red Sea Trading
Corporation,
interamente gestita e posseduta dal governo, società che il
gruppo di monitoraggio dell’Onu su Somalia ed Eritrea
definisce
coinvolta in attività illegali e grigie nel Corno
d’africa, compreso il traffico d’armi, attraverso
una rete
labirintica multinazionale di società, privati e conti
bancari». Un bel pasticcio, insomma.
Pericoloso
lasciare l’Eritrea Il ruolo delle ambasciate
Chi
trova asilo in altre nazioni vive
spiato e
minacciato dai propri connazionali.
Lo ha denunciato Amnesty
International, secondo cui le nazioni dove i difensori dei
diritti
umani eritrei corrono i maggiori rischi sono Kenya, Norvegia, Olanda,
Regno Unito, Svezia e Svizzera. Nel mirino del potere eritreo ora
c’è anche un prete candidato al Nobel per la pace
nel
2015, Mussie Zerai.
«I rappresentanti del
governo eritreo nelle ambasciate impiegano tutte le tattiche per
impaurire chi critica l’amministrazione del presidente
Afewerki, spiano, minacciano di morte. Chi è scappato viene
considerato traditore della patria, sovversivo e terrorista»
In
aprile il ministro
dell’Informazione, Yemane
Gebre Meskel, e gli ambasciatori di
Giappone e Kenia hanno scritto su Twitter post minacciosi contro gli
organizzatori e i partecipanti ad una conferenza svoltasi a Londra dal
titolo “Costruire la
democrazia in Eritrea”. Nel
tweet, Meskel ha definito gli organizzatori
«collaborazionisti»
Non
va meglio agli esiliati in Kenya. Nel
2013, a seguito del tentativo di registrare un’organizzazione
della società civile chiamata Diaspora eritrea per
l’Africa orientale, l’ambasciata eritrea ha
immediatamente revocato il passaporto del presidente e co-fondatore,
Hussein Osman Said, organizzandone l’arresto in Sud Sudan.
L’accusa? Partecipare al terrorismo, intento a sabotare il
governo in carica.
Amnesty
chiede quindi «che venga
immediatamente sospeso l’uso delle ambasciate
all’estero per intimidire e reprimere le voci
critiche»
Parlando delle ragioni che hanno scatenato
l’ultimo atto di forza contro gli ospedali, padre Zerai ha
detto che «il
regime si è giustificato facendo
riferimento a una legge del 1995, secondo cui le strutture sociali
strategiche come ospedali e scuole devono essere gestite dallo
stato»
Tuttavia, questa legge non era mai stata
applicata e non si conoscono i motivi per cui all’improvviso
è cominciata la repressione. Padre Zerai la vede
così: «La
Chiesa cattolica eritrea è
indipendente e molto attiva nella società, offre supporto
alle donne, sostegno ai poveri e ai malati di Aids ed è
molto ascoltata». A preoccupare il padre,
e non solo lui,
sono ora «il silenzio
dell’Unione europea e della
comunità internzionale. Siamo davati a crimini gravissimi e
il mondo tace»
Foundation
for Africa, associazione fondata nel 2011 da Maris Davis,
è entrata a far parte del
circuito Piccoli
Mondi Onlus, associazione veronese che si occupa di aiuti ad
orfanotrofi in Siberia. Lo scopo è quello di creare una
sinergia di collaborazione a livello europeo per quanto riguarda
l'aiuto a bambini in difficoltà e più in generale
alla protezione dell'infanzia abbandonata.
Foundation for Africa,
in particolare, si occupa fin dalla sua nascita di problematiche
inerenti al continente africano, della tratta di
ragazze nigeriane fatte arrivare in Italia a fini di
sfruttamento sessuale, e appunto di bambini africani (bambini e bambine soldato,
mortalità e
schiavitù infantile, bambini nelle zone di
guerra o di conflitto, istruzione in Africa, sostegno di un orfanotrofio a
Benin City in Nigeria, e propone l'istituto delle adozioni a distanza da
attuarsi direttamente con associazioni e onlus che operano in Africa).
In questo
sito ci occuperemo in
particolare di informazione e formazione sull'Africa, tratteremo
argomenti finalizzati a divulgare le nostre "Campagne Informative",
e contribuireremo a sostenere il nostro orfanotrofio "Friends
of Africa" a Benin
City in Nigeria.
Associazione Volontariato che aiuta gli
Orfani fra il Lago Baikal e la Mongolia
Piccoli
Mondi si occupa dei
bambini di
qualsiasi paese del mondo ma sopratutto dove non arriva mai nessuno.
Negli orfanotrofi della Siberia Orientale
i bambini sono pacchetti in attesa di adozione, e le risorse per
accudirli sono insufficienti. Molti di loro sono disabili o malati, e
destinati a passare tutta la vita in un’istituzione.
D’inverno le temperature arrivano a -45° e negli
istituti abbiamo incontrato bambini senza scarpe, senza vestiti adatti
ma soprattutto senza sogni e speranze. Vedere questi bimbi è
un’esperienza che scuote, fa pensare che il mondo
è davvero ingiusto, e poi che potresti fare qualcosa per
loro.
Sostenere chi se ne prende cura, trovare i
soldi per ciò di cui hanno bisogno non è cosa
impossibile. Così è nata Piccoli Mondi - Associazione
Volontari Orfani Siberiani onlus. Con i fondi
raccolti dai volontari acquistiamo beni di prima necessità
per neonati, vestiti e vaccini per i più grandicelli,
ristrutturiamo case abbandonate e compriamo attrezzature e bestiame
perché imparino a coltivare la terra e avere un futuro
indipendente.
Friends
of Africa è nata nel 2008 per
iniziativa di Maris
Davis, Betty
Amadin e di
un gruppo di ragazze nigeriane di Udine al fine di aiutare e sostenere
un orfanotrofio a Benin
City in Nigeria.
In Italia l'Associazione "Friends of Africa"
è sostenuta dalla comunità nigeriana del Friuli e
fa parte della più ampia struttura organizzativa di Foundation
for Africa.
Edo
Orphanage Home ospita bambini di strada, bambini orfani e
bambini abbandonati. Nell'orfanotrofio sono ospitate anche alcune
giovanissime "ragazze
madri" con i loro bimbi.
Ragazze ingannate, violentate, spesso
vendute dalle loro stesse famiglie in cambio di pochi dollari, portate
in Europa dalla Mafia
Nigeriana, violenta e senza scrupoli per la vita
umana, schiave nel senso letterale del termine, costrette a pagare
anche l'aria che respirano. Minacciate le loro stesse, minacciata la
loro famiglia in Nigeria, private dei documenti personali, costrette a
prostituirsi fino a che quel dannato debito non viene estinto. Ragazze
che per uscire dalla povertà accettano un viaggio senza
ritorno.
La nostra è una denuncia forte
contro i trafficanti di queste schiave e la mafia nigeriana
che
costringe queste ragazze, sempre più spesso minorenni, a
prostituirsi in Italia e in Europa. È anche una denuncia
forte contro il senso comune, che continua ancora a chiamare queste
donne-schiave "prostitute".
Secondo la Caritas e le Associazioni
anti-tratta attualmente
in Italia ci sarebbero tra le 27 e le 30 mila ragazze nigeriane vittime
di
schiavitù sessuale, e due su cinque sono
minorenni. Il totale delle prostitute sfruttate sono oltre
centomila e, quindi, una su tre è di
nazionalità nigeriana.
Il
mercato della prostituzione nigeriana, solo in Italia, sviluppa un giro d'affari
illecito a favore della mafia nigeriana di circa 5 milioni di euro al
mese
e va ad alimentare il mercato della droga, il traffico di esseri umani
e, stante a recenti informative della DIA, anche il traffico di organi.
Un
mercato alimentato dalla crescente offerta di sesso. In Italia ci sono nove
milioni di clienti, il
più alto numero in Europa, la metà
dei quali è da considerarsi un frequentatore abituale di
prostitute.
È soprattutto per questo motivo
che Foundation
for Africa, assieme ad altre associazioni anti-tratta, sostiene una legge che
colpisca i "clienti",
sul modello di
quello nordico e francese, e come raccomandato anche
dall'Unione Europea. Siamo assolutamente contrari alle
case chiuse come aiuspicato, anche
di recente, da alcune formazioni
politiche.
Lo
Stato NON
deve diventare MAI, esso stesso, uno "sfruttatore"
e favorire la prostituzione-coatta. Un modello ormai fallito (quello delle case chiuse)
come dimostrato dalle legislazioni adottate in Germania, Austria,
Svizzera e Olanda, dove la
legalizzazione sulla prostituzione ha
fatto aumentare gli sfruttatori, le prostitute, le case di
appuntamento, e reso sempre più ricche le multinazionali del
sesso a pagamento sulla pelle di ragazze deboli, povere e spesso
emarginate.
La
guerra che è costata la vita a oltre 1,2 milioni di persone
pesa ancora oggi sul Biafra. Altri due milioni morirono di fame e
malattie, la metà erano bambini.
Alla
fine del conflitto oltre 5 milioni di persone furono
costrette ad abbandonare le loro terre per far posto ai pozzi
petroliferi.
Se
da una parte il governo di Abuja
riconosce un risarcimento alle vittime e inizia a bonificare le aree
infestate da ordigni abbandonati, dall'altra dichiara "terroristica"
l'organizzazione che chiede l'indipendenza.
In uno dei rari tentativi di affrontare
la questione della guerra del Biafra e di sanare le profonde cicatrici
che ha lasciato su milioni di nigeriani, nei giorni scorsi il governo
di Abuja ha accettato di risarcire con 139 milioni di dollari
le vittime del confitto, concluso cinquant’anni fa. E oltre a
versare l’indennizzo, saranno stanziati 105
milioni di dollari per bonificare dagli ordigni abbandonati,
i territori che furono teatro degli aspri combattimenti tra il 1967 e
il 1970.
Gli
esperti governativi hanno riconosciuto lo status di reduci di guerra a
685 persone. A quasi 500 di esse, incluse quelle che
avevano inizialmente citato in giudizio il governo, è stato
anche accordato un risarcimento per essere stati vittime
dell’esplosione di mine e bombe. La decisione della Nigeria
è il risultato di una risoluzione extragiudiziale, che ha
fatto seguito a un procedimento presentato contro il governo federale
nel 2012.
Una
lunga scia di violenza nel sud-est della Nigeria
Il
provvedimento giunge dopo mesi di crescenti tensioni nel
sud-est della Nigeria causate dalle rinnovate richieste di secessione
avanzate dal movimento
dei popoli indigeni del Biafra (IPOB),
che dopo mezzo secolo continua a rivendicare l’indipendenza
del Biafra.
La radicalizzazione violenta del
confronto si era manifestata lo scorso 12 settembre, quando
l’esercito nigeriano ha fatto irruzione nella casa del leader
dell’Ipob, Nwannekaenyi
“Nnamdi”
Kenny Okwu Kanu,
per arrestarlo. Nel conflitto a fuoco che ne è seguito sono
morti 20 militanti del gruppo separatista.
Poi, lo scorso 15 settembre, le truppe
nigeriane dispiegate nella regione hanno lanciato
l’operazione Python Dance
IInei
cinque stati sud-orientali, Abia, Anambra, Ebonyi, Enugu e Imo, per porre fine
alla campagna di secessione del movimento. Nel corso
dell’operazione, terminata il 10 ottobre, sono morti quattro
membri dell’IPOB, mentre il leader Nnamdi Kanu, da
allora non è più comparso in pubblico.
Movimento
per indipendenza Biafra definito “terrorista”
Pochi
giorni dopo, il ministro della Giustizia nigeriano, Abubakar Malami, ha
emesso un provvedimento che bollava l’IPOB
come un’organizzazione terroristica, per aver agito contro
funzionari della sicurezza e cittadini nigeriani.
La
decisione di classificare l’IPOB come
un’organizzazione terroristica ha suscitato le critiche degli
Stati Uniti e dell’Unione europea. Inoltre, questa scelta stride col
fatto che il gruppo indipendentista è ufficialmente
riconosciuto a livello internazionale, da quando le
Nazioni Unite l’hanno annesso nell’Ecosoc,
l’organismo che raccoglie più di 3.200 ong
internazionali.
Nel frattempo, il sentimento
anti-nigeriano dei biafrani ha continuato a covare sotto le ceneri
emergendo periodicamente e dando luogo a sanguinosi scontri fra i
separatisti biafrani e l’esercito federale, sempre repressi
con violenza dai militari nigeriani.
La
guerra del Biafra oggi è ancora un tabù in Nigeria
Nel
paese africano molti sperano che il risarcimento deciso
dal governo serva a stemperare le tensioni degli ultimi mesi e sia un
segnale della volontà di discutere la pluridecennale
questione dell’eredità e delle divisioni lasciate
dalla guerra, che dopo cinquant’anni in Nigeria è
ancora considerata un argomento tabù.
Certo è che
nell’immediato dopoguerra, le ritorsioni applicate dal
governo federale nei confronti degli Igbo (l’etnia della
popolazione biafrana) furono pesantissime, come la
limitazione all’accesso ai conti correnti e le
discriminazioni nell’impiego pubblico e privato. Mentre
l’amministrazione di alcune delle città con forte
presenza Igbo venne affidata a gruppi etnici rivali come gli Ijaw e
Ikwerre.
Senza
contare che il nome Biafra è stato cancellato da tutte le
mappe geografiche della Nigeriae quello che per tre anni fu uno
Stato indipendente, adesso è smembrato in nove
entità territoriali diverse.
Senza dubbio, è
troppo tardi per i programmi di riconciliazione, ma oltre
ai risarcimenti, anche l’apertura di un dialogo tra governo e
movimenti pro-Biafra può avere un ruolo importante
nell’aiutare i molti nigeriani, che ancora portano le
cicatrici di uno dei conflitti più devastanti del secolo
scorso.
Fame
e malattie. L’emergenza umanitaria del Biafra
Un
conflitto che costò la vita a più di
un milione e 200 mila
persone e produsse un’emergenza umanitaria senza
precedenti, che culminò in una drammatica carestiache provocò
la morte di altri due milioni di uomini, donne e bambini.
Tutto
questo, mentre i filmati in bianco e nero trasmessi dai
telegiornali dell’epoca mandavano in onda le terribili
immagini dei volti scavati di bambini biafrani sofferenti con
l’addome gonfiato dal liquido ascitico.
La mobilitazione generale delle
organizzazioni non governative internazionali fu così
impressionante che sotto la guida del Comitato Internazionale della Croce Rossa (Icrc),
Oxfam, Africa Concern, Catholic Relief Services,
Caritas International,
Quaker-Service-Nigeria
e altre organizzazioni che operavano sotto il cappello della Joint Church
Aid (Jca),
diedero vita alla più importante operazione umanitaria della
loro storia dopo i programmi di assistenza ai rifugiati della seconda
guerra mondiale.