Nel
mondo una persona su 110 è costretta alla fuga. 68,5 milioni
i rifugiati nel mondo
Nel rapporto annuale ‘Global
Trends’, l'Unhcr traccia una mappa dei flussi di chi si
lascia alle spalle il passato per un futuro incerto, spesso altrettanto
drammatico. Si scappa soprattutto dai paesi in via di sviluppo. Le
maggiori crisi nella Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan e
Bangladesh.
Il
20 giugno è una data
importante perché si celebra in tutto il mondo la Giornata
del rifugiato. L'appuntamento, fortemente voluto dall'Assemblea
Generale dell'Onu nel 1951, nello stesso giorno in cui l'assemblea
approvò la convenzione di Ginevra, nasce con l'obiettivo di
sensibilizzare l'opinione pubblica su una condizione, spesso oggetto di
campagne diffamatorie e strumentali, che oggi coinvolge ben 68,5
milioni di rifugiati e richiedenti asilo nel mondo. Il numero
più alto dall'approvazione della convenzione di Ginevra a
oggi.
Il rifugiato
è colui che temendo a ragione di essere perseguitato per
motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un
determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova
fuori del Paese di cui è cittadino e non può o
non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di
questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori
del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali
avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di
cui sopra.
[Articolo 1A della Convenzione di
Ginevra del 1951 relativa allo status
dei rifugiati]
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La Giornata mondiale del rifugiato
serve a
ricordare a tutti noi, che una casa e una nazione l'abbiamo e che
consideriamo questi diritti scontati e inviolabili, che non applicare
le norme sul diritto d'asilo significa delegittimare la legislazione
internazionale e, in particolare in Italia, disattendere un principio
sancito dalla Costituzione.
In Europa questa mancata
applicazione è alla base della politica dei cosiddetti
"paesi di Visegrad",
che prevedono un blocco dei flussi dei richiedenti
asilo, negando quindi il diritto riconosciuto e sancito a ogni persona
dalla convenzione di Ginevra a chiedere protezione internazionale nei
casi previsti dalla legge.
Un nuovo patto globale per i
rifugiati non è più rinviabile. A renderlo
cruciale sono gli oltre 68 milioni di persone costrette alla fuga a
causa di guerre, violenze e persecuzioni. Nel 2017 questo numero ha
raggiunto un nuovo record per il quinto anno consecutivo.
I motivi sono da riscontrarsi
soprattutto nella crisi nella Repubblica Democratica del Congo, nella
guerra in Sud Sudan e nella fuga in Bangladesh di centinaia di migliaia
di rifugiati rohingya provenienti dal Myanmar. I Paesi maggiormente
colpiti sono per lo più quelli in via di sviluppo.
Nel rapporto annuale ‘Global Trends’,
pubblicato in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato, che cade
oggi 20 giugno, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati
(Unhcr) traccia una mappa dei flussi di uomini, donne e bambini che
abbandonano le proprie case e si lasciano alle spalle il proprio
passato per un futuro incerto, spesso altrettanto drammatico.
Ogni giorno sono costrette a fuggire
44.500 persone, una ogni due secondi. “Siamo a una svolta,
dove il successo nella gestione degli esodi forzati a livello globale
richiede un approccio nuovo e molto più complessivo, per
evitare che Paesi e comunità vengano lasciati soli ad
affrontare tutto questo” dichiara dichiarato Filippo Grandi,
Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
I
dati sui rifugiati
Nel totale dei 68,5 milioni di
persone in fuga sono inclusi anche i 25,4 milioni di rifugiati che
hanno lasciato il proprio Paese a causa di guerre e persecuzioni, 2,9
milioni in più rispetto al 2016. Si tratta
dell’aumento maggiore registrato dall’Unhcr in un
solo anno. Nel frattempo, i richiedenti asilo che al 31 dicembre 2017
erano ancora in attesa della decisione in merito alla loro richiesta di
protezione sono passati da circa 300mila a 3,1 milioni. Sul numero
totale, le persone sfollate all'interno del proprio Paese, invece, sono
40 milioni, poco meno dei 40,3 milioni del 2016.
In pratica il numero di persone
costrette alla fuga nel mondo è quasi pari al numero di
abitanti della Thailandia. Considerando tutte le nazioni nel mondo, una
persona ogni 110 è costretta alla fuga. Il Global Trends non
esamina il contesto globale relativo all'asilo, a cui l’Unhcr
dedica pubblicazioni separate “e che nel 2017 ha continuato a
vedere casi di rimpatri forzati, di politicizzazione e uso dei
rifugiati come capri espiatori, di rifugiati incarcerati o privati
della possibilità di lavorare e di diversi Paesi che si sono
opposti persino all'uso del termine
‘rifugiato’”
La
risposta alla crisi
Papa Francesco ha evidenziato che la
Giornata mondiale dei Rifugiati quest’anno cade nel vivo
delle consultazioni tra i governi per l’adozione di un patto
mondiale “che
si vuole adottare entro l’anno, come quello per una
migrazione sicura, ordinata e regolare”
Secondo l’Alto Commissario
delle Nazioni Unite per i Rifugiati c’è motivo di
sperare: “Quattordici
Paesi stanno già sperimentando un nuovo piano di risposta
alle crisi di rifugiati e, in pochi mesi, sarà pronto un
nuovo Global Compact sui rifugiati e potrà essere adottato
dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite”
“Nessuno diventa un rifugiato
per scelta, ma noi tutti possiamo scegliere come aiutare”
Si
fugge soprattutto dai paesi in via di sviluppo
Il rapporto offre numerosi spunti di
riflessione: l’85% dei rifugiati risiede nei Paesi in via di
sviluppo, molti dei quali versano in condizioni di estrema
povertà e non ricevono un sostegno adeguato ad assistere
quelle popolazioni. Quattro rifugiati su cinque rimangono in Paesi
limitrofi ai loro. Gli esodi di massa oltre confine sono meno frequenti
di quanto si potrebbe pensare guardando il dato dei 68 milioni di
persone costrette alla fuga a livello globale.
“Quasi due terzi di questi sono
infatti sfollati all'interno del proprio Paese. Dei 25.4 milioni di
rifugiati che hanno lasciato il proprio Paese a causa di guerre e
persecuzioni, poco più di un quinto sono palestinesi sotto
la responsabilità dell’Unrwa (l’Agenzia
delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei
rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente). Dei restanti, che rientrano
nel mandato dell’Unhcr, due terzi provengono da soli cinque
Paesi: Siria, Afghanistan, Sud Sudan, Myanmar e Somalia. “La
fine del conflitto in ognuna di queste nazioni potrebbe influenzare in
modo significativo il più ampio quadro dei movimenti forzati
di persone nel mondo”
Il Global Trends offre altri due
dati, forse inattesi: il primo è che la maggior parte dei
rifugiati vive in aree urbane (58%)
e non nei campi o in aree rurali; il secondo è che le
persone costrette alla fuga nel mondo sono giovani, nel 53% dei casi si
tratta di minori, molti dei quali non accompagnati o separati dalle
loro famiglie.
I
paesi ospitanti
Come per il numero di Paesi
caratterizzati da esodi massicci di persone, anche il numero di quelli
che ospitano un elevato numero di rifugiati è relativamente
basso: in termini di numeri assoluti la Turchia è rimasta il
principale Paese ospitante al mondo, con una popolazione di 3.5 milioni
di rifugiati, per lo più siriani. Nel frattempo, il Libano
ha ospitato il maggior numero di persone in rapporto alla sua
popolazione nazionale. Complessivamente, il 63% di tutti i rifugiati di
cui si occupa l’Unhcr si trova in soli 10 Paesi. “Purtroppo le soluzioni a tali
situazioni sono state poche mentre guerre e conflitti hanno continuato
a essere le principali cause di fuga, con progressi assai limitati
verso la pace”
Pochi
quelli che tornano a casa
Circa cinque milioni di persone
hanno potuto tornare alle loro case nel 2017, la maggior parte delle
quali però era sfollata all'interno del proprio Paese. Tra
queste, inoltre, in migliaia sono rientrate in maniera forzata o in
contesti assai precari. A causa del calo dei posti messi a disposizione
dagli Stati per il reinsediamento, sono 100mila i rifugiati che sono
potuti tornare a casa, un numero diminuito di oltre il 40 per cento.
Una sconfitta.
L'UE
e l'immigrazione
Persino l'UE negli ultimi anni ha
disatteso i principi sanciti dalla convenzione di Ginevra, firmando con
la Turchia di Erdogan un accordo finalizzato a bloccare il flusso dal
Medioriente proprio mentre i siriani scappavano dalle bombe della
coalizione internazionale e da quelle di Daesh.
Il fallimento dei governi e delle
istituzioni dell'Unione Europea nello sviluppare una risposta politica
efficace sull'immigrazione alimenta, secondo Human Rights Watch, una
crisi politica senza precedenti.
Lezioni
di umanità dall'Uganda
Una delle crisi umanitarie
più dure al mondo, in ballo ormai da cinque anni, la sta
soffrendo il Sud Sudan, e mentre il vecchio continente chiude le porte,
Medici con l'Africa Cuamm ricorda gli sforzi, silenziosi e imponenti,
che l'Uganda sta mettendo in atto per accogliere oltre 1.000.000 di
rifugiati in fuga dal più giovane Stato del mondo, messo in
ginocchio dagli scontri interni e dalla fame.
"Questa
crisi non è destinata a risolversi in tempi brevi ma ci
insegna che l'accoglienza di chi ha bisogno è possibile,
lavorando già in Africa. In Uganda per esempio negli ultimi
anni oltre un milione di sud sudanesi sono stati accolti in West Nile,
a nord ovest del paese. Lì vive una popolazione di 1.700.000
persone, che pacificamente hanno accolto e continuano ad accogliere chi
più ha bisogno. È una lezione di
umanità"
Sempre a causa delle tensioni
interne, dal 2013 ad oggi si stima che in Sud Sudan 4 milioni di
persone abbiano dovuto abbandonare la propria casa, un terzo dei 12,3
milioni di persone che costituiscono la popolazione. Molti di questi
trovano rifugio all'interno del paese, ospitati dalle
comunità, andando a gravare su un servizio sanitario
già estremamente debole. Altri scappano nei paesi vicini,
Uganda ed Etiopia in primo luogo. Anche in Etiopia Medici con l'Africa
Cuamm interviene a sostegno dei rifugiati e della popolazione che
accoglie, rafforzando il sistema sanitario della regione di Gambella e
gestendo il centro di salute del campo rifugiati di Nguenyyiel.
La
situazione in Italia
In Italia, alla luce del rifiuto del
Governo di permettere a una nave di soccorso di una Ong di attraccare,
la linea dura è sotto gli occhi di tutti e, malgrado alcune
importanti manifestazioni di sensibilizzazione antirazzista, come il
flash mob, organizzato da Caritas Ambrosiana, di due scalatori del
gruppo alpinistico i "Ragni di Lecco" che si sono calati per protesta
dal "Pirellone",
sede del consiglio della Regione Lombardia, il clima di intolleranza
è purtroppo destinato a peggiorare.
Segnali positivi arrivano da
realtà come Refugees Welcome Italia, associazione che
promuove l'accoglienza in famiglia dei rifugiati, che negli ultimi
giorni ha registrato un picco di iscrizioni sulla piattaforma, pari a
oltre l'80%, per un totale di circa 40 nuove famiglie pronte ad aprire
le porte a chi scappa da guerre, persecuzioni e povertà.
Il
dramma dei minori non accompagnati
SOS Villaggi dei Bambini ha lanciato
la campagna "L'impegno a favore dei migranti in Italia e nel mondo",
una road map per accendere i riflettori sui diritti e i bisogni dei
minori che arrivano in Italia e far sì che vengano trattati
e considerati semplicemente come bambini. Nel 2017, l'organizzazione ha
aiutato 266 tra Minori Stranieri Non Accompagnati e giovani richiedenti
asilo, grazie ai Villaggi SOS e ai Programmi di assistenza a Torino e
Crotone.
A preoccupare maggiormente gli
operatori vicende come quella della nave Aquarius, che ha coinvolto 123
bambini, e i casi di detenzione degli oltre duemila minori separati dai
genitori negli Stati Uniti, in attesa di un verdetto sulla
possibilità o meno di restare negli USA.
Il
rapporto Global Trends 2017
È un rapporto statistico
dell'UNHCR, una mappatura globale dei flussi di uomini, donne e bambini
in fuga da guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti umani. Lo
scopo del rapporto in tutto il mondo in occasione della Giornata
Mondiale del Rifugiato, è quello di monitorare gli esodi
forzati sulla base dei dati forniti da governi e altri partner.
Non
viene invece esaminato il contesto globale relativo all'asilo, a cui
l'UNHCR dedica pubblicazioni separate e che nel 2017 ha continuato a
vedere casi di rimpatri forzati, di politicizzazione e uso dei
rifugiati come capri espiatori, di rifugiati incarcerati o privati
della possibilità di lavorare, e diversi paesi che si sono
opposti persino all'uso del termine "rifugiato"