Foundation
for Africa, associazione fondata nel 2011 da Maris Davis,
è entrata a far parte del
circuito Piccoli
Mondi Onlus, associazione veronese che si occupa di aiuti ad
orfanotrofi in Siberia. Lo scopo è quello di creare una
sinergia di collaborazione a livello europeo per quanto riguarda
l'aiuto a bambini in difficoltà e più in generale
alla protezione dell'infanzia abbandonata.
Foundation for Africa,
in particolare, si occupa fin dalla sua nascita di problematiche
inerenti al continente africano, della tratta di
ragazze nigeriane fatte arrivare in Italia a fini di
sfruttamento sessuale, e appunto di bambini africani (bambini e bambine soldato,
mortalità e
schiavitù infantile, bambini nelle zone di
guerra o di conflitto, istruzione in Africa, sostegno di un orfanotrofio a
Benin City in Nigeria, e propone l'istituto delle adozioni a distanza da
attuarsi direttamente con associazioni e onlus che operano in Africa).
In questo
sito ci occuperemo in
particolare di informazione e formazione sull'Africa, tratteremo
argomenti finalizzati a divulgare le nostre "Campagne Informative",
e contribuireremo a sostenere il nostro orfanotrofio "Friends
of Africa" a Benin
City in Nigeria.
Associazione Volontariato che aiuta gli
Orfani fra il Lago Baikal e la Mongolia
Piccoli
Mondi si occupa dei
bambini di
qualsiasi paese del mondo ma sopratutto dove non arriva mai nessuno.
Negli orfanotrofi della Siberia Orientale
i bambini sono pacchetti in attesa di adozione, e le risorse per
accudirli sono insufficienti. Molti di loro sono disabili o malati, e
destinati a passare tutta la vita in un’istituzione.
D’inverno le temperature arrivano a -45° e negli
istituti abbiamo incontrato bambini senza scarpe, senza vestiti adatti
ma soprattutto senza sogni e speranze. Vedere questi bimbi è
un’esperienza che scuote, fa pensare che il mondo
è davvero ingiusto, e poi che potresti fare qualcosa per
loro.
Sostenere chi se ne prende cura, trovare i
soldi per ciò di cui hanno bisogno non è cosa
impossibile. Così è nata Piccoli Mondi - Associazione
Volontari Orfani Siberiani onlus. Con i fondi
raccolti dai volontari acquistiamo beni di prima necessità
per neonati, vestiti e vaccini per i più grandicelli,
ristrutturiamo case abbandonate e compriamo attrezzature e bestiame
perché imparino a coltivare la terra e avere un futuro
indipendente.
Friends
of Africa è nata nel 2008 per
iniziativa di Maris
Davis, Betty
Amadin e di
un gruppo di ragazze nigeriane di Udine al fine di aiutare e sostenere
un orfanotrofio a Benin
City in Nigeria.
In Italia l'Associazione "Friends of Africa"
è sostenuta dalla comunità nigeriana del Friuli e
fa parte della più ampia struttura organizzativa di Foundation
for Africa.
Edo
Orphanage Home ospita bambini di strada, bambini orfani e
bambini abbandonati. Nell'orfanotrofio sono ospitate anche alcune
giovanissime "ragazze
madri" con i loro bimbi.
Ragazze ingannate, violentate, spesso
vendute dalle loro stesse famiglie in cambio di pochi dollari, portate
in Europa dalla Mafia
Nigeriana, violenta e senza scrupoli per la vita
umana, schiave nel senso letterale del termine, costrette a pagare
anche l'aria che respirano. Minacciate le loro stesse, minacciata la
loro famiglia in Nigeria, private dei documenti personali, costrette a
prostituirsi fino a che quel dannato debito non viene estinto. Ragazze
che per uscire dalla povertà accettano un viaggio senza
ritorno.
La nostra è una denuncia forte
contro i trafficanti di queste schiave e la mafia nigeriana
che
costringe queste ragazze, sempre più spesso minorenni, a
prostituirsi in Italia e in Europa. È anche una denuncia
forte contro il senso comune, che continua ancora a chiamare queste
donne-schiave "prostitute".
Secondo la Caritas e le Associazioni
anti-tratta attualmente
in Italia ci sarebbero tra le 27 e le 30 mila ragazze nigeriane vittime
di
schiavitù sessuale, e due su cinque sono
minorenni. Il totale delle prostitute sfruttate sono oltre
centomila e, quindi, una su tre è di
nazionalità nigeriana.
Il
mercato della prostituzione nigeriana, solo in Italia, sviluppa un giro d'affari
illecito a favore della mafia nigeriana di circa 5 milioni di euro al
mese
e va ad alimentare il mercato della droga, il traffico di esseri umani
e, stante a recenti informative della DIA, anche il traffico di organi.
Un
mercato alimentato dalla crescente offerta di sesso. In Italia ci sono nove
milioni di clienti, il
più alto numero in Europa, la metà
dei quali è da considerarsi un frequentatore abituale di
prostitute.
È soprattutto per questo motivo
che Foundation
for Africa, assieme ad altre associazioni anti-tratta, sostiene una legge che
colpisca i "clienti",
sul modello di
quello nordico e francese, e come raccomandato anche
dall'Unione Europea. Siamo assolutamente contrari alle
case chiuse come aiuspicato, anche
di recente, da alcune formazioni
politiche.
Lo
Stato NON
deve diventare MAI, esso stesso, uno "sfruttatore"
e favorire la prostituzione-coatta. Un modello ormai fallito (quello delle case chiuse)
come dimostrato dalle legislazioni adottate in Germania, Austria,
Svizzera e Olanda, dove la
legalizzazione sulla prostituzione ha
fatto aumentare gli sfruttatori, le prostitute, le case di
appuntamento, e reso sempre più ricche le multinazionali del
sesso a pagamento sulla pelle di ragazze deboli, povere e spesso
emarginate.
A livello globale, l’accesso all’acqua
potabile è aumentato dal 77% del 1990 all’90% del 2012, ma nell’Africa
Sub Sahariana solo tre persone su cinque si servono a fonti di acqua
potabile vicine o nei pressi della propria abitazone. Per
tutte le altre raggiungere un pozzo d’acqua salubre significa
percorrere ogni giorno più di un chilometro.
Ancora milioni di bambini privi di acqua
potabile e servizi igienici, 1.400
muoiono ogni giorno per la diarrea, dovuta all’acqua contaminata e a
scarsa igiene. In Africa il difficile accesso all’acqua e
l’inadeguatezza o inesistenza di servizi igienici impatta
anche
sul diritto all’istruzione, in particolare delle bambine.
Nella regione Sub-Sahariana il compito
di raccogliere
l’acqua per le proprie famiglie ricade sull’81% delle donne e
bambine impedendo a quest’ultime di andare a scuola. La rinuncia
all’istruzione alimenta a sua volta una condizione di
povertà e
disagio sociale, sia personale che collettivo. Un circolo perverso
assolutamente da spezzare.
In questa regione migliaia di donne,
bambini e
bambine percorrono a piedi più di un chilometro ogni giorno
per
raggiungere un pozzo o una fonte di acqua potabile, indispensabile alla
sopravvivenza del villaggio e della famiglia.
Senza acqua non c’è salute,
né
sviluppo. I danni all’agricoltura sono incalcolabili, il bestiame
muore, le lezioni a scuola non si possono svolgere regolarmente.
La mancanza di acqua pulita costa ogni
anno
all’Africa Sub-Sahariana il 5% del suo PIL ed è legata,
direttamente o indirettamente, all’80% delle malattie. Nella regione
metà della malattie sono legate all’uso di acqua “sporca” o
“contaminata”, e dalla mancanza di servizi igienici adeguati.
Nel mondo .. Su una popolazione di 7
miliardi di
persone, 748 milioni non hanno ancora accesso a fonti di acqua salubre
e 2,5 miliardi vivono in pessime condizioni igieniche. Fra di essi una
quota rilevante è costituita da bambini e ragazzi sotto i 18
anni che non dispongono ancora di forniture sicure di acqua e che
vivono senza servizi igienici adeguati.
Oggi sono sono 3 gli Stati, Repubblica
Democratica
del Congo, Mozambico e Papua Nuova Guinea, nei quali oltre
metà
della popolazione non ha ancora accesso a fonti adeguate di acqua
potabile.
Nonostante i traguardi raggiunti,
permangono grandi
diseguaglianze. Dei 748 milioni di persone che nel mondo non hanno
ancora accesso all’acqua, il 90% vive in aree rurali.
Per i bambini la mancanza di accesso
all’acqua
può essere tragica. Per donne e bambine c’è un
prezzo
ulteriore da pagare, il compito di recarsi a raccogliere acqua per la
famiglia sottrae infatti enormi quantità di tempo allo
studio o
alla cura della famiglia. Nelle aree meno sicure, inoltre, donne e
bambine sono esposte anche a rischi di violenza.
Per costruire un pozzo d’acqua in Africa,
necessario a
dissetare dalle 300 alle 500 persone, sono sufficienti soltanto 2-3
mila euro.
Foundation for Africa ritiene che sia
fondamentale un'opera di sensibilizzazione rispetto a
problematiche che spesso vengono sottovalutate e restano in
secondo piano. Sottovalutate o addirittura ignorate dai media
internazionali, dai governi occidentali, dalle istituzioni
nazionali e sovra-nazionali.
Il continente africano, in particolare, vittima
delle grandi potenze occidentali per secoli. Prima la
deportazione di milioni di uomini e donne resi schiavi nel
Nuovo Mondo, poi l'occupazione politica e
sociale con la colonizzazione da parte di grandi Paesi europei
che hanno imposto confini là dove non c'erano, costretto a
convivere popoli tra di loro nemici oppure dividendo popolazioni
ed etnìe. I Paesi europei in Africa hanno imposto le loro
religioni, le loro lingue, hanno distrutto civiltà e tradizioni
millenarie.
Per secoli i Paesi europei hanno rubato
all'Africa ricchezze immense, costretto all'ignoranza
generazioni di giovani e impedito la crescita di una classe
dirigente africana illuminata. I Paesi europei, per la loro sete
di ricchezza, hanno provocato guerre, imposto dittatori corrotti,
sottomettendo popoli interi.
Oggi il furto delle ricchezze dell'Africa
continuaattraverso multinazionali occidentali,
continua attraverso la massiccia presenza di eserciti
stranieri, continua attraverso la corruzione capillare
presente a tutti i livelli delle società africane, continua attraverso
il controllo di importanti settori economici, e si
continua ad impedire un pacifico e stabile sviluppo culturale
e civile.
Si continua ad
impedire all'Africa di utilizzare le proprie risorse e le
proprie ricchezze
E, sempre oggi, sono proprio quegli
stessi Paesi europei che per secoli hanno depauperato e
impoverito l'Africa, e che continuano a rubare ricchezze
all'Africa attraverso multinazionali sempre più ricche, che
impediscono l'accoglienza degli africani che semplicemente
cercano un "Mondo Migliore" in Europa.
E dopo aver rubato
all'Africa di tutto, dopo che l'Europa è diventata ricca anche
grazie ad intere generazioni di africani, questa stessa Europa va
dicendo
Nel
mondo una persona su 110 è costretta alla fuga. 68,5 milioni
i rifugiati nel mondo
Nel rapporto annuale ‘Global
Trends’, l'Unhcr traccia una mappa dei flussi di chi si
lascia alle spalle il passato per un futuro incerto, spesso altrettanto
drammatico. Si scappa soprattutto dai paesi in via di sviluppo. Le
maggiori crisi nella Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan e
Bangladesh.
Il
20 giugno è una data
importante perché si celebra in tutto il mondo la Giornata
del rifugiato. L'appuntamento, fortemente voluto dall'Assemblea
Generale dell'Onu nel 1951, nello stesso giorno in cui l'assemblea
approvò la convenzione di Ginevra, nasce con l'obiettivo di
sensibilizzare l'opinione pubblica su una condizione, spesso oggetto di
campagne diffamatorie e strumentali, che oggi coinvolge ben 68,5
milioni di rifugiati e richiedenti asilo nel mondo. Il numero
più alto dall'approvazione della convenzione di Ginevra a
oggi.
Il rifugiato
è colui che temendo a ragione di essere perseguitato per
motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un
determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova
fuori del Paese di cui è cittadino e non può o
non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di
questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori
del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali
avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di
cui sopra.
[Articolo 1A della Convenzione di
Ginevra del 1951 relativa allo status
dei rifugiati]
La Giornata mondiale del rifugiato
serve a
ricordare a tutti noi, che una casa e una nazione l'abbiamo e che
consideriamo questi diritti scontati e inviolabili, che non applicare
le norme sul diritto d'asilo significa delegittimare la legislazione
internazionale e, in particolare in Italia, disattendere un principio
sancito dalla Costituzione.
In Europa questa mancata
applicazione è alla base della politica dei cosiddetti
"paesi di Visegrad",
che prevedono un blocco dei flussi dei richiedenti
asilo, negando quindi il diritto riconosciuto e sancito a ogni persona
dalla convenzione di Ginevra a chiedere protezione internazionale nei
casi previsti dalla legge.
Un nuovo patto globale per i
rifugiati non è più rinviabile. A renderlo
cruciale sono gli oltre 68 milioni di persone costrette alla fuga a
causa di guerre, violenze e persecuzioni. Nel 2017 questo numero ha
raggiunto un nuovo record per il quinto anno consecutivo.
I motivi sono da riscontrarsi
soprattutto nella crisi nella Repubblica Democratica del Congo, nella
guerra in Sud Sudan e nella fuga in Bangladesh di centinaia di migliaia
di rifugiati rohingya provenienti dal Myanmar. I Paesi maggiormente
colpiti sono per lo più quelli in via di sviluppo.
Nel rapporto annuale ‘Global Trends’,
pubblicato in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato, che cade
oggi 20 giugno, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati
(Unhcr) traccia una mappa dei flussi di uomini, donne e bambini che
abbandonano le proprie case e si lasciano alle spalle il proprio
passato per un futuro incerto, spesso altrettanto drammatico.
Ogni giorno sono costrette a fuggire
44.500 persone, una ogni due secondi. “Siamo a una svolta,
dove il successo nella gestione degli esodi forzati a livello globale
richiede un approccio nuovo e molto più complessivo, per
evitare che Paesi e comunità vengano lasciati soli ad
affrontare tutto questo” dichiara dichiarato Filippo Grandi,
Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
I
dati sui rifugiati
Nel totale dei 68,5 milioni di
persone in fuga sono inclusi anche i 25,4 milioni di rifugiati che
hanno lasciato il proprio Paese a causa di guerre e persecuzioni, 2,9
milioni in più rispetto al 2016. Si tratta
dell’aumento maggiore registrato dall’Unhcr in un
solo anno. Nel frattempo, i richiedenti asilo che al 31 dicembre 2017
erano ancora in attesa della decisione in merito alla loro richiesta di
protezione sono passati da circa 300mila a 3,1 milioni. Sul numero
totale, le persone sfollate all'interno del proprio Paese, invece, sono
40 milioni, poco meno dei 40,3 milioni del 2016.
In pratica il numero di persone
costrette alla fuga nel mondo è quasi pari al numero di
abitanti della Thailandia. Considerando tutte le nazioni nel mondo, una
persona ogni 110 è costretta alla fuga. Il Global Trends non
esamina il contesto globale relativo all'asilo, a cui l’Unhcr
dedica pubblicazioni separate “e che nel 2017 ha continuato a
vedere casi di rimpatri forzati, di politicizzazione e uso dei
rifugiati come capri espiatori, di rifugiati incarcerati o privati
della possibilità di lavorare e di diversi Paesi che si sono
opposti persino all'uso del termine
‘rifugiato’”
La
risposta alla crisi
Papa Francesco ha evidenziato che la
Giornata mondiale dei Rifugiati quest’anno cade nel vivo
delle consultazioni tra i governi per l’adozione di un patto
mondiale “che
si vuole adottare entro l’anno, come quello per una
migrazione sicura, ordinata e regolare”
Secondo l’Alto Commissario
delle Nazioni Unite per i Rifugiati c’è motivo di
sperare: “Quattordici
Paesi stanno già sperimentando un nuovo piano di risposta
alle crisi di rifugiati e, in pochi mesi, sarà pronto un
nuovo Global Compact sui rifugiati e potrà essere adottato
dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite”
“Nessuno diventa un rifugiato
per scelta, ma noi tutti possiamo scegliere come aiutare”
Si
fugge soprattutto dai paesi in via di sviluppo
Il rapporto offre numerosi spunti di
riflessione: l’85% dei rifugiati risiede nei Paesi in via di
sviluppo, molti dei quali versano in condizioni di estrema
povertà e non ricevono un sostegno adeguato ad assistere
quelle popolazioni. Quattro rifugiati su cinque rimangono in Paesi
limitrofi ai loro. Gli esodi di massa oltre confine sono meno frequenti
di quanto si potrebbe pensare guardando il dato dei 68 milioni di
persone costrette alla fuga a livello globale.
“Quasi due terzi di questi sono
infatti sfollati all'interno del proprio Paese. Dei 25.4 milioni di
rifugiati che hanno lasciato il proprio Paese a causa di guerre e
persecuzioni, poco più di un quinto sono palestinesi sotto
la responsabilità dell’Unrwa (l’Agenzia
delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei
rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente). Dei restanti, che rientrano
nel mandato dell’Unhcr, due terzi provengono da soli cinque
Paesi: Siria, Afghanistan, Sud Sudan, Myanmar e Somalia. “La
fine del conflitto in ognuna di queste nazioni potrebbe influenzare in
modo significativo il più ampio quadro dei movimenti forzati
di persone nel mondo”
Il Global Trends offre altri due
dati, forse inattesi: il primo è che la maggior parte dei
rifugiati vive in aree urbane (58%)
e non nei campi o in aree rurali; il secondo è che le
persone costrette alla fuga nel mondo sono giovani, nel 53% dei casi si
tratta di minori, molti dei quali non accompagnati o separati dalle
loro famiglie.
I
paesi ospitanti
Come per il numero di Paesi
caratterizzati da esodi massicci di persone, anche il numero di quelli
che ospitano un elevato numero di rifugiati è relativamente
basso: in termini di numeri assoluti la Turchia è rimasta il
principale Paese ospitante al mondo, con una popolazione di 3.5 milioni
di rifugiati, per lo più siriani. Nel frattempo, il Libano
ha ospitato il maggior numero di persone in rapporto alla sua
popolazione nazionale. Complessivamente, il 63% di tutti i rifugiati di
cui si occupa l’Unhcr si trova in soli 10 Paesi. “Purtroppo le soluzioni a tali
situazioni sono state poche mentre guerre e conflitti hanno continuato
a essere le principali cause di fuga, con progressi assai limitati
verso la pace”
Pochi
quelli che tornano a casa
Circa cinque milioni di persone
hanno potuto tornare alle loro case nel 2017, la maggior parte delle
quali però era sfollata all'interno del proprio Paese. Tra
queste, inoltre, in migliaia sono rientrate in maniera forzata o in
contesti assai precari. A causa del calo dei posti messi a disposizione
dagli Stati per il reinsediamento, sono 100mila i rifugiati che sono
potuti tornare a casa, un numero diminuito di oltre il 40 per cento.
Una sconfitta.
L'UE
e l'immigrazione
Persino l'UE negli ultimi anni ha
disatteso i principi sanciti dalla convenzione di Ginevra, firmando con
la Turchia di Erdogan un accordo finalizzato a bloccare il flusso dal
Medioriente proprio mentre i siriani scappavano dalle bombe della
coalizione internazionale e da quelle di Daesh.
Il fallimento dei governi e delle
istituzioni dell'Unione Europea nello sviluppare una risposta politica
efficace sull'immigrazione alimenta, secondo Human Rights Watch, una
crisi politica senza precedenti.
Lezioni
di umanità dall'Uganda
Una delle crisi umanitarie
più dure al mondo, in ballo ormai da cinque anni, la sta
soffrendo il Sud Sudan, e mentre il vecchio continente chiude le porte,
Medici con l'Africa Cuamm ricorda gli sforzi, silenziosi e imponenti,
che l'Uganda sta mettendo in atto per accogliere oltre 1.000.000 di
rifugiati in fuga dal più giovane Stato del mondo, messo in
ginocchio dagli scontri interni e dalla fame.
"Questa
crisi non è destinata a risolversi in tempi brevi ma ci
insegna che l'accoglienza di chi ha bisogno è possibile,
lavorando già in Africa. In Uganda per esempio negli ultimi
anni oltre un milione di sud sudanesi sono stati accolti in West Nile,
a nord ovest del paese. Lì vive una popolazione di 1.700.000
persone, che pacificamente hanno accolto e continuano ad accogliere chi
più ha bisogno. È una lezione di
umanità"
Sempre a causa delle tensioni
interne, dal 2013 ad oggi si stima che in Sud Sudan 4 milioni di
persone abbiano dovuto abbandonare la propria casa, un terzo dei 12,3
milioni di persone che costituiscono la popolazione. Molti di questi
trovano rifugio all'interno del paese, ospitati dalle
comunità, andando a gravare su un servizio sanitario
già estremamente debole. Altri scappano nei paesi vicini,
Uganda ed Etiopia in primo luogo. Anche in Etiopia Medici con l'Africa
Cuamm interviene a sostegno dei rifugiati e della popolazione che
accoglie, rafforzando il sistema sanitario della regione di Gambella e
gestendo il centro di salute del campo rifugiati di Nguenyyiel.
La
situazione in Italia
In Italia, alla luce del rifiuto del
Governo di permettere a una nave di soccorso di una Ong di attraccare,
la linea dura è sotto gli occhi di tutti e, malgrado alcune
importanti manifestazioni di sensibilizzazione antirazzista, come il
flash mob, organizzato da Caritas Ambrosiana, di due scalatori del
gruppo alpinistico i "Ragni di Lecco" che si sono calati per protesta
dal "Pirellone",
sede del consiglio della Regione Lombardia, il clima di intolleranza
è purtroppo destinato a peggiorare.
Segnali positivi arrivano da
realtà come Refugees Welcome Italia, associazione che
promuove l'accoglienza in famiglia dei rifugiati, che negli ultimi
giorni ha registrato un picco di iscrizioni sulla piattaforma, pari a
oltre l'80%, per un totale di circa 40 nuove famiglie pronte ad aprire
le porte a chi scappa da guerre, persecuzioni e povertà.
Il
dramma dei minori non accompagnati
SOS Villaggi dei Bambini ha lanciato
la campagna "L'impegno a favore dei migranti in Italia e nel mondo",
una road map per accendere i riflettori sui diritti e i bisogni dei
minori che arrivano in Italia e far sì che vengano trattati
e considerati semplicemente come bambini. Nel 2017, l'organizzazione ha
aiutato 266 tra Minori Stranieri Non Accompagnati e giovani richiedenti
asilo, grazie ai Villaggi SOS e ai Programmi di assistenza a Torino e
Crotone.
A preoccupare maggiormente gli
operatori vicende come quella della nave Aquarius, che ha coinvolto 123
bambini, e i casi di detenzione degli oltre duemila minori separati dai
genitori negli Stati Uniti, in attesa di un verdetto sulla
possibilità o meno di restare negli USA.
Il
rapporto Global Trends 2017
È un rapporto statistico
dell'UNHCR, una mappatura globale dei flussi di uomini, donne e bambini
in fuga da guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti umani. Lo
scopo del rapporto in tutto il mondo in occasione della Giornata
Mondiale del Rifugiato, è quello di monitorare gli esodi
forzati sulla base dei dati forniti da governi e altri partner.
Non
viene invece esaminato il contesto globale relativo all'asilo, a cui
l'UNHCR dedica pubblicazioni separate e che nel 2017 ha continuato a
vedere casi di rimpatri forzati, di politicizzazione e uso dei
rifugiati come capri espiatori, di rifugiati incarcerati o privati
della possibilità di lavorare, e diversi paesi che si sono
opposti persino all'uso del termine "rifugiato"
Troppe
volte e per troppo tempo alla donna è stata associata l'idea
sbagliata della sprovveduta, dell'ingenua e della vittima sacrificale
La violenza è il tuo nemico
Troppe volte e per troppo tempo alla
donna è stata associata l'idea sbagliata della sprovveduta,
dell'ingenua e della vittima di chi vuole solo approfittarsi di lei.
È accaduto, accadono questi
fatti e purtroppo anche oggi molto spesso. Ma si deve dire basta, alle
illusioni e alle belle parole devono seguire reali dimostrazioni.
È finito il tempo dell'incanto, è giunto il
momento della liberazione.
Non
solo il femminicidio, che è solo la punta di
un iceberg gigantesco che comprende anche reati odiosi che passano in
secondo ordine, relegati o addirittura ignorati dalle cronache, o
troppo spesso non denunciati: maltrattamenti domestici, mobbing sul
lavoro, stalking, violenza sessuale, stupri, ecc..
In molti luoghi del mondo inoltre la
donna è vittima della stessa società, della
cultura e dell'ignoranza che "tollera"
reati contro la donna odiosi, perché in quanto donna
è considerata un essere "inferiore".
Tratta di esseri umani, sfruttamento
lavorativo, schiavitù sessuale, violenze e stupri di massa,
bigamia e sottomissione al marito, matrimoni combinati e precoci,
mutilazioni genitali, bambine soldato, mortalità per
problematiche legate alla gravidanza o al parto, ecc..
Giornata Mondiale contro la violenza sulle Donne, ecco perché si celebra il 25 novembre
Il 25 novembre ricorre la Giornata
Mondiale contro la violenza sulle Donne, ricorrenza istituita il
17 dicembre 1999 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite,
tramite la risoluzione numero 54/134. La data è stata scelta come
giorno della ricorrenza in cui celebrare attività a sostegno delle
donne, sempre più vittime di violenze, molestie, fenomeni di
stalking e aggressioni tra le mura domestiche. Il 25 novembre non
è una data casuale: quel giorno infatti, correva l’anno 1960,
furono uccise le sorelle Mirabal, attiviste politiche della
Repubblica Dominicana.
Giornata mondiale
contro la violenza sulle donne. Il caso Mirabal
Il brutale assassinio delle tre sorelle Mirabal fu
fortemente sentito dall'opinione pubblica. Le tre donne sono
considerate ancora oggi delle rivoluzionarie per l’impegno con cui
tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo (1930-1961),
il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell'arretratezza
e nel caos.
Il 25 novembre del 1960 le tre donne si recarono a
far visita ai loro mariti in carcere quando furono bloccate sulla
strada da agenti del Servizio di informazione militare che le
portarono in un luogo nascosto. Qui furono torturate, stuprate,
massacrate a colpi di bastone e strangolate a bordo della loro
auto.
La storia delle
sorelle Mirabal: bibliografia e filmografia
L’unica sopravvissuta fu la quarta delle sorelle
Mirabal, Belgica Adele, che dedicò la sua vita a onorare il
ricordo delle tre donne. Pubblicò successivamente un libro di
memorie: Vivas in su jardin.
Le sorelle Mirabal sono conosciute anche con il
nome “Mariposas”, poiché simili a delle farfalle in cerca
di libertà. La loro storia venne raccontata anche dall’opera della
scrittrice dominicana Julia Alvarez, Il tempo delle farfalle, in
Italia edito da Giunti. Esistono anche due film che raccontano la
loro biografia “In the Time of Butterflies” (2004) e “Trópico
de Sangre” (2010).
"Odio
intensamente le discriminazioni razziali in ogni loro manifestazione"
(Nelson Mandela)
Le discriminazioni su base etnica,
religiosa o verso minoranze, o verso gruppi politici, sono purtroppo
sempre presenti. Ancora oggi nel Mondo sono decine di milioni le
persone, le popolazioni e gruppi discriminati a causa del colore della
loro pelle, della loro religione, del fatto di essere minoritari nel
loro ambito socio-culturale.
Il
razzismoè
presente anche nel web e nei social network. Su facebook
proliferano moltissimi gruppi che si proclamano esplicitamente "razzisti", altri
che sono palesemente discriminatori verso persone di colore, verso gli
immigrati, verso questa o quella religione.
Abbiamo più volte
denunciato
il fatto che, proprio su facebook, in nome della libertà di
espressione e di pensiero, molti gruppi "razzisti" vengono
quantomeno "tollerati".
Nel Mondo, secondo una recente
statistica che ha monitorato per alcuni anni in 87 Paesi il grado di
"intolleranza"
della popolazione verso le diversità etniche e religiose, ha
elaborato una classifica dalla quale risulta che la maglia nera va ad
Hong Kong, India e Bangladesh, mentre i più "tolleranti" sono
gli Usa, la Gran Bretagna e il Canada.
L'Italia
è
classificata come Paese "non
razzista" anche se nell'ultimo anno
(2018-2019)
gli atti discriminatori e di intolleranza verso gli immigrati e le
persone di colore sono decisamente aumentate. Tra tutti i paesi
europei
quello più intollerante risulta essere la Francia.
Le
discriminazioni non si misurano solo con le statistiche o con i sondaggi,
ma si vedono anche nelle piccole cose quotidiane, nella vita di tutti i
giorni, nei gesti, negli sguardi delle persone che ci circondano.
In Italia, l'Ufficio Nazionale
Anti-discriminazioni Razziali del Ministero dell'Interno (UNAR) del
Dipartimento
delle Pari Opportunità, ogni anno elabora un "Dossier
Statistico"
in base alle segnalazioni ricevute.
I casi di discriminazione segnalati
vengono poi sddivisi in base a tipologie su base etnico-razziale (oltre
il 60%
delle segnalazioni), nei
contesti di vita pubblica (20% circa),
accesso al lavoro e ai
servizi pubblici (meno
del 10% delle
segnalazioni), altre minori come l'accesso alla casa, in
ambito
scolastico, e discriminazioni delle forze dell'ordine.
Odio intensamente le discriminazioni
razziali, in ogni loro manifestazione. Le ho combattute tutta la mia
vita, le continuo a combattere e lo farò fino alla fine dei
miei giorni
(Melson
Mandela)
NEGRA,
video per denunciare il razzismo
subdolo. Brano autobiografico che parla delle difficoltà di
tutti coloro che hanno un colore della pelle diverso in Italia. Lei
è Cecile,
una "negra"
di 21 anni nata a Roma. (Brano
presentato al festival di Sanremo 2016)
"Ma quando mi vedi nuda vado bene anche
sono NEGRA"
Contro
chi ci chiude i porti in faccia e sequestra le navi di chi salva i
nostri figli. Africa Libera
Prima
ci avete "rubato"
i nostri giovani e le nostre ragazze, e ci avete venduti come schiavi
nel "Nuovo
Mondo".
Poi
siete venuti da noi e ci avete "sottomessi"
imponendoci le vostre leggi, le vostre religioni, le vostre lingue, e
ci avete sfruttati portando via le nostre ricchezze (colonialismo). Ci
avete messi gli uni contro gli altri per i vostri interessi economici e
politici.
Avete
creato e finanziato guerre e massacri, avete corrotto i nostri governi
per mandarci le vostre multinazionali a rubare ancora le nostre
ricchezze, i nostri diamanti, i nostri minerali preziosi, il nostro
petrolio, rubate le nostre terre, inquinate i nostri fiumi e la nostra
natura, distruggete le nostre foreste e uccidete la nostra preziosa
fauna selvatica.
Per la vostra sete di ricchezza avete
ucciso i nostri figli, le nostre donne, i nostri ragazzi. Ma ora diciamo basta.
Non
ne possiamo più di vedere
i nostri figli e figlie trattati come zimbello dei paesi che fino a
ieri hanno fatto man bassa delle nostre materie prime.
Non
ne possiamo più di vedere
i nostri figli e figlie essere cibo per i pesci del "Mare Nostrum".
Non
ne possiamo più di vedere
morire di fame i nostri figli perché il già ricco
occidente "depreda" le nostre ricchezze, inquina i nostri terreni
agricoli e le nostre acque.
Non
ne possiamo più di questa
Europa che prima ci ha reso schiavi e ora ci sfrutta, ma che continua a
respingerci, a chiudere i porti, a sequestrare le navi che salvano
dalla morte i nostri figli.
Via
dall'Africa le multinazionali
straniere che rubano all'Africa Via dall'Africa
le multinazionali straniere che sfruttano l'Africa Via dall'Africa
chi non ci rispetta, nessuno dovrà mai
più rubare la nostra dignità
Africa
Libera
Franco
CFA. Il paradosso africano della moneta forte in
un'economia debole, il neocolonialismo finanziario francese ai danni
dei paesi francofoni dell'Africa sub sahariana.
La
Storia di Maris che fu schiava sessuale per nove anni, prima in Italia
e poi in Spagna
Maris
Davis e la
sua storia personale, vittima
di tratta e di schiavitù sessuale tra il 1995 e il 2003,
prima in Italia e poi in Spagna. Fondatrice di Friends of Africa,
autrice di testi e articoli sull’Africa e sempre in prima linea nella
lotta alla Mafia Nigeriana
Freetown 1974, Maris nasce durante una guerra
Maris Davis
Joseph, a cui è dedicata la nostra
Fondazione è nata a Freetown
(città
fondata da
ex-schiavi) in Sierra Leone da genitori nigeriani
il 2 luglio 1974
(originale
del certificato di
nascita). Il papà, militare
dell’esercito
nigeriano, fu trasferito in Sierra Leone al tempo della rivoluzione che
insaguinava quel Paese, in appoggio all’esercito governativo (la così detta Guerra
dei diamanti degli anni settanta). Si può ben
dire che Maris nacque nel bel mezzo di una guerra, i genitori
ritornarono in Nigeria quasi subito dopo la sua
nascita e si
stabilirono in un villaggio intorno alla città di Benin City.
Il
papà aveva due mogli (la
bigamìa è consentita anche adesso),
come molti
altri uomini in Nigeria. Famiglia povera, ma non poverissima, lo
stipendio di militare dell’esercito del babbo permetteva il
sostentamento. Maris era la maggiore dei 4 figli di sua mamma, poi
c’erano altri 5 fratelli e sorelle dell’altra moglie.
Benin City, la nonna e gli studi
Maris
però trascorse la sua
gioventù nella città di Benin City dalla
nonna,
che rimasta vedova, la accolse come una figlia e la fece studiare,
evento molto raro nella Nigeria dell’epoca perché le ragazze
erano discriminate nello studio a favore dei maschi, e un po’ lo sono
anche adesso. La nonna,
donna molto forte e determinata, viveva
commerciando frutta e verdura, plasmò il
carattere di Maris
tant’è che anch’essa divenne una bravissima venditrice,
determinata e forte. Carattere che l’aiutò molto quando fu
costretta, prima in Italia e poi in Spagna, ad affrontare eventi
davvero terribili.
Conseguito il diploma, come tante sue
coetanee divenne una delle decine di migliaia di vittime della
“tratta“,
forse venduta dal suo stesso papà che comunque la
incoraggiò a venire in Italia. Un traffico di ragazze, molto
attivo ancor oggi, giovani ragazze che dalla Nigeria partono con la
speranza di trovare in Europa un lavoro onesto ed invece diventano
schiave nelle mani della mafia nigeriana.
Erano
gli anni 1994 e 1995, e da qui in
poi è Maris stessa che ha raccontato quello che le accaduto
prima in Italia e poi in Spagna, fino al suo definitivo rientro in
Italia nel 2006. Un’autobiografia che denuncia la sua condizione di
“schiava
sessuale” e pubblicata (in italiano)
nell’agosto del 2010
durante il suo primo viaggio a Toronto (Canada).
Aprile 1995.
L’arrivo in Italia
Prima città Torino, e quei
signori eleganti mi presero a forza e, alla presenza della mia prima
“mamam”, mi violentarono ripetutamente, per tre giorni di seguito, mi
dissero che dovevo imparare il mestiere. Non avevo ancora compiuto i
miei 21 anni.
Parlo
di
me (Senza Paura)
Breve
Autobiografia scritta da lei stessa
Edizione
2017 ampliata e arricchita con nuovi documenti e
testimonianze
Era
quasi la fine di Settembre del 2003, e quella “maledetta” estate
era finalmente terminata. In quella malefica stanza di una delle tante
cittadine che stanno intorno a Madrid, i miei “carcerieri” non
avevano nessuna pietà di me, anche se stavo male, anche se
ero l’ombra di me stessa e ormai magrissima, senza speranza e senza
contatti con la mia famiglia ormai da più di un anno e
mezzo, ma loro continuavano a tenermi “segregata” in
quella stanza buia, dove ogni tanto arrivava qualche “cliente“
a cui, anche se piangendo e piena di vergogna, dovevo soddisfare le sue
“stronze“
voglie di sesso. Pregavo, pregavo in continuazione, chiedevo a Dio di farmi
morire, volevo
davvero morire.
11-M Marid,
Atocha 11 marzo 2004. Io c’ero
Scampa
agli attentati di matrice islamica che a Madrid provocano quasi 200
morti e più di duemila feriti. Un episodio che
ricordò lei stessa in un articolo apparso nel suo blog a
dieci anni da quei fatti.
Agosto 2004
Dopo
5 anni rivede quello che sarà il suo futuro marito, Florindo,
un friulano che aveva conosciuto a Udine poco prima del suo rapimento
nel 1999 e adesso arrivato in Spagna proprio per aiutare Maris ad
uscire da una situazione davvero difficile. Florindo sarà il
tramite tra Maris e il consolato italiano di Madridsia per recuperare i
documenti ma anche per ridare a Maris la necessaria
tranquillità economica e psicologica dopo la terribile
esperienza vissuta.
Maris diventa collaboratrice di giustizia
Per due anni è costretta a vivere in regime di semi-protezione.
Maris
denuncia i suoi rapitori e i suoi sfruttatori. Le
autorità di polizia spagnole, in collaborazione con quelle
italiane, dopo alcuni mesi dalle denunce di Maris, e dopo indagini
accurate arrestano alcuni nigeriani che operano tra Italia e Spagna, ma
non coloro che l’avevano tenuto prigioniera e l’avevano sfruttata. Si
accerterà in seguito che erano rientrati in Nigeria.
In
ottobre si trasferisce in nuova abitazione a Parla, una cittadina
a 20 chilometri a sud di Madrid. È una soluzione per
proteggere Maris dalla mafia nigeriana e per prevenire altri atti di
vendetta nei suoi confronti.
Estate 2005
Maris
si ammala gravemente, le
viene diagnosticato un cancro alle ovaie mai curato e per questo in uno
stato avanzato. Subisce
una delicata operazione all’utero che le impedirà
per sempre di diventare mamma.
Nel frattempo prosegue la collaborazione con le autorità
spagnole e il consolato italiano per la ricostruzione della sua vicenda
personale, l’acquisizione dei documenti personali e la denuncia ai suoi
ex-sfruttatatori.
Il
luogo, nei pressi di Madrid, dove Maris ha vissuto
sotto protezione tra
ottobre 2004 e dicembre 2006
Parla, Calle Villaverde
(Comunidad de Madrid)
Madrid,
Ottobre 2006, Maris si sposa
Maris si sposa e poi rientra in Italia, in
Friuli, dove attualmente vive con suo marito.
Principali
avvenimenti 2006-2017
Oggi
Attualmente Maris vive con il marito a Mortegliano
in provincia di Udine. È attiva nel
volontariato, si adopera come mediatrice culturale per aiutare ragazze
nigeriane in difficoltà, pubblica articoli
divulgativi sulla Africa e tematiche sociali contribuendo ad
informare sulle problematiche legate al contrasto della Mafia
Nigeriana.
Spose
Bambine. È
una vera e propria schiavitù, subdola e odiosa, a cui sono
sottoposte ragazzine minorenni e bambine, una tradizione assurda
radicata in molte culture
È un problema odioso
radicato
in molte culture, soprattutto islamiche, indù e tradizioni
animiste del continente africano. Bambine di otto anni, con lo sguardo,
la spontaneità, la voglia di giocare di qualsiasi coetanea.
Solo che loro sono diverse, sono delle "baby spose".
È l'India a detenere il
triste primato per quanto riguarda i diritti negati alle donne e alle
bambine. Per la percentuale di ragazze che si sposano prima dei
diciotto anni, agli ultimi posti della classifica anche Mali,
Bangladesh, Nepal, Yemen e Burkina Faso. Il
47 per cento delle giovani
che oggi hanno tra i 20 e i 24 anni si è infatti sposato
ancora minorenne.
Nel
Mondo
In Pakistan la percentuale di spose
bambine è del 24 per cento, e in Paesi come il Sudan, la
Nigeria e l’Afghanistan la percentuale è,
rispettivamente del 34, 39 e 43 per cento. Tra i virtuosi ci sono
Mongolia e Sri Lanka, con il 9 e 12 per cento dei matrimoni tra
minorenni.
In
Africa
Quello dei matrimoni combinati e precoci
è un fenomeno piuttosto diffuso, nonostante le legislazioni
dei paesi africani si siano adeguate e abbiano vietato i matrimoni con
ragazze minorenni. Ma ancora
un terzo delle ragazze si sposa
precocemente o comunque ancora minorenne, quasi sempre
interrompendo gli studi.
Una pratica che impedisce alle ragazze
di avere una adeguata cultura e le relega alla precarietà,
sottomesse al maschio e all'emancipazione. Le adolescenti sono il
principale bersaglio di
questa tradizione "antica"
e molto radicata nei paesi a maggioranza
islamica e con una cultura animista molto radicata.
Nei
paesi occidentali
In Europa, nelle Americhe e nel
continente australe, salvo rare eccezioni, i matrimoni con minorenni
è generalmente vietato per legge. In Italia i
minorenni non
possono sposarsi. Esiste però una deroga. Per "gravi
motivi", dai 16 anni in poi il tribunale per i minori
può
autorizzare le nozze. Alcuni casi di "spose bambine" si
registrano
all'interno di comunità straniere, in qualche caso il
matrimonio è avvenuto (illegalmente)
in Italia, in molti
altri casi il matrimonio era già avvenuto nei paesi di
origine.
Si
alla cittadinanza italiana a chi nasce in Italia
Circa un milione sono i minorenni,
figli di genitori
stranieri residenti regolarmente in Italia, nati in Italia,
italiani in tutto e per tutto, ma non per la legge.
Infatti la legge n. 91 del
1992 che regola la cittadinanza italiana, non riconosce
l'acquisizione della cittadinanza per lo "Ius Soli"
(sei cittadino
italiano se nasci in Italia), perché in Italia
prevale lo
"Ius
Sanguinis" (acquisisci
la cittadinanza dei tuoi genitori anche se
nasci in Italia).
Questi minorenni nati in Italia da
genitori stranieri potranno chiedere la cittadinanza italiana solo al
compimento del 18° anno di età attraverso un
complicato e costoso iter burocratico, dimostrando di aver vissuto ed
essere sempre rimasti residenti in Italia ininterrottamente, fino ad
allora devono rinnovare il permesso di soggiorno assieme ai genitori.
Sono bambini e ragazzi che "rischiano"
di perdere il diritto alla
cittadinanza italiana solo per una gita scolastica fatta all'estero.
Se i loro genitori, per qualsiasi
motivo dovessero perdere il permesso di soggiorno per qualsiasi motivo
o intoppo, rischierebbero di essere espulsi verso un paese straniero
che non conoscono e nel quale non ci sono mai stati.
Sono bambini e ragazzi che parlano
italiano, anche con inflessioni dialettali, sono integrati, partecipano
alla vita sociale dei luoghi in cui vivono, vanno a scuola esattamente
come i loro coetanei "italiani".
Ma loro, nati in Italia non sono
italiani solo perché i loro genitori sono "stranieri".
Ecco, queste sono le seconde generazioni di migranti.
Secondo un sondaggio ISPSOS il 64%
degli italiani è "molto
favorevole" allo
Ius Soli, e a
questa percentuale si aggiunge anche un ulteriore 15% "abbastanza
favorevole". Una percentuale decisamente alta, una
realtà
del tutto diversa da quella che certi razzisti e pseudo-razzisti
vorrebbero farci credere.
Siamo duri, durissimi, con i figli
degli immigrati "regolari"
nati in Italia e morbidi, troppo morbidi,
con i clandestini che arrivano irregolarmente in Italia.
L'attuale legislazione italiana
sulla cittadinanza è quella più rigida tra tutti
i paesi europei. Una legislazione che non permette il diritto di
cittadinanza nemmeno ai maggiorenni che hanno frequentato regolarmente
le scuole italiane. Una legislazione al limite della violazione dei
diritti umani.
La proposta di uno "Ius
Soli temperato",
si può diventare cittadini italiani dopo aver frequentato
almeno un ciclo scolastico (Ius Culturae),
ci sembra un buon punto di mediazione.
A ottobre 2015 la Camera dei
Deputati ha approvato con 310 sì, 66 no e 83 astenuti il
disegno di legge "Modifiche
alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, e altre
disposizioni in materia di cittadinanza" .. "Ius Soli
temperato"
Attualmente la legge è
ferma al Senato impantanata tra veti incrociati e ostruzionismo delle
opposizioni che non vogliono l'approvazione della riforma sulla
cittadinanza. Una legge che, stante l'attuale governo, Lega-5Stelle, NON
vedrà MAI la sua approvazione definitiva. Anzi, l'attuale
governo a dicembre ha provveduto ad inasprire ulteriormente la
possibilità di richiedere la cittadinanza per gli stranieri
residenti in Italia.
La
nuova legge sulla cittadinanza
2018. Decreto Salvini
Ecco cosa prevede il nuovo D.L. sulla
cittadinanza del ministro Salvini che integra e modifica la legge n. 91
del 1992 e la rende ancor più restrittiva.
(1)
Per l'acquisizione della
cittadinanza italiana si richiede una buona conoscenza della lingua
italiana.
(2)
Innnalza da 200 a 250 euro il
contributo richiesto per la domanda di cittadinanza.
(3)
Estende da 730 giorni a 48 mesi il
termine per la conclusione dei procedimenti della cittadinanza per
matrimonio e per residenza.
(4)
Fissa il termine di sei mesi per il
rilascio degli estratti e dei certificati di stato civile occorrenti ai
fini del riconoscimento della cittadinanza italiana.
(5)
Abroga la disposizione che preclude
il rigetto dell'istanza di acquisizione della cittadinanza per
matrimonio decorsi due anni dalla domanda.
(6)
Revoca della cittadinanza in caso di
condanna definitiva per i reati di terrorismo ed eversione.
Italiani in tutto e per tutto tranne che per la legge
Uno
dei luoghi più inquinati del mondo. Una devastazione causata
solo dallo sfruttamento indiscriminato e dall'arroganza delle Compagnie
Petrolifere
La regione petrolifera della Nigeria,
un'area grande come la pianura Padana, devastata dall'inquinamento dei
terreni, delle acque e dell'aria.
Il
Delta del Niger
La regione del Delta del Niger
è uno dei dieci luoghi più inquinati al mondo, ma
per la sua estensione, la continuità con cui si sta
inquinando, la mancanza di progetti per le bonifiche, fanno del Delta
del Niger il più grave disastro ambientale di sempre, e
tutto questo nell'indifferenza del mondo, in nome solo dei
petro-dollari.
Le compagnie petrolifere hanno
"militarizzato"
quei luoghi. Shell
ed ENI, ma
anche Total,
Erg,
Chevron, Esso e altre.
La corruzione e l'arroganza di queste
compagnie in nome del business ha permesso per decenni (dagli anni '70)
a queste compagnie di estrarre la ricchezza della Nigeria senza alcun
beneficio per la popolazione locale, a cui hanno sottratto terreni da
coltivare e acque in cui pescare.
Il petrolio estratto non viene raffinato
in Nigeria, ma viene subito caricato sulle petroliere e portato via. La
raffinazione avviene in altri luoghi e così la Nigeria,
paese ricco di petrolio, è però povero di
benzina, dove si deve ancora fare la coda per una tanica di carburante.
Attraversata da centinaia di migliaia di
chilometri di tubature (pipeline)
che corrono in superfice per trasportare il greggio estratto fino alla
costa, sono spesso fonte di incidenti causati dalla mancanza di
manutenzione o dal tentativo della popolazione di "rubare" il
petrolio. Sono una delle
principali cause dell'inquinamento di acque e terreni.
Da anni Amnesty International
sta
combattendo contro queste "multinazionali"
e ormai considera
ciò che sta accadendo in questi luoghi un vero e proprio
crimine contro l'umanità, ma che da 50 anni è il
luogo di un "furto"
continuo di ricchezza, di una aberrazione
indescrivibile che i "vincitori"
della Guerra
del Biafra
stanno facendo
pagare a chi ha perso tutto, a chi non può più
coltivare la propria terra una volta fertile, a chi non può
più pescare in quelle acque che una volta erano azzurre.
Le multinazionali del petrolio hanno
"rubato" non
solo il nostro petrolio, ma anche la nostra terra.
Nel 2012 la Corte di Giustizia della
Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale ha
giudicato la Nigeria responsabile della violazione della "Carta
Africana" dei diritti umani e dei popoli riguardo alle
condizioni di
vita delle popolazioni del delta del fiume Niger.
La Corte ha stabilito che il governo
federale nigeriano è responsabile del comportamento delle
compagnie petrolifere e che ad esso spetta di chiamarle a rispondere
dell'impatto ambientale gravemente compromesso a causa del loro operato.
Gas
Flaring
Il "Gas Flaring"
(un gas che si trova
nella parte superiore dei giacimenti petroliferi) che
brucia in
continuazione provoca un panorama desolante, e la ricaduta al suolo
delle sottilissime polveri bruciate provoca rossore permanente agli
occhi, tumori della pelle, e gravi malattie legate alla respirazione.
Si stima che la trasformazione del gas
flaring della Nigeria potrebbe fornire energia elettrica e metano
all'Africa Sub-Sahariana e all'Africa Centrale per centinaia di anni,
ma si preferisce "bruciarlo"
piuttosto che costruire impianti per la
sua trasformazione che, oltretutto, darebbe lavoro a migliaia di
persone.
Diritti
umani, crimini di guerra e crimini contro l'umanità, eccidi,
massacri, profughi, emigrazione, dittature cruente, tutto questo
è il prodotto di secoli di sfruttamento dell'Africa
Per le guerre di oggi è
più giusto dire "Guerre
ignorate" .. Analizzando le due parole viene difficile
capire come si possa "dimenticare"
la propria contemporaneità, si scorda il passato non il
presente, questo tutto al più lo si "ignora". Ma ignorare
una guerra significa anche ignorare chi la vive e la subisce.
Il passato ed il presente ci hanno
abituato a conflitti anche cruenti in Africa, spesso l'occidente li ha
visti, e li vede, come semplici problemi interni, e che nulla avevano o
hanno a che fare con il dorato mondo civile.
Diritti umani, crimini di guerra e
crimini contro l'umanità, eccidi, massacri, profughi,
emigrazione, dittature cruente, tutto questo è il prodotto
di secoli di sfruttamento dell'Africa da parte di potenze europee, e
non solo europee.
Il vero dramma dell'Africa è
iniziato con la Conferenza
di Berlino (1884-1885)
quando le potenze
europee di allora si sono spartite l'Africa, dando il via al processo
di colonizzazione che si sarebbe concluso solo all'inizio degli anni
sessanta.
Un secolo che ha privato l'Africa, non
solo delle sue risorse naturali, ma ha privato l'Africa anche delle sue
ricchezze culturali, naturali e politiche.
Ha privato generazioni e generazioni di
africani di vivere della loro identità culturale,
obbligandoli a seguire religioni non loro, a parlare lingue non loro,
imponendo la cultura europea, alimentando conflitti tribali, riducendo
in schiavitù giovani, uomini, bambini e donne.
La fine della colonizzazione "politica"
del continente africano non ha però fatto cessare
l'influenza economica dell'Europa sull'Africa. Il petrolio, i minerali
preziosi, i minerali rari, i diamanti, immensi territori da adibire ad
agricoltura sono sempre sotto il controllo e sfruttati da
multinazionali europee e compagnie straniere, con la
complicità di governi e autorità locali, che pur
di mantenere il potere hanno sottomesso la loro stessa popolazione.
Darfur,
regione sud-occidentale del Sudan, è una delle tante "guerre
dimenticate dell'Africa". Venti anni di massacri e diritti
violati, oltre mezzo milione di morti, almeno tre milioni, il 70% della
popolazione costretta ad abbandonare i luoghi d'origine. Nel 2012 la
Corte Penale dell'Aia condanna l'ex-presidente del Sudan, Omar
al-Bashir, per crimini di guerra. Questo Video di Mattafix è
stato girato in un campo profughi del Darfur. Prodotto da Mick Jagger
per ricordare al mondo una tragedia ancora in atto ma di cui nessuno
parla.
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