Ci
sono 17 paesi che ospitano un quarto
della popolazione di tutto il mondo e che stanno affrontando una
gravissima crisi idrica: corrono un rischio molto elevato
di terminare
le proprie risorse di acqua. Lo sostiene un’analisi del World
Resources Institute (WRI),
un’organizzazione non profit che
si occupa di misurare le risorse naturali globali. Secondo i dati del
WRI questi paesi stanno
prelevando troppa acqua dalle proprie falde
acquifere, mentre dovrebbero conservarne per periodi di
maggiore
siccità.
Paesi come Qatar, Israele, Libano e Iran
ogni anno prelevano in media più dell’80 per cento
delle proprie risorse totali di acqua, e rischiano seriamente di
rimanerne a corto.
Ci
sono poi altri 44 paesi, che ospitano
un
terzo della popolazione mondiale, che prelevano ogni anno il 40 per
cento dell’acqua di cui dispongono. Per questi paesi, che
comprendono anche l’Italia (al 44esimo posto),
il WRI
calcola
un alto rischio di terminare le risorse idriche: meno elevato dei primi
17, ma comunque preoccupante.
Dal
1960 a oggi il prelievo di acqua in
tutto il mondo è più che raddoppiato,
a causa
dell’incremento della richiesta, e non dà
segni di
diminuire. Diverse grandi città, dove la
domanda di acqua
è più alta, negli scorsi anni hanno
subìto gravi crisi idriche, rischiando di arrivare a quello
che il WRI
chiama il “Giorno
Zero”: il giorno in
cui tutte le risorse idriche di una città o di un paese
termineranno. Tra queste ci sono San
Paolo in Brasile,
Città
del Capo in Sudafrica,
Chennai in India, e anche Roma, che nel 2017
aveva dovuto razionare il prelievo di acqua a causa della
siccità.
Tra
le cause che hanno portato a un
aumento
così consistente del prelievo di acqua
c’è da considerare il cambiamento climatico, che
ha portato a periodi di siccità più frequenti,
rendendo più difficile l’irrigazione dei terreni
agricoli e costringendo di conseguenza a un utilizzo maggiore
dell’acqua prelevata dalle falde acquifere. Al tempo stesso,
l’innalzamento delle temperature fa evaporare
l’acqua presente nei bacini idrici con più
facilità, esaurendo quella a disposizione per il prelievo.
Quali
sono le zone più interessate
La
crisi idrica riguarda soprattutto
Medio
Oriente, Nord Africa e Sahel, l’area che
nella classifica dei
paesi più a rischio è presente con 12 paesi su
17. Qui i periodi di siccità prolungati e le
temperature
sempre più alte si uniscono a uno scarso investimento nel
riutilizzo delle acque reflue, con un conseguente maggiore sfruttamento
delle risorse interne. I paesi del Golfo Persico, per esempio,
sottopongono a trattamento di purificazione circa l’84 per
cento di tutte le proprie acque reflue, ma poi ne riutilizzano
solamente il 44 per cento.
Ci
sono eccezioni virtuose:
l’Oman
è al 16esimo posto dei paesi più
a rischio idrico, ma sta emergendo come un esempio da seguire;
sottopone a trattamento il 100 per cento delle proprie acque reflue e
ne riutilizza il 78 per cento. Un
paese che invece desta molta
preoccupazione è l’India, che
è al
13esimo posto dei paesi a maggiore rischio idrico, ma che ha una
popolazione tre volte superiore a quella di tutti gli altri 16 paesi
della classifica messi insieme.
Un altro dato di cui tenere conto
è che ci sono anche paesi dove il rischio di crisi idrica in
generale è basso, ma che presentano zone interne densamente
abitate con un rischio maggiore. È
il caso degli Stati Uniti
(che sono al 71esimo
posto della classifica del WRI) e del Sudafrica
(al 48esimo posto),
dove rispettivamente lo stato del New
Mexico e la
provincia del Capo
Occidentale soffrono una grave crisi idrica e le cui
popolazioni prese singolarmente sono maggiori di quelle di alcuni dei
primi 17 paesi nella classifica.
Cosa
si può fare
Il
WRI dice che tra tutte le
città che hanno più di 3 milioni di abitanti,
33
stanno soffrendo una grave crisi idrica, con un totale di 255 milioni
di persone coinvolte, e stima che per il 2030 la situazione
peggiorerà e il numero di città colpite dalla
crisi salirà a 45, con 470 milioni di persone interessate.
Qualcosa si
può fare per fermare questa crisi idrica, e il
WRI suggerisce tre soluzioni.
Innanzitutto
i paesi dovrebbero
migliorare
l’efficienza della propria agricoltura,
utilizzando per
esempio coltivazioni che richiedono meno acqua e migliorando le
tecniche di irrigazione (utilizzando
meno e meglio l’acqua a
disposizione). Inoltre anche
i consumatori potrebbero fare qualcosa,
riducendo lo
spreco di cibo, la cui produzione richiede circa un quarto
di tutta l’acqua utilizzata in agricoltura. Bisognerebbe poi
investire in nuove
infrastrutture per il trattamento delle acque e in
bacini per la conservazione delle piogge, e infine
cambiare il modo di
pensare alle acque reflue: non più uno scarto di cui
disfarsi, ma qualcosa da riutilizzare per non gravare più
sulle risorse idriche interne.