Rapporto OIM, in aumento il numero di ragazze potenzialmente vittime di tratta

Non solo dalla Nigeria, ora stanno arrivando anche dalla Costa d'Avorio. Nuovo rapporto OIM. “Spesso già sfruttate in Tunisia e Libia, sono a rischio di re-trafficking in Italia”. Gli arrivi di donne ivoriane è aumentato in modo esponenziale, passando dall'8% al 46%.

Rapporto OIM, in aumento il numero di ragazze potenzialmente vittime di tratta

In occasione delle celebrazioni per la Giornata Europea contro la Tratta, una delle forme di schiavitù moderna più diffusa del ventunesimo secolo, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) pubblica un rapporto su un nuovo fenomeno di sfruttamento recentemente emerso a seguito dell’analisi dei flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo Centrale.

Aumento esponenziale delle donne ivoriane in arrivo con i "barconi"

Un aumento di donne in arrivo dalla Costa d'Avorio passato nell'ultimo anno dall'8 al 46%. Tutte a grave rischio sfruttamento. Nel corso dell’ultimo anno l’OIM, presente nei principali punti di sbarco italiani con diversi team anti-tratta, ha rilevato un aumento della presenza di ragazze provenienti dalla Costa d’Avorio. “Abbiamo ragione di credere che molte di queste ragazze siano purtroppo vittime di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo e a volte anche sessuale”, spiega Laurence Hart, direttore dell’Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo dell’OIM. I numeri relativi agli arrivi via mare dei migranti provenienti dalla Costa d’Avorio rivelano come, a una riduzione del numero complessivo dei migranti di nazionalità ivoriana in ingresso in Italia negli ultimi anni, corrisponda il progressivo aumento della percentuale di donne coinvolte, dall’8% sul totale dei migranti di questa nazionalità sbarcati nel 2015 al 46% del 2019.

C'è chi paga il viaggio, ma poi si rivale sfruttando

Nella maggioranza di casi il Paese di partenza è la Tunisia, e, dai colloqui che abbiamo avuto con queste giovani ragazze, pare evidente che ci troviamo di fronte a quello che può essere definito un fenomeno di re-trafficking

Sottoposte a "servitù domestica" in Libia o in Tunisia, maltrattate e private della libertà personale, abusate dai loro "padroni", vengono vendute ai trafficanti per essere portate in Italia e sfruttate di nuovo. Il fenomeno del re-trafficking di ragazze della Costa d'Avorio è paurosamente aumentato

Molte, reclutate nel loro paese per lavorare come domestiche o cameriere, diventano invece vittime di servitù domestica una volta arrivate in Tunisia o in Libia, dove sono sottoposte a maltrattamenti, violenze e privazione della libertà personale, nonché costrette a subire abusi sessuali da parte dei loro sfruttatori. A questa fase ne segue un’altra, che prevede un ulteriore sfruttamento in Europa organizzato da persone che si dicono disposte a farsi carico dell’organizzazione e dei costi della traversata nel Mediterraneo, ma che poi hanno intenzione di sfruttare le vittime una volta giunte in Italia o in altri paesi dell’Unione Europea

La liberazione dagli aguzzini

Dopo lo sbarco in Italia alcune di queste vittime, consapevoli di poter incorrere in una rinnovata condizione di sfruttamento, hanno deciso di chiedere aiuto all’OIM per potersi finalmente liberare dai loro aguzzini. “La scoperta di questo circuito di sfruttamento dimostra ancora una volta come dietro ai numeri degli sbarchi ci siano storie molto drammatiche, di cui spesso si sa troppo poco. Non possiamo fare a meno di pensare alle ragazze ivoriane morte lo scorso 7 ottobre nel corso del naufragio avvenuto al largo di Lampedusa, una tragedia che ci riporta alla memoria l’altro drammatico incidente che nel 2017 causò la morte di 26 ragazze nigeriane, anche loro probabili vittime di tratta

In aumento il numero di prostitute-schiave in Italia

La lunga lotta anti-tratta

Occorre fare di più per proteggere questi gruppi di ragazze vulnerabili, che non solo subiscono una lunga serie di abusi e violazioni di diritti umani, ma poi si trovano costrette a rischiare di morire in mare

Come OIM ribadiamo la nostra volontà a continuare a impegnarci nella lotta alla tratta di esseri umani, promuovendo attività di identificazione e di protezione delle vittime rafforzando l’esistente stretta collaborazione con Procure, Forze dell’Ordine, Ministeri e organizzazioni che lavorano sul territorio

Dossier Save the Children sulle vittime di tratta. 1400 adolescenti schiave prostitute

I trafficanti le portano dalla Nigeria e dall'Est Europa. E le tengono sempre più nascoste, per sfuggire ai controlli. Il rapporto "Piccoli Schiavi" dà voce alle associazioni, preoccupate per le conseguenze del decreto Sicurezza.

Dossier Save the Children sulle vittime di tratta. 1400 adolescenti schiave prostitute

Adesso le nascondono. Le tengono segregate in appartamenti, o le portano lungo strade sempre più periferiche, isolate. E ovviamente le picchiano per non parlare, a Palermo come a Torino e in Germania. Sono le vittime della tratta sessuale, schiave giovanissime, neo maggiorenni o ancora bambine, costrette a vendersi da una rete di trafficanti che prima le obbligano a partire e poi a prostituirsi.

Il dramma della tratta delle schiave dalla Nigeria e dall'Est Europa, all'Italia e all'Europa è al centro del nuovo rapporto sui “Piccoli schiavi invisibili” di Save The Children. La Onlus, con il progetto “Vie d'uscita”, ha permesso l'anno scorso a 31 vittime di trovare un futuro, di uscire allo sfruttamento. Gli operatori in sole cinque regioni hanno incontrato oltre mille adolescenti sfruttate sessualmente. Mille e quattrocento schiave, obbligate a vendersi al costo di ferite fisiche e psicologiche talmente buie da cancellare le parole stesse per spiegarsi.

Le nuove forme di controllo e sfruttamento

L'ultima relazione semestrale della Direzione investigativa Antimafia ha dedicato ampio spazio al tema della tratta. A dicembre del 2018 la polizia ha arrestato otto nigeriani della confraternita “Eiye” a Torino, accusati di associazione di tipo mafioso, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione.

A marzo era stata la volta di Palermo, ad aprile di Cuneo; a maggio grazie alla denuncia di una minorenne, costretta a prostituirsi insieme a un'amica a Giugliano, è stata fermata una rete di sfruttamento a Napoli. Il mese scorso un'altra operazione, fra Palermo, Napoli, Dervio, in provincia di Lecco, e Bergamo ha fermato quattro uomini. Sono nigeriani, liberiani e italiani, tra cui un 78enne che faceva da vedetta e accompagnava le ragazze nelle zone di prostituzione.

Il controllo dei trafficanti infatti è totale. E così il loro tentativo di non perdere la “merce”, le ragazze. Daniela Moretti del Servizio anti-tratta “Roxanne” del Comune di Roma, spiega nel rapporto di Save the Children come i trafficanti cerchino infatti di occultare sempre più la presenza delle minorenni sul territori. Ricorrendo alla prostituzione in appartamento ad esempio piuttosto che in strada, dove è più facile vengano individuate dagli operatori. Questo rende sempre più difficile la possibilità di entrare in contatto con loro e di offrire percorsi di protezione.

«In Piemonte, e nello specifico nell’astigiano, è stato segnalato da Alberto Mossino di PIAM un aumento delle connection houses, ovvero case chiuse, ma aperte solo per uomini africani, in cui le ragazze possono affittare un posto letto il cui pagamento sarebbe garantito con i proventi derivanti dalla prostituzione», spiega il dossier sui “Piccoli Schiavi”: «Anche Andrea Morniroli di Dedalus ha riconosciuto come nella città di Napoli e provincia l’indoor rappresenti una modalità di sfruttamento assai diffusa e si stiano progressivamente sviluppando diverse connection houses». Morniroli ha raccontato come cercano comunque di entrare in contatto con le ragazze per offrire aiuto: «In questi casi si procede via telefono. Inizialmente ci si finge clienti al fine di capire il tipo di prestazioni offerte e quale sia il livello di autonomia. Molto spesso, componendo lo stesso numero non si riesce a parlare con la stessa persona e scopri che tre persone hanno 15 numeri diversi, così inizi a pensare ci sia un’organizzazione alle spalle»

È difficile, ma tentano lo stesso, continuamente, a spiegare alle ragazze le possibilità che offre loro il paese per salvarsi. Possibilità che esistono, sono radicate. Ma hanno bisogno di fondi, risposte legali, e standard di intervento sui documenti da parte delle questure. Proprio sul punto dei permessi si aprono oggi nuovi rischi, a causa del decreto Sicurezza voluto dal ministro dell'Interno Matteo Salvini.

Le conseguenze del decreto sicurezza

Lo stesso governo, il Conte uno, che ha aumentato i fondi per le iniziative anti-tratta (24 milioni di euro dal 2019 al 2021) ha voluto infatti un decreto che indebolisce gli strumenti con cui gli operatori possono aiutare le vittime. Con il Decreto sicurezza, spiega il rapporto di Save the Children, è stata abolita la protezione per motivi umanitari, ovvero il modello di permesso più utilizzato per le ragazze sfruttate. Che ora si troveranno in condizioni di non poterlo rinnovare. A meno di non riuscire a ottenere un nuovo visto di soggiorno per “casi speciali”, fra cui la violenza domestica e il grave sfruttamento.

Per le vittime di tratta esisterebbe da tempo un altro strumento, la protezione sociale “ex art.18”, ma il modo con cui viene accordata varia a seconda della Questura di appartenenza. Spesso viene infatti chiesto che la vittima, per ottenere il documento, denunci dettagliatamente le persone che l'hanno costretta a prostituirsi. Una denuncia che le espone, di fatto, a una vendetta dei trafficanti. Di cui hanno paura, per sé o per la propria famiglia. Da tempo le associazioni chiedono che vengano stabilite linee guida perché alle ragazze che si ribellano e iniziano un percorso di reinserimento sia riconosciuto un permesso, a prescindere dalla denuncia.

Ci sono poi altre due conseguenze del decreto Sicurezza. Con la chiusura dell'accesso nelle piccole strutture comunali della rete Sprar per la prima accoglienza, le ragazze si ritrovano oggi nei centri straordinari. Dove è maggiore il numero di persone e spesso inferiore la preparazione dei gestori. Così è difficile che i responsabili si accorgono dei segnali di disagio di una vittima o di una potenziale sfruttata. Lasciandola in balia dei trafficanti, anche all'interno stesso del centro. Infine, secondo il decreto Salvini chi ha un permesso di protezione internazionale non può iscriversi all'anagrafe.

«E benché l’accesso ai servizi, come l’iscrizione sanitaria, ai sensi del Decreto, sia assicurato nel luogo del domicilio, la residenza rappresenta di fatto la chiave per l’esercizio effettivo di alcuni diritti fondamentali riconosciuti dalla nostra Costituzione. Inoltre alcune ASL continuano a richiedere la residenza, ostacolando l’accesso al servizio sanitario. Che rappresenta uno degli strumenti essenziali per garantire assistenza alle vittime di sfruttamento sessuale»

Non chiamateli clienti

Trovare ogni mezzo per abolire questo business orrendo deve invece restare una priorità. Legale. Ma anche culturale. «Non si può ignorare il fatto che il fiorente mercato dello sfruttamento sessuale delle minorenni è legato alla presenza di una forte “domanda” da parte di quelli che ci rifiutiamo di definire “clienti”, i quali sono parte attiva del processo di sfruttamento. È necessario rafforzare l’azione di contrasto e, allo stesso tempo, promuovere iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica e in particolare i più giovani sui danni gravissimi che questo mercato provoca sulle ragazze che ne sono vittima»

Non chiamateli clienti. Sono solo "aguzzini" di passaggio che approfittano della sofferenza di ragazzine minorenni. Chiamateli piuttosto "stupratori a pagamento"

Minorenni come Happy. Una ragazza a cui la violenza ha tolto anche le parole: non riesce a raccontare tutta la sua storia. Interi pezzi della sua vita restano neri, silenzio.

Cresciuta in una famiglia numerosa di Benin City, in Nigeria, la sua storia ricalca quella di molte, troppe, sue coetanee, convinte come lei a partire con una promessa. Nel suo caso l'impiego in un bar. Affronta la rotta lungo il deserto, in Libia iniziano gli abusi. Quindi il gommone, il salvataggio nel canale di Sicilia, la trappola della rete di contatti che le forniscono tutto, biglietti, documenti, indirizzi, fino all'incontro con la donna che la porta al lavoro. In Germania. È lì che Happy viene costretta a prostituirsi da un'aguzzina che le requisisce tutto, compreso il telefono per parlare con la famiglia. In compenso la porta dal parrucchiere, la istruisce su cosa dire alla polizia per il permesso, l'accompagna in strada, controlla e prende i soldi alla fine dei rapporti.

«Una mattina sono tornata dal lavoro in strada all’alba ed ero sfinita, mi sono messa a letto ma Zainab (la mamam) mi ha svegliata e mi ha costretto con violenza ad avere rapporti con un cliente. Dopo quella volta ho detto che volevo parlare con i miei genitori, che non sopportavo più quella vita, e mi stavo preparando i bagagli per chiedere aiuto a quelli dell’accoglienza, ma lei ha fatto entrare in casa due uomini nigeriani, che hanno cominciato a spintonarmi e a insultarmi. Ho cercato di scappare ma mi hanno presa a calci; mi sono accorta che uno dei due aveva in mano una pentola con acqua bollente, a quel punto mi sono buttata dalla finestra. Mi sono fatta molto male, qualcuno del vicinato mi ha soccorsa ma in ospedale non potevano operarmi perché ero senza documenti. Io per paura non ho raccontato nulla; poi è arrivata la Polizia e mi ha portato in cella. Mi hanno preso le impronte. Avevo molto male perché non mi curavano abbastanza. Dopo due settimane mi hanno accompagnata in aeroporto per rimandarmi in Italia»

È in Italia che ha incontrato i ragazzi di Vie d'Uscita ed è riuscita a cambiare il suo presente. È entrata in una comunità protetta, quindi in un programma di formazione. Grazie ai corsi, ha iniziato a lavorare come stagionale in un hotel.

Nigeria. Migliaia di minori imprigionati arbitrariamente con l’accusa di essere complici di Boko Haram

Migliaia di bambini e bambine sono stati incarcerati in modo arbitrario, anche per anni, in condizioni disumane, picchiati e umiliati dall’esercito federale nigeriano nella decennale lotta al movimento terrorista nel nordest. A denunciarlo è un rapporto di Human Rights Watch contestato dai vertici militari.

Nigeria. Migliaia di minori imprigionati arbitrariamente con l'accusa di essere complici di Boko Haram

L’esercito nigeriano avrebbe arbitrariamente arrestato migliaia di bambini per sospetto coinvolgimento con il gruppo islamista Boko Haram. La sconcertante notizia è diventata un rapporto di cinquanta pagine pubblicato da Human Rights Watch (HRW) e intitolato “They didn’t know if i was alive or death” (Loro non sapevano se io fossi vivo o morto), dove è spiegato che tutti questi minori per mesi, e in alcuni casi per anni, sono rimasti detenuti senza specifiche accuse.

Più di 3.600 bambini, tra cui 1.617 ragazzine, sono stati arrestati dalle forze armate nigeriane tra il 2013 e il 2019, secondo i dati raccolti dalle Nazioni Unite. A riguardo, HRW afferma che le autorità nigeriane non hanno consentito l’accesso ai siti di detenzione per verificare queste cifre e di conseguenza non si conosce l’esatto numero dei bambini e delle bambine attualmente detenuti.

Alcuni avevano appena cinque anni

Il dettagliato report rileva che alcuni dei bimbi detenuti avevano appena cinque anni. Altri hanno raccontato di essere stati stipati in centinaia in celle roventi e affollate con un unico bagno nella famigerata caserma di Giwa, nella città nord-orientale di Maiduguri. Prima di arrivare lì, diversi minori hanno raccontato di essere stati oggetto di pestaggi per mano delle forze di sicurezza.

Ibrahim, 10 anni, ha riferito che quando aveva 4 anni, dopo un attacco di Boko Haram è fuggito insieme alla sua famiglia dal loro villaggio ed è stato arrestato dai militari. Dopo la cattura è stato accusato insieme ai suoi familiari di far parte del gruppo jihadista ed è stato ripetutamente percosso con una corda di pelle. Saeed, 17 anni, inizialmente detenuto nella città di Banki, ha dichiarato di essere stato appeso a un albero, dove è stato bastonato e frustrato da alcuni membri della Task force civile congiunta (Cjtf), una milizia di autodifesa formatasi nello stato di Borno con l’appoggio delle forze di sicurezza federali.

Accuse respinte dall'esercito

Le accuse sono state respinte al mittente dall’esercito: «I militari hanno arrestato solo i bambini che tentavano di compiere attentati e che hanno fornito un tacito sostegno agli insorti, comprese informazioni sui movimenti delle truppe. Ciononostante, i bambini sono stati trattati come vittime di guerra e non come sospetti terroristi»

Quest'ultimo rapporto si inserisce in un più ampio contesto di accuse all'esercito nigeriano

Il rapporto di Human Rights Watch (HRV) si inserisce in un modello più ampio di presunti abusi da parte delle forze di sicurezza del paese africano che combattono il gruppo estremista Boko Haram da più di un decennio.

Nel giugno 2015, con un report, Amnesty International ha denunciato la morte di almeno 7.000 persone che erano detenute presso strutture militari nel nord-est della Nigeria. Nel maggio del 2018, un’indagine della stessa organizzazione ha rivelato che migliaia di donne e ragazze liberate dai jihadisti sono state sistematicamente oggetto di abusi sessuali da parte dei militari, in cambio di cibo e assistenza. Più recentemente, migliaia di civili in fuga da Boko Haram sono stati trasferiti in aree non sicure dal governo, che in vista delle elezioni presidenziali del 2020 vuole dare l’impressione di aver restituito sicurezza al nord-est della paese.

"Ci hanno tradite"

Le donne scampate a Boko Haram stuprate dai loro soccorritori

Report Amnesty International

Migliaia di donne e ragazze sopravvissute alla brutalità del gruppo armato Boko Haram sono state successivamente stuprate dai soldati che sostengono di averle liberate.

Sono le principali evidenze emerse grazie al lavoro di ricerca sul campo e rese pubbliche nel report di Amnesty International “Ci hanno tradite“.

Il lavoro di ricerca è il risultato di un’ampia indagine, realizzata attraverso oltre 250 interviste e riguardante “campi satellite” istituiti dalle forze armate nigeriane in sette città dello stato di Borno. Comprende interviste a 48 donne e ragazze rilasciate e l’analisi di video, fotografie e immagini satellitari.

L’esercito nigeriano e la milizia alleata, chiamata Task force civile congiunta (Cjtf), hanno separato le donne dai loro mariti confinandole in “campi satellite”. Lì le hanno stuprate, a volte in cambio di cibo.

È stato documentato che dal 2015 migliaia di persone sono state ridotte alla fame nei campi dello Stato di Borno, nel nordest della Nigeria. Migliaia di donne costrette a fare sesso con i militari in cambio di cibo per se e per la famiglia, quelle che si sono rifiutate ridotte alla fame.

Suona completamente scioccante che persone che hanno già tanto sofferto nelle mani di Boko Haram siano condannate a subire ulteriori tremendi abusi da pare dell’esercito. Invece di essere protette, donne e ragazze sono costrette a sottostare agli stupri per evitare la fame

"They Betrayed us"

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RD Congo, non solo ebola. Strage di bambini per la più grande epidemia di morbillo al mondo

I decessi causati dalla più grande epidemia al mondo di morbillo, nella Repubblica Democratica del Congo, raggiungono le 4.000 unità. Da gennaio sono stati riportati 203.179 casi di morbillo in tutte le 26 province del paese, e per la precisione 4.096 sono morti, il 90% erano bambini. Sono i dati allarmanti forniti dall'Unicef, che sta proseguendo il programma di vaccinazione.

Proprio i più piccoli, sotto i 5 anni, rappresentano il 74% dei contagi e circa il 90% dei morti. Il numero di casi di morbillo in Repubblica Democratica del Congo quest'anno è più che triplicato rispetto a tutto il 2018. L'epidemia di morbillo ha causato più morti dell'Ebola, che, ad oggi, ha ucciso 2.143 persone. "Stiamo combattendo l'epidemia di morbillo su due fronti: prevenendo i contagi e prevenendo le morti", ha dichiarato Edouard Beigbeder, Rappresentante Unicef in Repubblica Democratica del Congo.

Oltre 4000 morti. È il terribile bilancio, denunciato dall'Unicef, causato dal morbillo nella Repubblica Democratica del Congo.

La più grande epidemia al mondo

L'organizzazione umanitaria dell'ONU parla di "più grande epidemia al mondo di morbillo". 4000 morti, dei quali il 90% è rappresentato da bambini sotto i 5 anni. Oltre 200mila le persone colpite dal virus. L'Unicef comunica di essere impegnata in una sorta di lotta contro il tempo vaccinando altre migliaia di bambini e distribuendo farmaci salvavita nei centri sanitari.

Lotta su due fronti

Da gennaio sono stati riportati 203.179 casi di morbillo in tutte le 26 province del Paese centroafricano, 4096 le vittime.

"Stiamo combattendo l'epidemia di morbillo su due fronti", ha dichiarato Edouard Beigbeder, rappresentante Unicef, "vaccinazioni dei bambini e fornitura alle cliniche di medicine che possano trattare i sintomi e migliorare le probabilità di sopravvivenza per tutti quelli già colpiti dalla malattia". Nei prossimi giorni saranno distribuiti oltre mille kit medici. I kit contengono antibiotici, sali per la disidratazione, Vitamina A, antidolorifici, antipiretici e altri aiuti per colpire questa malattia altamente contagiosa e potenzialmente letale.

Peggio dell'Ebola

L'epidemia di morbillo ha causato più morti del virus dell'Ebola, che, ad oggi, ha ucciso 2143 persone.

Morbillo, secondo l'Oms quasi triplicati i casi nel 2019

Sky TG24

Burundi, la calma del terrore prima del genocidio

Secondo
la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Burundi i fattori
che potrebbero portare al genocidio sono stati rilevati, ma se questo
ci sarà non si può sapere.

La
Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Burundi

(COIB)
ha dichiarato che il rischio di genocidio nel Paese potrebbe esserci.
«Analizzando
l’escalation delle violenze dal 2015 ad oggi siamo riusciti
ad individuare tutte le atrocità e l’odio
razziale, indicatori di un futuro genocidio
»,
«Finora
è una crisi politica con elementi etnici
»,
così nelle dichiarazioni rilasciate dai componenti della
Commissione, Doudou Diène (Senegal), Lucy
Asuagbor (Camerun)
e Françoise Hampson (Regno
Unito
), a margine della pubblicazione del rapporto, lo
scorso 4 settembre.

La Commissione è stata
creata il 30 settembre 2016 con la risoluzione 33/24 del Consiglio dei
diritti umani delle Nazioni Unite, con il mandato di condurre
un’indagine approfondita sulle violazioni dei diritti umani e
gli abusi commessi in Burundi dall’aprile 2015, per
identificare i presunti autori e formulare raccomandazioni. Il
rapporto è stato
presentato ufficialmente il 17 settembre al
Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra
.

L’Ufficio
Prevenzione
Genocidi delle Nazioni Unite
, dinnanzi a prove inconfutabili
di un
genocidio
, ha
il potere di ordinare l’immediato intervento
militare offensivo dei Caschi Blu
in virtù del
principio
della Responsabilità di Proteggere i civili. Solo un veto in
votazione del Consiglio di Sicurezza può fermare
l’intervento. Chi
oppone il veto si prende la
responsabilità in caso di genocidio avvenuto
.

I
fattori presi in considerazione
dalla Commissione sono diversi
. Instabilità
politica, crisi
economica, il clima di odio etnico, l’impunità per
le violazioni dei diritti umani, un sistema giudiziario debole,
l’assenza di media indipendenti e della libertà di
espressione, la formazione di milizie etniche.

Froncoise
Hampson
, membro
della Commissione
, parla
di un clima di terrore e paura che da Bujumbura si è esteso
nelle campagne
. I discorsi inneggianti all’odio
razziale, le Imbonerakure (milizia
giovanile a sostegno del partito al potere CNDD-FDD
),
la caccia all’oppositore e le violenze commesse hanno
raggiunto dimensioni etniche. «L’analisi e le
conclusioni tratte dallo studio sulla situazione attuale in Burundi non
può predire se e quando avverrà il genocidio,
come, e in quale forma. Può
solo allertare che il rischio di
genocidio è reale
»,
spiega Hampson. In
sostanza
: i
fattori che potrebbero portare al genocidio sono stati rilevati, non
è possibile prevedere se il genocidio scoppierà
.

Il
rapporto ONU guarda con preoccupazione alle elezioni del 2020

Il
rapporto
guarda con preoccupazione alle elezioni del 2020
che, recita,
«rappresentano
un grave rischio
», anche in
considerazione
del fatto che il Governo sta aumentando il controllo sulle
organizzazioni non governative e non esisteva un vero sistema
multipartitico, poiché la maggior parte dei partiti
è
stata ‘infiltrata
e divisa
’. Altresì
si
ipotizza un
possibile restauro della monarchia da parte del Presidente e dittatore
Pierre Nkurunziza,
«Il tema dell’origine
divina del
potere
del Presidente è sempre più comune nei discorsi
ufficiali
pronunciati dal Presidente e da sua moglie
»,
afferma il
rapporto. È la vicenda del ‘prete-re
e della
revisione della
storia del Paese attuata da Nkurunziza quella che viene evidenziata nel
rapporto.

Le
prime reazioni ufficiali da parte
del Burundi

vengono da Willy
Nyamitwe
, che è ritornato in Burundi dopo
l’attentato subito nel 2017. «Il Burundi non
è
più interessato a rispondere a delle bugie e manipolazioni
della
realtà da parte di alcune potenze occidentali che vogliono
destabilizzare il Burundi
», arma di difesa
consueta quella
del
complotto neo-coloniale contro gli hutu. A gran voce aveva
gridato il dittatore ‘Je me fiche
de
l’ONU!
’ (me ne
frego dell’ONU
).

Il concetto di genocidio è
parte integrante del pensiero politico di Pierre Nkurunziza

Il
concetto di genocidio è
parte integrante
del pensiero politico di Pierre Nkurunziza
, formatosi
durante la guerra
civile e rafforzatosi durante il primo decennio di potere. Nella guerra
civile i miliziani del FDD
sotto il suo comando trucidavano i civili
tutsi per poi scappare all’arrivo dell’Esercito
regolare.
Fino ad ora Nkurunziza
non ha mai espresso opinioni sul genocidio
.
Però, utilizzando l’eventualità di un
simile gesto
come arma per impedire un intervento militare della comunità
internazionale, indirettamente Nkurunziza
ammette tale
possibilità.

Nel
novembre 2015 il CNDD-FDD ha
tentato di
innescare il genocidio
, fallendo dinanzi alla
risposta negativa della
maggioranza delle masse contadine hutu
. Senza mano
d’opera
invasata di odio etnico, un genocidio non è possibile. Ora
la
situazione è cambiata
. La
mano d’opera
è
disponibile, gli Imbonerakure
.

Ad aggravare la situazione
è la presenza del
gruppo terroristico Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda
(FDLR),
responsabili del
genocidio del 1994
. Da
mercenari le FDLR si
sono trasformati in partner di Nkurunziza
, assumendo
progressivamente
molto potere e influenza. Il regime, isolato e allo stremo finanziario,
lascia libero campo ai miliziani Imbonerakure controllati dalle FDRL. I
confini tra regime, Imbonerakure e FDLR sono fin troppo labili. La
situazione attuale in Burundi impedisce di determinare con chiarezza
chi realmente detiene il potere
.

Questa
scelta ha creato un pericoloso
paradosso
.
Questi miliziani provenienti dagli strati hutu più poveri
sono
consapevoli del loro potere, ma non hanno migliorato le loro condizioni
di vita. A cosa serve combattere i tutsi se non puoi impossessarti
delle loro proprietà? Uccidere un tutsi senza guadagnarci
non ha
senso. Le
pulizie etniche striscianti avvenute dal 2015 ad oggi sono
sempre state associate alla razzia dei beni e proprietà
delle
vittime
. È
un incentivo per convincere i miliziani
Imbonerakure
a commettere omicidi su larga scala
.

Da
un mese varie donne tutsi nei villaggi sono state vittime di stupri
etnici inflitti dalle Imbonerakure
. Nessuna meraviglia in
quanto questi miliziani lo avevano promesso a voce alta nelle prime
sfilate del 2017. Lo
stupro è stato utilizzato dai miliziani di Nkurunziza come
arma etnica nella guerra civile
. La donna tutsi stuprata
metteva al mondo un hutu che ingrossava le file hutu a danno dei tutsi,
secondo la primitiva mentalità di questi miliziani.

Il
problema è che la recente ondata di stupri etnici evidenzia
una orribile evoluzione dello stupro etnico
. Alla vittima
non viene riservato il destino di procreare un hutu. Viene uccisa dopo lo
stupro
. Trattasi di donne con il marito o fratelli
precedentemente assassinati o fuggiti. Le proprietà di
queste donne uccise vengono distribuite tra i miliziani autori dello
stupro e dell’assassinio senza che le autorità si
oppongano.

Le
Imbonerakure contano circa 30.000 iscritti
. Un numero sufficiente
per innescare un genocidio dei tutsi
. Considerando la
possibilità
di impossessarsi dei bene e proprietà delle vittime, vari
contadini hutu potrebbero unirsi alle Imbonerakure aumentando la
capacità genocidaria di questa milizia para militare.

L’unico
segnale positivo è che le autorità non hanno
ancora chiuso i confini
. Lo scorso luglio in Uganda si
è registrato un aumento di 861 rifugiati burundesi in
più rispetto agli altri mesi. Per la maggioranza sono tutsi.
Tutti confermano
lo stato di terrore instaurato da Nkurunziza e tutti temono il genocidio
.

Dopo
la fallita invasione del Rwanda tentata in agosto
, Burundi e Rwanda riprendono
timidamente gli scambi commerciali
, congelati dal 2017.
Una distensione inaspettata, visto che il regime di Nkurunziza mantiene
le sue ostilità contro Kigali. Una delle due colonne FDLR
che avevano invaso il Rwanda lo scorso agosto era entrata dalla foresta
di Kibira in Burundi.

La
sospensione degli scambi commerciali ha danneggiato maggiormente il
Rwanda
. Si
parla di una perdita secca di 4 milioni di dollari a trimestre
.
Il Ruwnda principalmente esporta in Burundi cemento, bibite, prodotti
alimentari finiti, manufatti. Il Burundi ha perso 1 milioni di dollari
a trimestre, ma è stato fortemente penalizzato dalla
scarsità di carburante normalmente fornito dal Rwanda. Il
Burundi esporta nel Paese gemello solo alimentari e rappresenta il 0,8%
delle importazioni regionali del Rwanda.

La riapertura degli scambi commerciali
sembra essere stato una scelta obbligata per l’economia
rwandese, ma pare destinata a non provocare sostanziali cambiamenti
nella politica estera dei rispettivi Paesi nemici

Il
Rwanda per Nkurunziza rimane una
Nazione ostile
che
supporta i ribelli burundesi e trama per abbattere
un governo ‘democraticamente’, dice lui, eletto
.
Per Kigali il Burundi
rimane un Paese HutuPower
che ospita i terroristi
ruandesi FDLR

(responsabili del
genecidio del 1994 in Rwanda
). La riapertura degli scambi
commerciali è una
boccata di ossigeno per la moribonda economia burundese, e il Governo
sta sfruttando la decisione per rappresentarla come un primo passo per
la normalizzazione dei rapporti con il Rwanda.

Con me o Contro di me

Le pillole di Maris Davis

Con me o Contro di me

La storia del genere umano diventa sempre più una gara fra l’istruzione e la catastrofe”. Non so quanto la catastrofe sia vicina, ma se posso contribuire ad allontanarla anche solo un pochino, ci provo.
Astenersi perditempo

Greta, Carola. Con me o contro di me

Il mondo è cambiato il 7 ottobre 2001. Quando George W. Bush, non certo un filosofo illuminato, né statista, né politico, annunciò l’invasione dell’Afghanistan, pronunciò una frase che ci ha contaminato. “Siete con noi, oppure contro di noi”. Quello che intendeva Bush è che dopo l’affronto delle Torri Gemelle, non poteva esistere alcun pensiero intermedio. Il messaggio sottointeso era bruciante: “Se non approvi i nostri bombardamenti, vuol dire che fiancheggi i terroristi

Bush, che prima di decidere di entrare in guerra, si era “consultato” con Dio nella sua chiesetta nel Texas, ha portato di peso l’integralismo della ragione in mezzo alle discussioni di tutti i giorni. Le parole, più che i bombardamenti, hanno raso al suolo il pensiero intermedio. Il ragionamento. Hanno reso i fatti (armi di distruzione di massa?) marginabili, marginali rispetto alle parole gridate. I fatti possono, anzi devono, essere ignorati.

Sono molto colpita dal livore con cui in parecchi, inclusi molti giornalisti (o cosiddetti), si rivolgono a Greta Thunberg.

Anche di fronte a fatti conclamati oggi prevale la scelta di parte. Se non credi al cambiamento climatico, non fai nulla per informarti. Questo atteggiamento produce molto più godimento e successo, scagliarsi arbitrariamente contro l’altro è liberatorio. Questo fenomeno produce ignoranza, credenze popolari, e supporta campagne politiche che portano a sfracelli.

Brexit

Prendete la Brexit. Quelli che l’hanno promossa hanno diffuso con rabbia il concetto secondo cui i migranti minacciavano la sopravvivenza del Regno Unito. Una grande stronzata. Il Regno Unito ha il sistema di frontiere e immigrazione tra i migliori al mondo.

Migranti

Passiamo ai migranti in Italia. Quando espongo dei fatti comprovati, di solito mi becco della “comunista” della “pidiota” e anche molto peggio (dunque risparmiatevi, siete prevedibili e anche poco intelligenti). La logica del con-me-contro-di-me oltre a incattivire vende falsi idoli. L’idea che l’Italia sia “il campo profughi d’Europa” è una bufala gigante. In Grecia nel 2019 sono arrivati 19mila profughi. In Spagna 15mila. Da noi poco meno di 6mila. Quelli portati dalle “pericolosissime” ONG? Meno di 600. Non si riempie neppure una chiesa.

Eppure vi raccontano che la Capitana Carola è peggio di Osama Bin Laden. Leggendo commenti anche di persone sulla carta educate, è evidente che la strada intrapresa è pessima. I migranti in Italia sono un problema? Certo, non sono stupida. Ma è una questione umanitaria e di politica internazionale, non certo sociale. L’Europa ci gioca, questo è certo, ma seimila profughi per un Paese di 60 milioni non sono nulla. Ma socialmente, nella vita di tutti i giorni, peggio sono i 109 miliardi di evasione endemica. Quello si che richiederebbe campagne feroci.

Giornalisti faziosi. A leggerre certi titoloni di giornali chiaramente schierati, contro Greta, contro Carola. Roba da far rizzare i capelli, spazzatura e basta

A me sembra che l’unica via d’uscita è quella di scappare adesso, subito, da questo pericoloso laccio. Giorni fa una stimata giornalista che lavora a Rai2 sbeffeggiava i giovani scesi in piazza a protestare sul cambiamento climatico, dicendo che appena finito s’infilavano tutti a mangiare da McDonalds, smentendo così la loro stessa missione sanatrice del pianeta. Il messaggio implicito? Sono manipolati e in fondo solo dei buffoni. Greta è in mano a qualche oscura lobby politica e, naturalmente, il cambiamento climatico non è un’urgenza come vogliono farti credere.

È deludente che chi lavora nell’informazione, certo non è lei, quella giornalista di Rai2, la sola, si presti a una logica così banale e anche un po’ rozza. Da bar, per così dire. Di certo aiuta a far crescere consensi, ma sono consensi, mi si perdoni, poco evoluti. Se andiamo avanti a colpi di slogan, finiremo vittime di un algoritmo.

Greta Thunberg

Personalmente non ho sentimenti particolari nei confronti di Greta Thunberg. Anzi, posso dire che sono poco interessata al fenomeno. Il cambiamento climatico è un fatto piuttosto concreto e assodato. Già dodici anni fa diversi scienziati ed esperti molto qualificati andavano dicendo che risulta chiaro che il pianeta ha qualche problemino.

Forse per salvarlo non servirà smettere di mangiare carne, ma qualcosa va fatto. Vi sono luoghi del mondo (purtroppo non abbastanza vicini alla Rai o alle sedi di molte sedi di giornali) in cui già adesso si muore (o si emigra) a causa del cambio climatico.

In Marocco dove migliaia di berberi dovranno abbandonare il deserto perché le temperature sono cresciute di 4° negli ultimi 40 anni e le tempeste di sabbia ricoprono villaggi interi. Roba vera. O nell'Africa Sub-Sahariana, nelle zone che adesso vengono chiamate savana, dove il deserto avanza mangiandosi ogni anno decine di chilometri quadrati di terre adesso dedicate all'agricoltura o all'allevamento. Dove migreranno? Saliranno a bordo di una ONG capitanata da Carola? Faranno guadagnare voti a Salvini? Anche a tutto questo non sono particolarmente interessata.

Quello che mi piacerebbe sapere e di cui vorrei discutere con educazione, è cosa pensiamo di fare con quel 30% di umanità che non ha accesso all’acqua? Con lo scioglimento preoccupante dei ghiacciai? Con la distruzione sistematica delle foreste? Con la scomparsa dei coralli? Con i milioni di persone esposte a cataclismi climatici sempre più aspri?

Cose reali, fatti veri

Sono tutte cose che stanno avvenendo, di cui sarebbe interessante discutere, su cui tutti ma proprio tutti, a cominciare da chi fa informazione, dovrebbe farsi un’opinione educata. Fatti che richiedono soluzioni. Proviamo a trovarle sul serio o andiamo avanti a insultarci a vicenda mentre ci cadono in testa le montagne (Courmayeur mi pare non sia nell’Artico).

Con me oppure contro di me, oltre ad essere ormai una forma molto noiosa di comunicazione, rivela spesso la stupidità di chi se ne fa portatore. Citando H.G. Wells, “La storia del genere umano diventa sempre più una gara fra l’istruzione e la catastrofe”. Non so quanto la catastrofe sia vicina, ma se posso contribuire ad allontanarla anche solo un pochino, ci provo. Astenersi perditempo.

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Nigeria, il paese con il più alto numero di persone scomparse. Secondo la Croce Rossa 22mila

La Nigeria è il Paese con il maggior numero di persone date per disperse al mondo. Sono quasi 22.000 i nigeriani scomparsi a causa di conflitti interni. Per la maggior parte si tratta di minori, portati via alle loro famiglie dall’inizio dell’insurrezione dei Boko Haram. La denuncia è stata fatta dal Comitato della Croce Rossa Internazionale e, secondo un portavoce dell’organizazione, potrebbero essere molti di più.

Sembra inverosimile che un numero così elevato di nigeriani sia sparito senza lasciare traccia e oltre la metà tra questi sono bambini. Molti di loro sono stati rapiti da miliziani Boko Haram. Altri potrebbero essersi persi durante la fuga dalle violenze.

Dal 2009 ad oggi sono morte oltre ventisettemila persone, oltre 2,7 milioni hanno dovuto lasciare le loro case a causa di Boko Haram. I sequestri sono frequenti e il denaro che viene chiesto per il riscatto serve per il finanziamento delle operazioni criminali. Altre volte gli ostaggi vengono rilasciati in cambio della liberazione di miliziani catturati e arrestati dalle autorità nigeriane. Ma di molti, moltissimi non si sa più nulla.

Secondo il rapporto di Human Rights Watch del 10 settembre, le autorità nigeriane, nel loro intento di contrastare i jhadisti, in questi anni avrebbero arrestato un elevato numero persone sospettate di appartenere al gruppo armato, molti tra questi minori. A tutt’oggi bambini e adolescenti sono trattenuti nelle squallide galere militari del Paese e spesso i parenti non hanno più avuto loro notizie.

Nella relazione HRW ha sottolineato che dal 2013 almeno 3.600 minori sarebbero stati arrestati, tra loro anche 1.600 ragazze, accusate di essere complici di Boko Haram. Le poverette sono state costrette a sposarsi con miliziani eppure sono state fermate dai militari con i figli avuti dai loro aguzzini.

HRW (Human Right Watch) ha intervistato diversi minori. Un bambino che al momento dell’arresto aveva solamente 5 anni, ha riferito che è stato portato in galera insieme ai genitori e che nella sua cella c’erano parecchi altri coetanei soli, senza parenti. Un bimbo di 7 anni è rimasto in galera per oltre due anni, imputato di aver venduto yam (un tubero molto apprezzato nella cucina nigerina) ai terroristi. Altri due piccoli sono stati accusati di far parte del sanguinario gruppo terroristico solo perché erano fuggiti dal loro villaggio distrutto in ritardo rispetto alla maggior parte degli abitanti.

Anche tante ragazze rapite, quando riescono a scappare, spesso vengono arrestate dalle forze armate, invece di essere restituite alle proprie famiglie. In queste galere ci sono molte vittime dei jihadisti, eppure frequentemente le autorità le considerano loro complici.

In Nigeria si consumano anche altri conflitti. Scontri etnici e violenze tra pastori semi-nomadi Fulani (di religione musulmana) e agricoltori, per lo più cristiani, flagellano da anni il centro della ex colonia britannica. Gli Stati più colpiti da questa faida sono: Benue, Taraba, Nasarawa e Plateau.

Africa ExPress

Nigeria. “Fabbrica di bambini”, donne violentate per vendere i loro figli

La polizia nigeriana ha liberato 19 ragazze e donne tra i 15 e i 28 anni da alcune abitazioni di Lagos definite 'fabbriche di bambini', dove venivano messe incinte e fatte partorire da un'organizzazione che poi vendeva i neonati. Quattro dei piccoli sono stati presi in consegna dagli agenti, mentre due donne che lavoravano in questi centri come infermiere abusive sono state arrestate, ha aggiunto la polizia, citata dalla Bbc online.

Non è questa la prima vota che vengono scoperte 'fabbriche di bambini' in Nigeria, Paese che è la prima economia africana ma dove la povertà è diffusa, così come il traffico di esseri umani. Lo scorso anno in un altro raid simile furono liberati 160 bambini.

La polizia ha detto che i neonati venivano venduti a 1.400 dollari l'uno se maschi e 830 dollari se femmine. Non è stato precisato se gli acquirenti fossero della Nigeria stessa o di altri Paesi.

News dall'Africa

Nigeria. L’esercito stupra le vittime di Boko Haram

Rapporto Amnesty International. Per contrastare i terroristi Boko Haram nel nordest, l’esercito nigeriano ha fatto terra bruciata, costringendo le popolazioni dei villaggi in appositi campi e nel centro di detenzione militare di Giwa. Dove, documenta l’organizzazione internazionale,  migliaia di donne, molte delle quali già schiavizzate dai jihadisti, hanno subito violenze sistematiche. Sotto accusa i militari e una milizia alleata.

Nigeria, L'esercito stupra le vittime di Boko Haram.

Sopravvissute alle violenze di Boko Haram, ma non per questo al sicuro. In un rapporto pubblicato qualche giorno fa, dal titolo “Ci hanno tradite”, Amnesty International ha denunciato le violenze sistematiche subite da migliaia di donne nigeriane tra il 2015 e il 2016, e in alcuni casi ancora in atto, nei diversi campi in cui erano rifugiate. Nel report si legge che tali crimini sono stati commessi dall’esercito nigeriano e dalla milizia alleata, Task force civile congiunta (Jtf).

Tra la metà del 2015 è la metà del 2016 una serie di operazioni militari dell’esercito nigeriano nello stato di Borno, nordest della Nigeria, ha portato alla riconquista di diversi territori che il gruppo terroristico Boko Haram, fondato nel 2002 da Muhammed Yusuf, aveva occupato a partire dal 2014. In seguito a tali azioni militari migliaia di persone che vivevano in zone rurali vicine sono state costrette a spostarsi nei cosiddetti “campi satellite”, ovvero aree destinate agli sfollati interni istituite dall’esercito nigeriano nelle zone strappate a Boko Haram.

Queste ricollocazioni sono avvenute spesso con l’utilizzo della forza, e in diversi casi le donne sono state divise dai mariti, confinate nei campi satellite e lì costrette a subire violenze e stupri in cambio di cibo. Numerosi anche i casi in cui donne, una volta schiave di Boko Haram, sono state liberate e successivamente imprigionate in centri di detenzione con l’accusa di aver avuto dei legami con il gruppo estremista, e di conseguenza etichettate come «vedove di Boko Haram»

Amnesty documenta questa situazione attraverso foto, video e oltre 250 interviste fatte tra campi per profughi interni e centri di detenzione tra cui la base militare di Giwa, la principale struttura militare di detenzione nello stato di Borno.

Schema consolidato

Così Amnesty è riuscita a ricostruire uno schema seguito dall’esercito nigeriano e dalla Jtf. Nella maggior parte dei casi, i villaggi sono fatti evacuare come azione preventiva nei confronti di possibili attacchi da parte di Boko Haram, diversi anche i casi in cui l’esercito è ricorso ad evacuazioni forzate radendo al suolo o incendiando i villaggi, come documentato da alcune immagini satellitari.

Dopo l’evacuazione gli abitanti dei villaggi sono sottoposti a interrogatorio per accertare possibili legami con il gruppo terroristico. Nella maggior parte dei casi le donne sono separate dai mariti, i quali vengono trasferiti nei centri di detenzione militare senza alcuna accusa e lì picchiati e tenuti in prigionia. Soprattutto nelle città di Bama e Banki, Amnesty ha documentato uno schema d’azione che consiste nella separazione dal resto dei rifugiati della maggior parte degli uomini in età da combattimento (dai 14 e ai 40 anni), confinandoli nella struttura di detenzione militare di Giwa.

Questa sorte riguarderebbe centinaia se non migliaia di uomini, vittime di violenze sommarie. Diverse donne intervistate hanno raccontato di non aver avuto più informazioni sul marito una volta imprigionato. Questa separazione forzata costringe le donne a badare da sole alla famiglia e le espone alle violenze dell’esercito e della milizia.

Decine di donne hanno raccontato di essere state stuprate nei campi satellite da soldati e miliziani della Jtf e di essere state ridotte alla fame per diventare le loro “fidanzate”, ossia essere disponibili a rapporti sessuali a ogni evenienza.

Cinque donne hanno riferito ad Amnesty International di essere state stuprate tra la fine del 2015 e l'inizio del 2016 nel campo Ospedale di Bama. Una di loro, 20 anni: «Ti davano da mangiare di giorno, poi a sera venivano a prenderti. Un giorno un miliziano mi ha portato il cibo e il giorno dopo mi ha invitato ad andare a fare rifornimento d’acqua da lui. Arrivati nel suo alloggiamento, mi ha stuprata. Poi mi ha detto che se volevo viveri avrei dovuto essere sua moglie». Lo sfruttamento sessuale continua ancora adesso, agevolato da un clima di paura. «È scioccante costatare che persone che hanno sofferto tanto a causa di Boko Haram debbano subire altri abusi», ha dichiarato Osai Ojigho, direttrice di Amnesty International Nigeria.

Governo immobile

Nell’agosto 2017 il vicepresidente nigeriano Yemi Osinbajo ha istituito una commissione d’indagine per esaminare la situazione. Molte donne hanno testimoniato dinanzi alla commissione, che nel febbraio 2018 ha trasmesso il rapporto finale al presidente Muhammadu Buhari. Ora il presidente, che spesso ha dichiarato il suo impegno in difesa dei diritti umani, è chiamato a porre fine all’impunità di esercito e milizia.

Anche Amnesty International ha trasmesso le sue conclusioni alle autorità nigeriane, ma finora non ha ricevuto alcuna risposta. Nel frattempo, il ministero della difesa ha accusato Amnesty International di voler destabilizzare il paese e ha esortato «tutti i cittadini rispettosi della legge a continuare a fidarsi e sostenere l’esercito nella guerra in corso contro Boko Haram»

La lotta contro Boko haram ha causato oltre 2,7 milioni di sfollati e migliaia di morti. Nonostante il governo continui a propagandare la sconfitta imminente del gruppo terroristico, il rapporto di Amnesty dimostra che ancora molto rimane da fare per garantire la sicurezza nel nordest del paese.

Cargo e barconi, così la mafia nigeriana si rafforza in Europa

Diverse operazioni delle unità investigative venete hanno dimostrato quello che, ormai da anni, è un fenomeno criminoso diffuso in modo capillare, traffico di droga e di esseri umani, oltre a sfruttamento della prostituzione, sono le attività della "piovra nera" che a Verona ha una delle sue roccaforti.

Verona, una delle roccaforti della Mafia Nigeriana in Italia

A inizio estate erano stati fermati in stazione a Vicenza una decina di nigeriani. Avevano 15 chili di marijuana e in tasca una richiesta di asilo. Destinazione della droga una tra le tante insopettabili basi di spaccio in città. Provenienza ignota, forse la vicina Verona, la roccaforte della cult Eiye, che ha il controllo del Veneto.

La piovra nera

Solo un mese fa l'ultimo colpo assestato alla mafia nigeriana in una più ampia operazione coordinata dalla procura di Torino che ha visto l'arresto di una trentina di affiliati in diverse città del nord e del centro Italia. In quella operazione a Verona furono arrestati due "capi" del clan dei Maphite.

Ma, come sanno gli inquirenti, si tratta di una piccola goccia nel vasto mare criminale che è sotto il controllo di questa organizzazione altamente verticistica, violenta e senza scrupoli, che negli ultimi 30 anni si è andata sempre più rafforzando in alcuni paesi europei (ma anche oltre oceano), Paesi Bassi, Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, Belgio, e ovviamente l'Italia.

Le mani dei boss, che risiedono nei Paesi d'origine, quindi Nigeria, Benin e Ghana, gestiscono miliardi di euro, frutto del traffico di droga e di esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione.

A Vicenza

Il capoluogo berico non è tra le città venete a più alta infiltrazione, che in Veneto si possono identificare in Verona, Padova e Venezia ma, rileggendo le cronache degli ultimi 10 anni, non può non saltare agli occhi come la perecentuale di arresti e fermi tra la comunità nigeriana residente in città sia un dato di fatto importante.

Da quando emerge, la presenza della mafia nigeriana a Vicenza, è legata ai gradini più bassi della struttura, dove il "criminale" è spesso anche "vittima".

Dal barcone alle bici

I piccoli spacciatori nigeriani vengono spesso assoldati nei centri di accoglienza, la mafia del loro paese sembra quasi essere l'unica certezza in terra straniera. L'arruolamento può avvenire anche nei cosiddetti "lager libici" dove numerosi testimoni hanno riferito che tra i più feroci aguzzini ci sono moltissimi uomini nigeriani, oltre ai miliziani locali. Il "responsabile" smista letteralmente i migranti arrivati in Italia con i barconi nelle varie città della rete e dà loro un contatto sicuro.

Si tratta di una persona già da tempo in Italia, quasi sempre con regolare permesso di soggiorno e "insospettabile" Le ragazze vengono indirizzate alle "mamam" che le hanno fatte arrivare in Italia e saranno sfruttate sessualmente, mentre i ragazzi appena arrivati vengono consegnati ai "boys" o capi-zona e sono destianati a diventari spacciatori o corrieri della droga.

Probabilmente è da un appartenente a quest'ultima tipologia che si stavano recando i due arrestati di due giorni fa alla stazione di Verona. Mentre è solo di qualche settimana fa l'arresto, sempre nel veronese, di un 31enne nigeriano trovato in casa oltre 10 chili di marijuana, sulla quale la mafia nigeriana ha praticamente il monopolio, occupandosi sia della produzione che della spedizione via nave. In questi lindi appartamenti avviene il confezionamento della sostanza e ha il via la micro-rete di pony express in bicicletta nelle diverse città venete.

Woodoo, stupri e sfruttamento della prostituzione

Diverso e assolutamente più drammatico quanto emerge sulla condizione delle donne. Reclutate nei villaggi di origine, oltre a dover subire molteplici violenze sessuali nel calvario fino alla Libia, vengono spesso utilizzate come "ovulatrici" al momento dell'imbarco (oltre alla Nigeria, anche la Libia è punto di partenza della droga), per poi subire lo sfruttamento lungo le strade italiane.

Chi ce la fa può diventare "mamam", e passare da vittima a carnefice, salendo la sanguinosa piramide criminale della piovra nera. A Vicenza ne fu arrestata una, con altri sodali, ma, nonostante gli sforzi investigativi dei carabinieri, il giudice non li condannò per associazione mafiosa.

Tutti sono tenuti sotto lo strettissimo controllo dei vertici dell'organizzazione tramite l'attuazione di violente pratiche che si ispirano al woodoo e con minacce reali di ritorsioni nei confronti dei familiari rimasti in patria. Questo aspetto, emerso in numerosi rapporti investigativi europei, è stato confermato dalle drammatiche testimonianze dei primi pentiti.

Gli accordi

Una simile infiltrazione in un territorio come quello italiano dove la criminalità organizzata è tradizionalmente autoctona non può che essere spiegata con dei veri e propri accordi commerciali con l'organizzazione che comanda nelle aree dove la mafia nigeriana vuole fare affari. Rimanendo nel vicentino e nel veronese, la controparte non può che essere stata la 'ndrangheta, responsabile del traffico di droga nel Veneto nord-occidentale ma, ad oggi, questa sfera resta ancora avvolta nel buio.

Il nuovo governo c’è

Le
pillole di
Maris Davis

Il
nuovo governo c’è

E nel nuovo
governo è presente il rosso, il rosso della sinistra, il
rosso della fraternità e dell’uguaglianza, il rosso della
tolleranza, il rosso dell’Amore. Sono felice.

La
democrazia
, il
coraggio
, la
visione
di un mondo migliore
hanno cacciato i “razzisti, gli
spregiudicati e
gli arroganti dai posti di potere. Se ne sono andati quelli del Family
Day
, quelli che volevano la donna umiliata e sottomessa. Sono felice.

Se
ne vanno quelli che

hanno fatto
politica dalle spiagge
piuttosto che dai ministeri di cui
erano
responsabili, se ne
vanno quelli che
per
più di un anno
hanno usato arerei di stato per fare campagna elettorale
, se ne vanno
quelli che
postano
video pieni di odio sui social ogni giorno
, se ne
vanno quelli dei porti chiusi
, quelli che multano chi salva
vite in
mare
, quelli
che hanno voluto smantellare tutta la rete
dell’integrazione
, della protezione sociale e
dell’accoglienza. Sono
felice
.

Persone
lungimiranti
, con una visione
alta della politica, persone disposte a rischiare si apprestano a
guidare un grande popolo, quello italiano, per ridargli quella
dignità internazionale che stava perdendo. Sono felice.

La
Politica
, quella
visionaria e alta
,
quella bella che si mette a disposizione di tutti e non fa solo gli
interessi di parte ha preso in mano la guida dell’Italia che amo.
Grazie.

Il
cammino sulla strada di un mondo
migliore è iniziato
. So che non sarà
facile, ma
so che difficoltà e minacce saranno superate in nome di
quella speranza e di quella visione che merita un grande paese come
l’Italia.

Un grande abbraccio a tutti. Sono
felice
.

(Maris)

Dalla prostituzione al traffico di organi. Si allarga il business della Mafia Nigeriana

Un falso contratto di lavoro a Dubai dietro al quale si nasconde il commercio peggiore. Ecco come le ragazze già costrette a vendersi in italia vengono ingannate di nuovo. Con il sogno di sottrarsi al marciapiede.

Dalla prostituzione al traffico di organi, Si allarga il business della Mafia Nigeriana

Le ragazze nigeriane sono l’80 per cento delle vittime dello sfruttamento sessuale in Italia, fenomeno che interessa in totale tra le 30 e le 50 mila donne. E il decreto sicurezza voluto da Matteo Salvini rende più vulnerabile chi è arrivata negli anni scorsi, in particolare le vittime di tratta. Mentre si fanno largo fenomeni di sfruttamento nello sfruttamento. sempre più difficili da combattere e segnali allarmanti di come il fenomeno stia cambiando, in peggio. Ad esempio, ormai ci sono tratte dentro la tratta: donne ingannate più volte, passate di paese in paese, scomparse e spesso uccise: circa 500 in Italia negli ultimi 20 anni.

Quello che accade dentro la rete fittissima e autoreferenziale che è la comunità nigeriana, in cui i legami sono una protezione ma anche una trappola, in cui tutti conoscono tutti e se un destino è deciso nessuno tenta di cambiarlo, a volte emerge grazie a donne coraggiose come Isoke, Maris Davis, Grace, Nadine, Blessing e tante altre che hanno visto la neve per la prima volta in Italia più di venti anni fa. Oggi come allora le cose NON sono cambiate, poco hanno fatto le istituzioni per contrastare il fenomeno, tanto ha fatto la mafia nigeriana che ha affinato le armi e si è intrufolata nel territorio italiano in modo ancora più capillare. Rispetto a 20 anni fa, ai tempi di Isoke, Maris Davis, Grace, Nadine, le cose sono peggiorate.

Appena arrivate, accanto al fuoco, semi svestite, non si capacitavano di essere cadute nella trappola della tratta. Ribellarsi è costato molto, pestaggi, tentativi di essere uccise e per Maris Davis anche un rapimento cruento che l'ha portata in Spagna dove è rimasta segregata per 4 anni, come racconta lei stessa nel libro "Parlo di me"

«Come siete arrivate qui, possono ingannarvi ancora e portarvi altrove, non accettate nulla», ripetono a tutte. Perché il destino può essere ancora peggiore della schiavitù e della prostituzione: e si chiama traffico di organi.

Per le donne vittime di tratta le cose sono peggiorate ancora di più con l'entrata in vigore dei due decreti sicurezza voluti da Salvini. È stata smantellata tutta quella rete di protezione sociale così faticosamente costruita negli anni. Un colpo al Cuore per tutte quelle ragazze nigeriane che con fatica e tanta sofferenza avevano denunciato i loro aguzzini e che ora rischiano di ritornare dentro al vortice della schiavitù sessuale.

Il trucco dei falsi fidanzati

«A Verona una ragazza nigeriana ci ha mostrato un contratto di assunzione per un lavoro a Dubai, ottenuto tramite il fidanzato. Un contratto come quello non ti fa dubitare, ci credi sempre». Dietro però, spesso, si nasconde il traffico peggiore: quando si ricevono queste opportunità allettanti, addirittura con contratto firmato, c’è dietro una rete criminale transnazionale attiva da tempo, ma che negli ultimi cinque anni è emersa con forza: «Questi falsi fidanzati conquistano la loro fiducia, dicono alla ragazza “tu sei sveglia, cosa fai qui in attesa, c’è questa possibilità»

Arriva il contratto e le giovani donne vengono spedite nel Golfo, di solito a Dubai, Gibuti ed Emirati. Ai “fidanzati”, contemporaneamente, arrivano i soldi tramite money transfer o su carte ricaricabili. «Delle ragazze poi non si sa più nulla», dietro c'è il racket del traffico di organi: «In quei paesi operano medici cinesi, stando a quello che ci hanno detto, non arabi. Magari loro fanno i broker, ma chi fa le operazioni è asiatico». Il fenomeno delle sparizioni e in generale della tratta, riguarda anche i minori.

«Qualche anno fa collaborai con i Carabinieri del Ros all'indagine per il ritrovamento di un bambino africano nel Tamigi, a Londra, privato di tutti gli organi. Non era chiaro se fosse per qualche rito o altro. Con Esther Ekanem, anche lei nigeriana, che da Londra si occupa di tratta di esseri umani, ci siamo subito attivate. Lei stava indagando sulla tratta delle donne sfruttate per fare figli destinati alla vendita, alle adozioni illegali, ma non si nasconde che i bambini servano per più scopi»

Joseph Chidiebere Osuigwe, avvocato e direttore del Devatop Centre for Africa Development in Nigeria, conferma che la mafia nigeriana ha ormai un ruolo di primo piano in questo traffico, annidato dentro la tratta tradizionale per lo sfruttamento sessuale o lavorativo che dalla Nigeria, anche attraverso il Mediterraneo, si indirizza verso tre continenti.

È un commercio fiorente perché raddoppia il guadagno del trafficante che costringe le vittime, donne, giovani e capifamiglia attratti da un lavoro all'estero, a vendere un organo per saldare il proprio debito: pagano lui con la vendita di un rene, il quale poi riceve soldi anche dal broker. «Le vittime, al netto dei casi di rapimento o convinte da qualcuno di necessitare di un’operazione, vendono a partire da 1.500 dollari, ignare dei 50 mila che guadagna l’organizzazione e dei 128.500 di base che i ricchi pazienti danno alle gang per un rene»

«Questo commercio in Nigeria è tra le forme allargate di sfruttamento degli ultimi dieci anni, insieme a schiavitù domestica, matrimoni forzati, traffico di minori attraverso gli orfanotrofi o il lavoro di apprendistato, i bambini soldato, il traffico per scopi rituali. Siamo a conoscenza di casi avvenuti in India, Malesia e Dubai che coinvolgono cittadini nigeriani, la mia organizzazione ha ricevuto due segnalazioni di rimozione illegale di organi di due nigeriani in India», spiega Osuigwe.

Doppio inganno

L’eventualità che la tratta finalizzata al traffico d’organi coinvolga anche l’Italia non è, allo stato, suffragata da prove giudiziarie. Don Carmine Schiavone, direttore della Caritas diocesana di Aversa e referente regionale Caritas per l’immigrazione, ha rilasciato però un’intervista al sito Vatican News dicendo che «una delle ragazze a ottobre scorso ha cominciato a raccontare di questo commercio, rivelando che alcuni amici suoi, per arrivare in Italia, hanno dovuto dare un rene, alcuni la cornea»

Sotto osservazione poi è il litorale di Castel Volturno, dove sono noti i rapporti tra la mafia nigeriana e la camorra. Va detto però che difficilmente può svilupparsi un traffico d’organi “interno” al nostro Paese: per un trapianto servono strutture ospedaliere complici e molto vicine al luogo in cui l’organo viene espiantato. Il problema, da noi, sono invece le ragazze nigeriane già in Italia che per sottrarsi alla prostituzione accettano le improbabili “offerte di lavoro” in Paesi dove il traffico d’organi non è una leggenda metropolitana ma è stato provato, come appunto l’India e i Paesi del Golfo. Ingannate una volta per farle venire in Italia e una seconda volta per portarle via dal nostro Paese, verso un destino ancora peggiore.

Nel 2018 sono arrivati in Italia solo 1.250 migranti nigeriani, ma aumentano gli adescamenti di chi è già presente da tempo in Europa. Mentre la crescente instabilità libica e la politica dei “porti chiusi” hanno trasformato le rotte: si rafforza quella Nigeria-Mali-Spagna mentre è storico il legame diretto tra la Nigeria e i Paesi del Golfo Persico.

«Nel 2014 sono arrivate in Italia circa 2.400 ragazze. 5.600 nel 2015 e nel 2016 erano 11 mila», spiega Anna Pozzi, giornalista e studiosa esperta di tratta. Col tempo è diminuita l’età delle ragazze, minorenni che spesso non si dichiaravano tali per evitare di essere inserite in strutture protette, con scolarità bassa se non analfabete.

Secondo il rapporto di ActionAid pubblicato ad aprile sulla base di 60 verbali di vittime di tratta presentati presso la Commissione territoriale di Roma tra il 2016 e il 2017, il decreto Sicurezza colpirebbe soprattutto loro: stabilendo il rigetto della richiesta di asilo avanzata da chi ha in esecuzione già un provvedimento di espulsione, queste non hanno la possibilità di presentare nuove richieste e non c’è il tempo di indagare sulle loro storie di sfruttamento.

Il decreto inoltre non solo abroga il permesso di soggiorno per motivi umanitari prima concesso anche in ragione delle violenze subìte nei Paesi di transito, ma i richiedenti asilo e i beneficiari di protezione umanitaria non accedono più al sistema ex Sprar (ora solo per titolari di status di rifugiato o protezione sussidiaria e minori non accompagnati) ma ai Centri ordinari, Cas e Cara: affollati, privi di personale qualificato e programmi di inclusione. L’eliminazione dell’obbligo di denuncia da parte della vittima di tratta per ottenere il permesso di soggiorno depotenzia anche l’articolo 18 del Testo Unico sull'Immigrazione che prima le tutelava.

L'incrocio con la religione

Una sera scaricano Gioia da un’auto davanti alla porta della Caritas di Aversa. La accolgono, non ha documenti, non parla. Se la ricordano a fissare il muro, con le braccia appoggiate su un tavolo per interi pomeriggi. «Quando ha ricominciato a parlare abbiamo capito che era molto confusa. Aveva bisogno di un supporto psicologico importante. Ovunque mi incrociasse, voleva per forza una benedizione», dice don Carmine Schiavone. Con suor Rita Giarretta delle Orsoline del Sacro Cuore di Maria, fondatrice di Casa Rut, Schiavone svolge la sua pastorale in una delle «periferie del mondo»: la strada. «Un giorno ha detto di aver conosciuto un pastore, un reverendo: aveva un numero che chiamava in continuazione perché adesso poteva stare finalmente bene, diceva. Una mattina è uscita e nessuno l’ha più vista»

I sedicenti “pastori” religiosi sono tra le più insidiose pedine della tratta. Alcuni sfruttano direttamente ragazze e ragazzi, altri li mettono in mano ai trafficanti. Case di preghiera delle Chiese pentecostali africane sono presenti sul litorale Domizio e a Castel Volturno, l’enclave dei clan mafiosi nigeriani che gestiscono, dentro una comunità di 25 mila nigeriani e ghanesi, arrivi, traffico di droga e prostituzione.

Certi leader spirituali organizzano momenti di preghiera per la “liberazione”. I migranti raccontano che non ottenere il permesso di soggiorno è un maleficio e loro si offrono di toglierlo a pagamento. «Ce n’è uno considerato potente e allora, quando arriva, molti nigeriani si riversano lì anche da altre parti di’Italia. Vende braccialetti con la scritta Holy ghost fire», spiega Blessing Okoedion nel libro in cui racconta la sua storia.

L’intreccio tra religione cristiana, business e il rito ju-ju, che lega le ragazze ai propri sfruttatori, è un capitolo anche della sua storia personale. «Alice è stata molto furba, mi ha ingannata facendosi passare per una donna di Chiesa. Faceva di tutto per mostrarsi molto pia e devota ma non si è fatta scrupolo a raggirarmi e trafficarmi»

Blessing ha 33 anni ed ha appena superato l’esame di maturità in Italia: «Ho preso 64», racconta. Laureata in informatica, assembla e ripara computer a Benin City quando incontra una donna che le propone di trasferirsi a Napoli per lavorare nel nuovo negozio del fratello. Quando arriva a Castel Volturno però si ritrova una “mamam” che le spiega di accettare anche 15, 10 euro e di non rifiutare nessuno. Era il marzo 2013. Oggi lavora come interprete e mediatrice culturale e la sua nuova vita la deve alla Polizia e a Casa Rut, che negli anni di ragazze ne ha accolte 500, più 80 bambini.

Alcune lavorano nella cooperativa NewHope: accessori fatti con stoffe africane e negozio nella più bella via di Caserta, perché «la dignità si restituisce con la bellezza. Non le facciamo sentire delle bisognose, ma persone in grado di farsi valere per quello che sono, che pensano con la propria testa» dice suor Rita.

«Si tollerano le ragazze anche in zone centrali», dice don Carmine. «Lo stiamo notando anche dalla geografia delle abitazioni da cui partono e rientrano». La Caritas di Caserta le va a trovare in strada. Alle 20 parte l’auto con lui in tonaca e i volontari. Si chiede il permesso prima di scendere, e se c’è, ci si stringe la mano, sono festose. «Chiedo di potermi sedere con loro, poi iniziamo a parlare bevendo cioccolata o il tè caldo che abbiamo portato, o regaliamo loro una rosa». Solo dopo varie visite escono le loro storie. L’importante è non essere invadenti, non chiedere, meritare la loro fiducia. «Parlando, emerge che vivono in condizioni pietose. Poi arriva la telefonata di chi le controlla», racconta don Carmine. Quando qualche auto passa con insistenza vuol dire che il tempo è scaduto: si prega tutti insieme, benedizione e si risale in auto. Certe sere le ragazze sono più felici di altre: «Stasera gioca il Napoli». Vuol dire che per strada i clienti saranno pochissimi.

Le "Cose Nostre"

Ha la forma di una sirena, uno specchio in mano, i capelli lunghi, indossa perle e pettini preziosi. Mami Wata è una divinità recente, le organizzazioni criminali fanno giurare le ragazze su di lei, è creata per invocare e giustificare la ricerca sfrenata di benessere. Gli africani vogliono somigliare nello stile di vita all'Europa. E per raggiungerlo, fanno soldi con tutto, hanno perduto i loro valori antichi.

Le radici culturali della vendita di esseri umani parte proprio da questo concetto, fare soldi ad ogni costo senza guardare in faccia nessuno, nemmeno una figlia, una sorella, un'amica.

Abbiamo ricevuto minacce di morte per le indagini sui "fidanzati" dalla stessa comunità nigeriana: «Le cose nostre devono rimanere tra noi», hanno detto. «Donne e minori sono mercificati da genitori, familiari e persino leader della comunità e questo ha autorizzato la società a ignorare i loro diritti fondamentali. Questo è pericoloso per il benessere delle donne in qualsiasi Paese», spiega Joseph Chidiebere Osuigwe, che ha ideato e lanciato Talkam, un’app con cui si può segnalare ogni tipo di violazione dei diritti umani.

A inizio anno è stata resa nota l’esistenza di uno scambio di informazioni tra Fbi e Polizia italiana, i cui investigatori sono esperti delle modalità criminali e della ramificazione in Italia e in Europa dei clan mafiosi nigeriani. Per Osuigwe «è importante lo scambio di informazioni. La condanna di queste mafie dovrebbe comprendere anche la destinazione delle loro ricchezze alla cura dei sopravvissuti»

La maggioranza delle “sopravvissute” in Italia, si trova in carcere, o nel “sommerso”. La speranza arriva dalla seconda e terza generazione: «Non ha nulla a che vedere con questo fenomeno, bisogna valorizzarle, dare loro opportunità, altrimenti si innesca lo stesso meccanismo. Da troppo tempo gli africani pensano che si possa fare soldi con tutto. Cosa possono fare di più che vendere le proprie sorelle?»