I
ricchi sempre più ricchi, e i poveri sempre più poveri
Aumenta
il divario tra ricchi e poveri. In 26 posseggono le ricchezze di
3,8 miliardi di persone. I meccanismi psicologici per cui le
politiche di redistribuzione non prendono piede e le persone di
basso reddito accettano la situazione come legittima
In
26 posseggono le ricchezze di 3,8 miliardi di persone
Ogni giorno muoiono 10 mila persone perché non
possono permettersi cure sanitarie, e 262 milioni di bambini non
vanno a scuola. Il rapporto Oxfam 2019 fa luce su disuguaglianza
economica e disuguaglianza sociale in Italia e nel mondo.
L'ingiusta distribuzione della ricchezza potrebbe essere risolta
in parte se l'1% dei più ricchi pagasse lo 0,5% in più di imposte
sul patrimonio
A dieci anni dall’inizio della crisi finanziaria i
miliardari sono più ricchi che maie la ricchezza è sempre più
concentrata in poche mani. L’anno scorso soltanto 26 individui
possedevano la ricchezza di 3,8 miliardi di persone, la metà più
povera della popolazione mondiale. Nel 2017 queste fortune erano
concentrate nelle mani di 46 individui e nel 2016 nelle tasche di
61 miliardari. Il trend è netto e sembra inarrestabile. Una
situazione che tocca soltanto i paesi in via di sviluppo? No,
perché anche in Italia la tendenza all’aumento della
concentrazione delle ricchezze è chiara.
A metà 2018 il 20% più ricco tra gli italiani
possedeva circa il 72% dell’intera ricchezza nazionale. Salendo
più in alto nella scala, il 5% più ricco era titolare da solo
della stessa quota di ricchezza posseduta dal 90% più povero.
Nei dieci anni successivi alla crisi finanziaria
il numero di miliardari è quasi raddoppiato. Solo nell'ultimo anno
la ricchezza dei Paperoni nel mondo è aumentata di 900 miliardi di
dollari (pari a 2,5 miliardi di dollari al giorno) mentre quella
della metà più povera dell'umanità, composta da 3,8 miliardi di
persone, si è ridotta dell’11,23.
Oggi 10 mila donne e uomini saranno condannati a
morte dalla mancanza di accesso a cure sanitarie e 262 milioni di
bambine e bambini non potranno andare a scuola. Oggi, come in
qualunque altro giorno dell’anno. Il mondo dipinto dal rapporto
globale di Oxfam è in bianco e nero, con buona pace per le
sfumature: sempre più persone in povertà estrema da una parte,
pochi Paperoni ultra-miliardari dall’altra. Tanto che se l’1% dei
più ricchi pagasse lo 0,5% in più di imposte sul patrimonio, si
potrebbe salvare la vita a 100 milioni di persone e permettere a
tutti i bambini di avere un’istruzione nel prossimo decennio.
Una grossa mole di numeri, percentuali e
statistiche, quelli contenuti nel rapporto Oxfam 2019 “Bene
pubblico o ricchezza privata?” che dipingono una realtà di
marcata disuguaglianza sociale ed economica che non accenna a
diminuire. Tanto nei paesi ricchi, Italia compresa, quanto in
quelli da ormai troppo tempo definiti “in via di sviluppo”.
Rapporto
Oxfam 2019
Dal report emergono le numerose conseguenze di questo
stato di cose: oltre a gettare nella povertà centinaia di milioni
di persone, a partire dalle donne, la distanza crescente tra
ricchi e poveri «alimenta la rabbia sociale in tutto il mondo» e
«danneggia le nostre economie»
E il documento arriva a individuare anche un’agenda
che i governi di tutto il mondo dovrebbero promuovere nella lotta
alla disuguaglianza. Cominciando dallo sviluppo di servizi
pubblici essenziali come sanità e istruzione, passando per la
lotta all’elusione fiscale e arrivando a un’imposizione fiscale
che chieda a tutti di contribuire a una società più equa in base
alle proprie possibilità.
«Non dovrebbe essere il conto in banca a
decidere per quanto tempo si potrà andare a scuola o
quanto a lungo si vivrà. Eppure è proprio questa la realtà
di oggi in gran parte del mondo. Mentre multinazionali e
super-ricchi accrescono le loro fortune a dismisura,
spesso anche grazie a trattamenti fiscali privilegiati,
milioni di ragazzi, soprattutto ragazze, non hanno accesso
a un’istruzione decente e le donne continuano a morire di
parto»
Discriminazioni
sul posto di lavoro, omofobia, discriminazioni razziali,
discriminazioni di genere, discriminazioni verso le persone con
disabilità (abilismo), discriminazioni sociali, bullismo e
cyber-bullismo
Omofobia
Cos’è
l’omofobia e come possiamo affrontarla
Cos’è l’omofobia e come colpisce tutti quanti
indipendentemente dall’orientamento sessuale? L’omofobia è
l’avversione, il rifiuto o la paura dell’omosessualità o delle sue
manifestazioni. Questa omofobia può assumere molte forme diverse,
dal semplice scherzo apparentamente innocente fino alle
aggressioni fisiche.
Disgraziatamente, l’omofobia che coinvolge
lesbiche, gay e trans permea in un modo più o meno sottile ogni
angolo della società in cui viviamo e si è incuneata tanto
profondamente nelle nostre menti, che anche noi stessi abbiamo una
potente carica omofobica al nostro interno che si esprime in
diverse maniere, ma soprattutto nella nostra disistima, che è un
aspetto da combattere poiché le sue conseguenze influenzano
direttamente le nostre azioni nella vita causando risultati
infelici. È quello che si chiama omofobia interiorizzata, il
disprezzo che sentiamo, consciamente o inconsciamente, verso noi
stessi.
La nostra omosessualità è la nostra natura, è
qualcosa che convive con noi stessi e che dobbiamo imparare ad
amare perché sarà sempre lì con noi; come affermato in precedenza
non è una malattia, è naturale come la vita stessa,
l’omosessualità è presente in tutte le culture del mondo, fin da
prima che esistessero le religioni moderne che la condannano; tra
queste, e soprattutto, la religione ebraico-cristiana.
Ma l’omofobia colpisce tutti gli uomini senza
distinzione di alcun tipo, inclusi gli eterosessuali, dato che
essi devono soddisfare le norme della mascolinità e devono
dimostrarla ogni minuto e ogni istante, comportandosi da “uomo”,
da “maschio”, con tutti gli annessi e connessi, per esempio quello
di non piangere, parlare chiaro, essere maleducato e bestemmiare,
etc., altrimenti si cade in una di quelle premesse che la società
omofobica si aspetta e si viene sospettati di non essere
eterosessuali, e quindi si diventa oggetto di omofobia. Inoltre
non viene contestata nel complesso dalla società, perché continua
ad essere percepita come riguardante i soli omosessuali.
Una delle forme più terribili dell’omofobia è
ciò che costituisce la legge del silenzio che la società impone
sull’omosessualità. Come se il solo fatto di non parlare di
lesbiche, gay e trans, li faccia diventare invisibili. E quindi,
chi si occupa dei diritti e della libertà di qualcuuno che è
invisibile? Questo è molto pericoloso per lesbiche, gay e trans,
specialmente durante il periodo dell’adolescenza nel momento in
cui si scopre il nostro orientamento sessuale, ossia verso chi
dirigiamo il nostro desiderio (nessuno ‘sceglie’ come affermano
molti omofobi), ci sentiamo completamente soli. Crediamo di essere
gli unici che vivono questo presunto “problema”.
Tutti quanti sappiamo molto su questo, non è
vero? Di questa paura di essere come siamo perché temiamo di
essere rifiutati, che nessuno ci comprenderà e ci appoggerà, per
la paura di venire ridicolizzati e insultati. Tutti quanti
conosciamo questo panico e ci aspettiamo il peggio del peggio.
L’essere umano sente una necessità urgente di
esprimere le proprie emozioni, le proprie paure e gioie, i propri
dubbi ed incertezze. E’ necessario parlare, condividere con
qualcuno quello che sta accadendo dentro di noi.
Aprire il nostro cuore a qualcuno avrà diversi
effetti positivi; sarà possibile ridurre il nostro livello di
omofobia interiorizzata che tuttavia non ci abbandona totalmente
perché comprendiano che essere lesbica, gay o trans non implica
necessariamente che non verremo mai accettati; avremo alleati per
ridurre l’omofobia del resto delle persone intorno a noi, questo
sarà più facile se avremo un amico che ci ascolta e che ci
sostiene.
Come possiamo
lavorare contro l’omofobia?
I livelli di omofobia si riducono enormemente
quando le persone omofobe conoscono una lesbica, un gay o un
trans. Non c’è nulla come guardare la realtà negli occhi per
rendersi conto che gli stereotipi non si adattano. Molte persone
che fanno commenti offensivi sull’omosessualità non sono
consapevoli dei danni che stanno facendo. Quando lo scoprono,
smettono di farlo. Le opinioni omofobe posso essere facilmente
rimosse perché si basano sull’ignoranza e sul pregiudizio,
dobbiamo parlare molto e avere molta pazienza. Parlare del proprio
orientamento sessuale con la gente tende a rafforzare i legami.
Discriminazioni
Razziali
Discriminazione
razziale. Una realtà ancora radicata in Italia
Il 21 marzo ricorre ogni anno la Giornata
internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale.
La data scelta non è casuale. Il 21 marzo 1960, infatti, nella
città di Sharpeville, in Sud Africa, la polizia aveva aperto il
fuoco e ucciso 69 persone durante una manifestazione pacifica
contro le leggi segregazioniste e, più particolarmente, l’Urban
Areas Act. Questa legge obbligava i neri di più di 16 anni ad
avere con loro un ‘lasciapassare’ che concedeva loro il diritto di
entrare in certi quartieri ‘bianchi’ al di là dei loro orari di
lavoro.
Anche se questi
eventi tragici sono accaduti più di mezzo secolo fa, quello della
discriminazione razziale è un aspetto ancora oggi attuale in tutti
i settori della vita quotidiana in ogni parte del mondo. In
occasione di questa giornata abbiamo voluto dunque analizzare la
situazione in cui si trovano oggi Europa e Italia per quanto
riguarda le discriminazioni.
La situazione europea
La Seconda indagine sulle minoranze e sulle
discriminazioni nell’Unione Europea, realizzata dall’Agenzia
Europea dei diritti fondamentali tra ottobre 2015 e luglio 2016,
ci dimostra quanto siano ancora presenti episodi di
discriminazioni nel nostro continente, anche se spesso questi
passano sotto silenzio.
Cosi l’indagine ci rivela che il 38% delle
persone intervistate si sono sentite discriminate in almeno uno
dei settori della vita quotidiana, nei cinque anni precedenti
l’indagine, a causa della loro origine etnica o del loro
background migratorio e, il 24% di loro, ha vissuto queste
discriminazioni nell’anno precedente l’indagine.
Tra le persone intervistate che hanno
dichiarato di essere state vittime di discriminazioni, ad averne
subite maggiormente sono le persone di origine Nord africana,
coloro che appartengono alla comunità Rom o con origini
Subsahariane (rispettivamente con nel 45%, 41% e 39% dei casi
durante i 5 anni precedenti l’indagine, e nel 31%, 26% e 24%
durante l’anno precedente l’indagine). Mentre i rispondenti che
fanno parte della comunità Rom o che hanno origini subsahariane
sono piuttosto vittime di discriminazioni basate sull’apparenza
fisica, l’indagine ci rivela che gli immigrati o discendenti
provenienti dall’Africa del Nord e della Turchia sono più spesso
vittime di discriminazioni basate sul loro nome.
I livelli i più alti di discriminazione basata
sul colore della pelle o sul background migratorio sono osservati
nell’area dell’impiego e nell’accesso ai servizi pubblici e
privati. Il 29% dei rispondenti che hanno cercato un lavoro nei 5
anni precedenti all’indagine si sono sentiti discriminati
(percentuale che si fissa al 12% durante l’anno precedente).
Anche se questi dati ci mostrano che gli
eventi di discriminazioni sono ancora molto diffusi, sono ancora
troppo rare le segnalazioni presso le autorità pubbliche. In
realtà, solo 12% dei rispondenti ha segnalato e presentato una
denuncia a proposito degli incidenti più recenti di
discriminazione che hanno vissuto a causa della loro origine
etnica o del loro background migratorio.
Ma come si spiega
questa bassa percentuale di segnalazioni? Da una parte con una
sfiducia generale verso le istituzioni. Le vittime di
discriminazioni infatti ritengono che niente accadrebbe in caso di
denuncia. La maggior parte dei rispondenti (71%) tuttavia, non
segnala la cosa perché non conosce tutte le organizzazioni che
offrono supporto ed assistenza alle vittime di tali atti
discriminatori e il 62% non conosce nessun organismo che si occupa
di uguaglianza.
Quella italiana è una
delle società più razziste
I dati su come gli italiani percepiscono le
minoranze, pubblicati nell’ultimo sondaggio del Pew Research
Center, non ci rivelano una situazione migliore per quanto
riguarda le discriminazioni in Italia. Al contrario il nostro
paese risulta essere, tra i sei presi in considerazione
dall’inchiesta, la società più razzista.
Così, il 21% dei rispondenti, ha dichiarato un
forte sentimento anti ebraico, il 61% di osteggiare i musulmani e
l’86% un’avversione nei confronti della comunità Rom, Sinti e
Camminanti.
Un risultato confermato anche dalla stessa
Seconda indagine sulle minoranze e sulle discriminazioni
nell’Unione Europea. Sempre prendendo come riferimento i cinque
anni precedenti l’indagine, il 37% dei rispondenti di origine
Sudafricana e il 20% di quelli provenienti dall’Africa del Nord si
sono sentiti vittime di discriminazioni a causa del colore della
pelle e il 32% di coloro che provengono dell’Asia del Sud si sono
sentiti vittime di discriminazioni a causa della loro appartenenza
etnica.
Una discriminazione non solo sociale ma, in
qualche modo, anche istituzionale. La ricerca dell’Agenzia Europea
dei diritti fondamentali prende in considerazione infatti anche i
controlli di polizia. Tra i rispondenti di origine subsahariana e
quelli del Nord Africa, rispettivamente il 28% e il 32% ha
dichiarato di essere stato controllato dalle forze dell’ordine
durante i 5 anni precedenti l’indagine. Di questi, il 60% e il
46%, ha vissuto il controllo come dovuto alle caratteristiche
fisiche o l’origine etnica e non a fondati sospetti di reato.
Le ricerche condotte dall’Associazione
Antigone nello stesso ambito ci confermano queste cifre. Secondo
il progetto ‘Discrimination’, in cui Antigone è coinvolta, risulta
che gli stranieri vengono fermati dalla polizia in misura maggiore
degli italiani. Così, i dati sugli arresti ci mostrano che l’8,3%
della popolazione residente in Italia non ha la cittadinanza
italiana ma ben il 29,2% degli arrestati è straniero.
Di più, secondo il parere degli avvocati
intervistati dall’Associazione Antigone, nei processi per
direttissima (che hanno luogo quando l’imputato è stato colto in
flagranza di reato), le condanne sono più severe per gli stranieri
che per gli italiani e i giudici tendono a convalidare gli arresti
degli stranieri e a convertirli in custodia cautelare con maggiore
facilità.
L’azione penale è anche discriminante rispetto
all’applicazione delle misure alternative alla detenzione, molto
più facilmente precluse agli stranieri. Infine, uno dei maggiori
motivi di discriminazioni deriva dalla mancata padronanza della
lingua e da una minore conoscenza del funzionamento della macchina
giudiziaria, cui la scarsa presenza di interpreti e mediatori non
riesce a far fronte.
Ad alimentare la discriminazione e il
conseguente razzismo che, secondo il “Quarto libro bianco’ di
Lunaria, presentato nello scorso mese di ottobre 2017, sta
trovando sempre nuovo terreno e cresce con un’intensità forte è
anche il ruolo dei media, sia social che tradizionali.
Il rapporto ci
mostra infatti come sui social media, le informazioni condivise
sono sempre meno corrette e i comportamenti sempre più apertamente
discriminanti, e come nei media tradizionali si è assistito a
prime pagine che hanno invitato a ‘cacciare l’islam’ mentre la
narrazione di violenze a sfondo razzista ha trovato sempre minore
spazio.
Rom, Sinti e Caminanti.
Quando la discriminazione è generalizzata
Un capitolo a parte meritano le
discriminazioni contro Rom, Sinti e Caminanti di cui Associazione
21 Luglio si è occupata nel suo Rapporto annuale 2016. Questo
documento rende bene l’immagine di “un contesto permeato da
pregiudizi e stereotipi penalizzanti diffusi e radicati,
caratterizzato da uno scarsissimo grado di conoscenza delle
comunità Rom e Sinte e da un clima di generale ostilità”
Nel corso di quell’anno l’Osservatorio 21
Luglio aveva registrato un totale di 175 episodi di discorsi di
odio, nei confronti di Rom e Sinti, di cui 57 (il 32,6% del
totale) sono stati classificati di una certa gravità.
Una discriminazione proveniente anche da chi
si candida a guidare le istituzioni. Infatti, tra coloro che
facevano ricorso ad una retorica anti-tzigana, c’erano anche
rappresentanti politici – in particolare esponenti dei partiti del
centrodestra con quelli della Lega Nord a distinguersi, seguiti da
quelli di Fratelli d’Italia e Forza Italia. Per quanto riguarda la
ripartizione geografica degli episodi di discriminazione, la
concentrazione più importante di questi episodi si ritrovava nel
Lazio (il 24,5% degli episodi), nel Veneto (il 15%), nell’Emilia
Romagna (il 12%) e in Campania (l’11%).
A suffragare
questi dati è stato recentemente l’indagine ‘Resistenza dell
antiziganismo in Italia’ condotta da Nawart Press in
collaborazione con il think thank Political Capital Institute e
l’Istituto di sondaggi IXE. Le ricerche condotte mostrano che il
22,1% degli intervistati possono essere considerati come
intolleranti nei confronti di queste minoranze, escludendo per
esempio la possibilità di averli come vicini, mentre il 23,4% è
criticalmente indulgente, accetta ad esempio di averli come
colleghi ma meno come vicini e in pochi casi come partner.
Tuttavia
la ricerca mette in evidenza come nel nostro paese esiste anche
una grande fetta di popolazione (17% ovvero 8,7 milioni di
italiani) che rifiuta gli stereotipi negativi nei confronti di
queste comunità.
Una buona notizia a
cui appellarsi per superare in Italia le discriminazioni razziali
ed etniche.
Discriminazioni
di Genere (verso le donne)
Donne,
precarietà e salario. Una storia di discriminazione di genere
La precarietà del lavoro e la conseguente
discriminazione salariale sono fattori costanti e strutturali
nell’esperienza delle donne lavoratrici, un fenomeno storico
caratterizzato da un vero e proprio approccio di genere. La
precarietà del lavoro femminile è un fenomeno di lungo periodo,
che ha attraversato tutte le fasi del capitalismo storico e ancora
prima l’età preindustriale.
La legislazione a tutela delle donne
lavoratrici (che in Italia nasce con una legge del 1902) si
è lungamente caratterizzata come strumento protettivo del loro
ruolo di madri, per salvaguardarne la capacità procreativa, e non
per affermarne la pari dignità di persona.
Oltretutto le prime leggi sul lavoro femminile si
riferivano solo alle operaie di fabbrica, trascurando le altre
categorie in cui era occupata la maggior parte della forza lavoro
femminile.
Le donne sono sempre state presenti nel mondo
del lavoro ma erano soggetti invisibili, spesso perfino
inconsapevoli che le prestazioni quotidiane che svolgevano nelle
campagne o nella solitudine dello loro case fossero lavoro. La
conquista della consapevolezza del proprio ruolo di lavoratrici,
prima di tutto, e poi dei diritti relativi è stata lunga e
impervia e non può dirsi certo conclusa.
Ripercorrendo a grandi passi la storia
dell’età moderna è possibile riscontrare come fin dalla prima
Rivoluzione industriale le modalità di impiego della forza lavoro
nell’industria e nelle campagne fossero prevalentemente precarie,
sia per stagionalità che per tipologia contrattuale: per tutto il
primo Ottocento i lavoratori, non solo donne, venivano impiegati
con contratti a cottimo con salari dunque che dipendevano dalla
quantità e dalla qualità del lavoro prodotto, e non dalle ore
spese per realizzarlo. I rapporti di lavoro erano definiti su base
individuale e potevano essere interrotti tramite licenziamento in
qualunque momento.
Con la seconda fase dell’industrializzazione
le fabbriche raggiunsero dimensioni più ampie e furono adottate
macchine semi-automatiche che richiedevano manodopera meno
qualificata per mansioni ripetitive e parcellizzate. Queste
condizioni determinarono il rapido e massiccio impiego di donne e
bambini.
La situazione generalizzata di sfruttamento e
precarietà dei lavoratori, e in particolare di quelli più deboli,
cominciò a emergere nei paesi europei maggiormente
industrializzati con la cosiddetta “questione sociale” a cavallo
tra XIX e XX secolo. Numerose inchieste promosse dalla classe
dirigente, da leader politici e da associazioni di lavoratori
portarono alla luce e denunciarono le condizioni lavorative
drammatiche del proletariato industriale.
Con lo sviluppo del sistema fordista, prima
nell’industria statunitense negli anni Trenta del Novecento, poi
in Europa nel secondo dopoguerra, i rapporti di lavoro
guadagnarono una maggiore continuità anche se con gravi disparità
geografiche e settoriali.
Durante i due conflitti bellici le donne si
sostituirono nel lavoro agli uomini chiamati al fronte. Le
lavoratrici si misero alla prova con successo anche in quegli
ambiti generalmente riservati agli uomini, come i trasporti e la
produzione di armamenti. Al termine della guerra furono massicci i
licenziamenti delle lavoratrici per favorire il reinserimento dei
reduci. Il lavoro femminile era comunque considerato un indebito
fattore di concorrenza per gli uomini.
Per il Fascismo il ruolo della donna era quello di
“angelo del focolare”, moglie e madre, dunque il lavoro
extradomestico fu osteggiato in ogni modo.
Se il boom economico degli anni Cinquanta e
Sessanta vede crescere il proletariato industriale assunto a tempo
indeterminato i cui diritti e tutele cominciavano ad essere
normati, persisteva un enorme bacino di lavoratori di riserva a
buon mercato: le donne.
I livelli salariali erano generalmente
dimezzati rispetto a quelli maschili e le forme di contratto quasi
esclusivamente precarie. Il contratto a termine usato in modo
improprio dal datore di lavoro garantiva a quest’ultimo di potersi
liberare della lavoratrice non solo qualora i ritmi della
produzione fossero calati, ma anche nei casi in cui avesse
contratto una malattia, si fosse infortunata, avanzasse qualunque
forma di rivendicazione sindacale, o avesse deciso di sposarsi e
dunque avere figli.
Le clausole di nubilato e la pratica delle
dimissioni in bianco erano diffusissime e generalmente accettate
poiché il lavoro femminile era considerato accessorio e
complementare rispetto a quello dei mariti. La percentuale di
donne che lasciava l’impiego dopo il matrimonio rimase molto alta
fino agli anni Settanta, ovvero fino a quando la legislazione
oltre a garantire maggiori tutele alle madri-lavoratrici (legge
860 del 1950) non cominciò a predisporre servizi sociali adeguati
a supportarne il doppio impegno fuori e dentro casa, per esempio
con gli asili nido. Quando le donne per motivi di sussistenza non
potevano rischiare di perdere il lavoro si sposavano in segreto e
nei casi più drammatici praticavano l’aborto illegale con enormi
rischi anche per la propria salute.
Anche nei periodi di crisi il licenziamento
massiccio delle donne era socialmente accettato poiché si riteneva
che potessero rientrare nell’ambito domestico come casalinghe.
Dunque la disoccupazione femminile accanto alla precarietà non fu
mai percepita come un’emergenza sociale.
Tuttavia la presenza femminile nell’industria
era capillare. Durante l’espansione industriale all’inizio degli
anni Sessanta le donne non lavoravano solo nell’industria tessile,
dell’abbigliamento e alimentare, ma anche in comparti
tradizionalmente maschili come quello metalmeccanico e chimico. Le
operaie metalmeccaniche nel 1961 erano quasi il 19% delle
lavoratrici industriali del Paese.
Accanto a queste lavoratrici, socialmente
riconoscibili, c’erano le migliaia di donne impiegate nel lavoro a
domicilio senza essere inquadrate in alcun contratto e dunque
senza godere di alcun diritto (malattia, maternità, pensione). Il
fatto che non fossero registrate rendeva difficile perfino
censirle e capirne l’effettivo numero, le stime parlano di 700.000
donne circa.
Un esercito invisibile che durante il boom
economico rappresentò un motore di sviluppo industriale
fondamentale per il Paese, benché non riconosciuto. In particolare
le piccole e medie imprese tessili si servivano delle lavoranti a
domicilio per svolgere diverse mansioni produttive, scelta che
garantiva agli imprenditori notevoli risparmi sia in termini
salariali che organizzativi (spazi aziendali messi a disposizione,
corrente elettrica consumata, ecc.). Le lavoranti a domicilio
venivano pagate a cottimo ed appartenevano a diverse tipologie:
erano contadine che nei mesi di inattività in campagna prendevano
lavoro a casa e lo svolgevano con l’aiuto di altri familiari,
bambini e anziani; erano operaie licenziate che accettavano per
necessità la nuova condizione lavorativa anche se molto peggiori;
oppure casalinghe costrette a casa dalla presenza di bambini
piccoli che nella necessità di integrare il magro salario del
marito affiancavano al lavoro domestico quello a domicilio.
La Commissione parlamentare di inchiesta
istituita nel 1955 produsse un’imponente mole di documentazione
sulla precarietà e la discriminazione che caratterizzavano la
condizione lavorativa femminile. Nel 1958 pubblicò 25 volumi, due
dei quali erano dedicati all’abuso dei contratti a termine, ai
licenziamenti per matrimonio e alla diffusione abnorme del lavoro
a domicilio. Quest’ultimo si configurava come la forma di
sfruttamento peggiore e la tipologia lavorativa più precaria. Non
vi era alcuna garanzia di continuità lavorativa e dunque salariale
e la distribuzione dei carichi di lavoro era a totale
discrezionalità del datore di lavoro. Anche il salario corrisposto
a cottimo era deciso da ultimo dal datore di lavoro che ne
giudicava la qualità.
Il cottimo determinava orari di lavoro prolungati e
ritmi massacranti che producevano un rapido logoramento del fisico
delle donne, già provato dal lavoro domestico e dalle gravidanze.
Inoltre anche nel lavoro a cottimo esisteva una discriminazione di
genere: i “differenziali di cottimo” erano di fatto quote
salariali a incentivo calcolate diversamente tra uomini e donne.
La Commissione stessa formulò alcune proposte
per arginare il fenomeno dei contratti a termine e del lavoro a
domicilio. La prima proposta di legge risale al 1962: la numero
230 Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, che
rimase in vigore fino al 1987. La seconda legge venne approvata
nel 1973 e sancì la parità di trattamento fra lavoratori
cosiddetti “interni” ed “esterni” alla fabbrica e la
qualificazione del lavoro a domicilio come subordinato.
Nel mezzo, nel 1963, venne approvata la legge
che vietava i licenziamenti per matrimonio e dichiarava nulle le
clausole di nubilato nei contratti, i licenziamenti avvenuti tra
la pubblicazione di matrimonio e il primo anno dopo la
celebrazione e infine le dimissioni presentate dalle lavoratrici
nello stesso periodo. Nello stesso anno fu approvata la legge che
garantiva alle donne l’accesso a tutte le carriere anche se nei
fatti molte rimasero precluse.
Nel 1965 si tiene la Conferenza nazionale
“Diritto della donna al lavoro stabile e qualificato”, in cui
finalmente si denuncia la condizione ingiusta e precaria
dell’occupazione femminile e una manifestazione di 4.000 donne
segue la conferenza.
Nel 1966 viene varata la legge Norme sui
licenziamenti individuali che pone limiti importanti ai
licenziamenti indiscriminati introducendo la giusta causa o il
giustificato motivo, che poi verranno adottati dall’art.18 dello
Statuto dei lavoratori approvato nel 1970.
Da questo momento in poi la precarietà del
lavoro venne attivamente contrastata anche se rimase una costante
nel lavoro a domicilio che si acuì a seguito del fenomeno di
decentramento produttivo e delocalizzazione industriale cominciato
nella pima metà degli anni Settanta.
Le lotte operaie tra il 1968 e il 1973 nel
frattempo avevano ottenuto sensibili miglioramenti legislativi
come la riduzione delle qualifiche e l’inquadramento unico, gli
aumenti salariali uguali per tutti, il miglioramento delle
condizioni igienico-sanitarie e l’adozione di strumenti di
controllo per la tutela della salute, la diffusione di mense nei
luoghi di lavoro e asili nido aziendali e comunali, la quasi
totale abolizione del cottimo a favore di un premio in cifra
fissa.
Nonostante la Costituzione repubblicana avesse
già sancito la parità di genere sul lavoro all’art.37, che pur fa
riferimento al ruolo di procreatrice della donna, è solo nel 1977
con la legge n.903 che si può parlare di parità di trattamento tra
uomo e donna in materia di lavoro. Negli anni Novanta seguiranno
importanti norme sulle pari opportunità, fino alla legge n.53 del
2000 sui congedi parentali che riconosce anche ai padri una
responsabilità sulla cura dei figli.
La battaglia per il riconoscimento dei diritti
delle lavoratrici non è finita. Essa si combatte fuori e dentro il
Parlamento, attraversa la famiglia e la Scuola. Oggi le donne che
ricoprono ruoli di management nelle grandi aziende sono solo il
13% a dimostrazione di quanto sia ancora diffuso il fenomeno del
Glass Ceiling ovvero del tetto invisibile che impedisce alle donne
l’accesso ai massimi livelli nelle diverse carriere.
Il riconoscimento reale della parità
lavorativa delle donne non è solo una battaglia di civiltà e
giustizia ma, come la storia ci insegna, anche la decisiva messa a
frutto di un potenziale professionale necessario allo sviluppo
economico di un Paese.
Discriminazioni
verso persone con Handicap (Abilismo)
Perché
le persone disabili non hanno bisogno della tua pietà
Con il termine “abilismo” si intende la
discriminazione verso le persone disabili, parente stretta di
sessismo, omobitransfobia, razzismo e di tutte le altre
discriminazioni sociali. Il termine deriva da “ableism”,
sviluppatosi in ambito anglo-americano in riferimento all’abilità,
fisica o mentale, come norma e unica condizione accettata.
Un problema molto sentito dagli attivisti
disabili è che la disabilità è sempre stata vista come una mera
questione medica. Una condizione tragica e sfortunata, senza tante
possibilità, da compatire, da curare e possibilmente quindi da
eliminare. Dall’epoca dei freak show, intrattenimenti morbosi per
le persone non disabili, o dal periodo in cui la disabilità veniva
imputata ai peccati della famiglia e i figli “paralitici” venivano
nascosti in casa, la cultura si è faticosamente evoluta.
La concezione della disabilità nei secoli è
passata da una visione medica fino allo sviluppo del Modello
Sociale della Disabilità, teorizzato da Mike Oliver nel 1983. Il
Modello Sociale aggiusta il paradigma, definendo la disabilità
come una condizione socio-politica marginalizzata che ha una
propria cultura e community, e che affronta determinati tipi di
discriminazioni.
Ma alcune tracce di questa concezione
rimangono ancora oggi: nei talk show strappalacrime, o nelle
scelte di marketing di Telethon. Non ci sono più i freak show ma
c’è l’inspiration porn, articoli di giornale, meme su Facebook,
storie strappalacrime dove le persone disabili o gravemente malate
sono ritratte come esempi di coraggio semplicemente sulla base
della loro disabilità, e vengono ridotte a esempi motivazionali
per chi non è disabile.
E c’è un certo tipo di voyeurismo che ha
trovato terreno fertile per svilupparsi a causa della poca
esposizione delle persone disabili nella società. Le persone
disabili forse non verranno più segregate in casa, ma spesso non
possono comunque uscire quando vogliono, o andare dove vogliono, a
causa della mancanza di servizi e accessibilità.
Come tutte le discriminazioni strutturali,
l’abilismo si sviluppa su più livelli. Possiamo pensarlo come una
piramide, alla cui base si collocano i fenomeni di entità minore,
dettati da ignoranza, paternalismo e incapacità di andare oltre
agli stereotipi di cui la nostra cultura è impregnata; e al cui
vertice troviamo il genocidio. Dato che si tratta di un crescendo,
è importantissimo riconoscere e combattere anche gli atteggiamenti
minori, quelli che sembrano innocui, perché sono solo l’inizio di
un modo di pensare che può avere conseguenze letali.
L’indifferenza è il gradino più
basso della piramide della discriminazione. Un esempio è non
contrastare le battute abiliste. Espressioni come “sei un Down”,
“sei un handicappato”, “sei un mongolo” vengono spesso
automaticamente giustificate come insulti bonari. Eppure, se la
nostra lingua ritiene che essere paragonati alle persone disabili
sia un insulto, vuol dire che c’è un problema strutturale.
Il gradino successivo all’indifferenza è la minimizzazione. Ad esempio, è molto comune nei convegni a
tema disabilità che i relatori siano in gran parte non disabili:
spesso si tratta di medici, operatori del settore e caregiver. Non
ci sono mai persone disabili che occupano posti di rilievo. Non
lasciare spazio alla voce dei diretti interessati è abilismo. Un
altro esempio di minimizzazione è giustificare il carattere
discriminatorio di una situazione dicendo che le intenzioni della
persona “discriminante” erano buone e magari consigliare in modo
paternalistico alla persona disabile di “apprezzare comunque le
intenzioni”, invalidando i suoi sentimenti feriti.
Questo ci porta all’abilismo velato,
quello che non si mostra in modo palese per quello che è. Non più
semplicemente non contrastare, ma fare battute abiliste, perché
ormai sono parte integrante del vocabolario degli insulti, come si
diceva prima. Arriviamo poi alla discriminazione esplicita, che è
tutt’oggi molto frequente.
La Convenzione ONU sui diritti delle persone
con disabilità, ratificata dall’Italia nel 2009, viene
costantemente violata. Chi è disabile è discriminato nella ricerca
del lavoro, sempre che la sede del colloquio sia accessibile o lo
siano i mezzi che portano lì. Le barriere architettoniche quasi
onnipresenti impediscono o rendono difficile la partecipazione
agli spazi pubblici, e si continuano ad aprire nuovi negozi, bar e
locali privi dei requisiti legali di accessibilità.
Non è ancora diffusa l’idea che la presenza di
scale in un luogo pubblico equivalga in sostanza all’affissione di
un cartello con scritto “vietato l’ingresso alle persone in
carrozzina”, o che un semaforo senza segnaletica sonora è come
apporre la scritta “vietato il passaggio alle persone cieche”.
L’Italia è stato il primo Paese europeo ad abolire negli anni
Settanta le scuole separate per gli studenti disabili, e
costituisce un modello per gli altri Paesi (dove classi
differenziali o vere e proprie scuole “speciali” sono ancora
frequenti), ma in pratica situazioni di segregazione restano, a
causa delle barriere architettoniche o della scarsità di
assistenza scolastica che di fatto limitano l’inclusione.
Altri esempi di discriminazione esplicita sono
le politiche che non si occupano di disabilità e diritti. In
particolare, sono abiliste quelle politiche che resistono alle
richieste sempre più decise degli attivisti disabili di stornare i
fondi per l’assistenza ora destinati alle strutture segreganti
verso una gestione autonoma delle risorse da parte delle persone
disabili sulla base dei propri bisogni specifici.
C’è abilismo anche in campo medico, dove
statisticamente si fornisce una qualità del servizio inferiore a
chi ha disabilità: si sottovalutano in partenza le potenzialità e
le aspirazioni delle persone disabili e quindi si offre un
servizio di minore qualità. Un uomo disabile statunitense, ad
esempio, è stato oggetto di negligenza e pregiudizio da parte del
personale sanitario dello Yale New Haven Hospital finché non ha
chiesto ai colleghi professori universitari di bioetica di
intervenire; in Inghilterra è stato arbitrariamente approvato un
ordine di DNR (“Do Not Resuscitate”) per un’eventuale
complicazione della condizione di salute di un uomo con la
sindrome di Down adducendo la sua disabilità come motivo e senza
consultare lui o la famiglia; un’attivista e accademica autistica
non è stata coinvolta nel processo decisionale sulla propria
terapia e i suoi sintomi minimizzati perché i medici hanno scritto
sulla cartella clinica, a torto, che aveva un “ritardo mentale”.
Inoltre, c’è il grande problema dell’inaccessibilità dei servizi
sanitari, specialmente dei servizi ginecologici e di prevenzione
del tumore al seno.
Al livello superiore troviamo
l’incitamento alla violenza. Come l’eugenetica, che ha
radici nel diciannovesimo secolo. Una retorica che considera di
minore valore le vite delle persone disabili è un incitamento al
disprezzo, alla discriminazione e alla violenza verso le persone
che stanno vivendo quella condizione.
Violenza che non è una novità per le persone
disabili segregate nelle case di cura, alle quali cioè non viene
erogato dai servizi sociali un finanziamento sufficiente per
assumere assistenti nel proprio ambiente di vita per svolgere le
attività quotidiane. Già privare della libertà una persona,
limitarne le uscite, imporle orari per mangiare, usare il bagno e
andare a dormire è violenza diretta, il penultimo scalino della
piramide. Inoltre, in una struttura chiusa dove la persona non
decide da chi viene assistita, si crea uno squilibrio di poteri in
cui la persona disabile è in assoluto la parte più debole, tanto
che micro e macro abusi sono quasi inevitabili.
Un altro esempio di violenza diretta sono i
crimini di odio verso le persone disabili, i cosiddetti “mercy
killing”. Come per i femminicidi, quando si legge dell’uccisione
di una persona disabile da parte del suo caregiver si parla di
“troppo amore” o al massimo di “raptus”, quando in realtà si
tratta di un fenomeno strutturale che ha come premessa la
svalutazione delle vite delle persone disabili. Da cui il
passaggio al vero e proprio genocidio non è così lungo. L'”Aktion
T4”, lo sterminio di 300mila persone disabili (anche se il numero
preciso resta ignoto), sotto il regime nazista fu il banco di
prova per lo sterminio delle altre minoranze e finì addirittura
dopo: quelle delle persone disabili venivano definite “vite
indegne di essere vissute”. Un simile movente sta dietro al
massacro di Sagamihara, in Giappone, quando nel 2016 un ex
dipendente si è introdotto in una struttura residenziale, ha
ucciso diciannove persone e ne ha ferite ventisei, di cui non sono
stati resi noti dai media nemmeno i nomi.
L’abilismo, purtroppo, è strutturale e
normalizzato, e dato che il termine è poco conosciuto persino
dalle persone disabili e dai circoli di giustizia sociale, è
difficile definire e classificare la discriminazione, che quindi
diventa anche difficile da combattere. Alcuni passi importanti da
seguire per contrastare l’abilismo sono guardare la disabilità
attraverso una lente sociopolitica, affrontare la discussione
sull’abilismo parallelamente alle discussioni sulle altre
discriminazioni, amplificare quanto più possibile le voci dei
diretti interessati e cercare di decostruire e analizzare quello
che abbiamo imparato di disabilità vivendo in una cultura
abilista.
Discriminazioni
Sociali
Criticano ciò che sei, ciò che ami, la tua
pelle, le tue origini e le tue apparenze. Ti guardano male e
ridono di te per la minima diversità.
No, non siamo nel Medioevo, ma nel XXI secolo.
Le discriminazioni sociali fanno parte della
quotidianità per gli adolescenti, talmente tanto da non provocare
più scalpore.
La gente critica, ride e sghignazza, commenta e
deride qualsiasi persona non rientri nei loro canoni di normalità,
perchè piena di pregiudizi. E i pregiudizi nascono dall'ignoranza.
Continuamente, vengono fatti passare
atteggiamenti razzisti, omofobi e xenofobi come normalità,
rendendo vittime ragazzini che si vergognano di essere quello che
sono e che cercano in tutti i modi di cambiare e scusarsi perchè
convinti di essere sbagliati.
Basta sfiorare i limiti della ormalità per
diventare il centro di commenti e prese in giro, che spesso si
espandono sui social, diventando insotenibili.
E la gente non ne parla. Spesso questi argomenti
vengono visti come "argomenti tabù", argomenti non trattabili,
evitati con la scusa del "sono troppo piccoli per capire", creando
così ragazzini convinti di essere superiori.
Tutto ciò dovrebbe
finire
Non esiste normalità o diversità, non esiste
giusto o sbagliato, non esiste persona "da tenere" o persona "da
cambiare"
Siamo ciò che siamo, e
nessuno merita di scusarsi per essere semplicemente sè stesso
Bullismo
e Cyber-bullismo
Analisi
del fenomeno per prevenirlo a scuola
Come è noto il termine bullismo deriva
dall’inglese “bullying” e viene usato nella letteratura
internazionale per connotare il fenomeno delle prepotenze tra pari
in un contesto di gruppo. Tra la fine degli anni Sessanta e gli
inizi degli anni Settanta i lavori pionieristici di Heinemann
(1969) e Olweus (1973) rilevarono un’elevata presenza di
comportamenti bullistici in molte scuole scandinave catalizzando
l’attenzione anche della stampa. È proprio Olweus (1996) che, per
primo, formula una definizione del fenomeno, affermando che: “uno
studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è
prevaricato e vittimizzato, quando viene esposto,
ripetutamente nel corso del tempo, ad azioni offensive messe
in atto da parte di uno o più compagni”
Le definizioni che si sono succedute negli
anni hanno aggiunto ulteriori particolari, ad esempio Bjork
e collaboratori (1982) hanno enfatizzato la disparità di potere e
la natura sociale del bullismo; Besag (1989) ha sottolineato la
sistematicità e la durata nel tempo dell’azione aggressiva e
l’intenzionalità nel causare il danno alla vittima; Sullivan
(2000) ha parlato di abuso di potere premeditato e diretto verso
uno o più soggetti. Il bullismo fa parte della più ampia classe
dei comportamenti aggressivi, può essere presente durante tutto
l’arco di vita dell’individuo e assumere forme diverse a seconda
dell’età, è però sempre caratterizzato da intenzionalità,
persistenza e squilibrio di potere.
Bullismo. Storia,
teorie e analisi sociologiche
In linea generale sono identificabili tre
tipologie di comportamento aggressivo: violenza fisica diretta,
aggressività verbale e relazionale, anche indiretta,
caratterizzata spesso da violenza psicologica come diffamare,
escludere, ghettizzare o isolare la vittima.
In genere le vittime di genere femminile
reagiscono al sopruso con tristezza e depressione, i soggetti di
genere maschile invece esprimono più spesso la rabbia. Inoltre,
mentre le ragazze tendenzialmente denunciano le prepotenze subite
e, se spettatrici di episodi di bullismo perpetuati ai danni di
altri, reagiscono cercando di difendere la vittima, i ragazzi
adottano più spesso un comportamento omertoso e complice.
Le differenze di comportamento tra i generi si
acutizzano con l’eta?: meno evidenti nei primi anni di scuola,
emblematiche del genere di appartenenza durante il periodo
adolescenziale. Molteplici sono i modelli teorici che hanno
cercato di spiegare il bullismo e di comprendere
i fattori del disagio o della devianza. Dalla teoria
dell’interazione sociale alla teoria del controllo socia- le
vengono tenuti in debito conto i principali fattori della
devianza. Entrambe le teorie postulano che la personalità del
bambino si struttura a partire dalla relazione con i genitori, i
quali diventano agenti di facilitazione dei valori sociali e delle
funzioni di controllo (sviluppo morale).
E? la teoria dell’attaccamento che chiarifica
la funzione protettiva che una relazione sana con il caregiver
puo? assumere nello sviluppo del bambino, o, al contrario, quanto
un rapporto conflittuale possa divenire sinonimo di difficoltà
nel processo di crescita. Inoltre, non bisogna dimenticare
un’ampia parte di letteratura che evidenzia come episodi di
bullismo, subiti e perpetrati, nell’infanzia e nell’adolescenza
abbiano forti probabilita? di sfociare in gravi disturbi della
condotta in tarda adolescenza e nell’età adulta.
Rilevante e? stato il contributo di Oliverio
Ferraris (2008) nel sintetizzare le cause originarie degli atti
persecutori: il bullismo appare fondarsi su un disagio familiare
che spinge l’individuo a mettere in atto comportamenti vessatori
essenzialmente per due differenti ragioni quali l’apprendimento
pregresso e il vissuto di rivalsa. Nel primo caso il soggetto
ripropone in classe il modello di comportamento violento appreso
in famiglia. Nel secondo, riattualizza ciò che ha vissuto come
vittima di aggressioni, invertendo però il proprio ruolo
(identificandosi così con l’aggressore).
Una variabile importante per la descrizione e
l’interpretazione del fenomeno è il periodo di insorgenza dei
comportamenti bullistici. Le azioni aggressive che insorgono in
età adolescenziale assumono una valenza prioritariamente
relazionale con lo scopo di far assumere al singolo un’identità
all’interno del gruppo. La condivisione diventa la condizione
identificativa e definitoria del gruppo, in una costante
interazione tra il dentro (da salvaguardare) e il fuori (il
nemico), l’azione diviene l’espressione della frustrazione interna
che deve essere scaricata, allontanata da se? e diretta verso una
vittima esterna.
Con i suoi primi lavori condotti su oltre
130.000 ragazzi norvegesi tra gli 8 e i 16 anni, Olweus (1983)
trovò che il 15% degli studenti era coinvolto, come attore o
vittima, in episodi di prepotenza a scuola. Successivi studi hanno
poi confermato l’incidenza e la diffusione di questo fenomeno
nelle scuole. Nella nostra realta? nazionale, già i primi dati
raccolti negli anni ’90, con un campione di 1.379 alunni tra gli 8
e i 14 anni, indicarono come il 42% di alunni nelle scuole
primarie e il 28% nelle scuole secondarie di primo grado
riferissero di aver subito prepotenze. Questi studi mettono in
evidenzia come la scuola possa diventare possibile luogo di
persecuzione e violenza a carico di tre specifiche categorie: il
bullo, la vittima, il gruppo.
Il bullismo non è un fenomeno di nuova
generazione, ma è innegabile che presenti oggi dei caratteri di
novità, uno dei quali è ascrivibile nelle potenzialità offerte
dalle strumentazioni tecnologiche. Una nuova manifestazione di
atti di bullismo, è infatti, il cyberbullismo, frutto
dell’attuale cultura globale in cui le macchine e le nuove
tecnologie sono sempre più spesso vissute come delle vere e
proprie estensioni del sè.
Cyber-bullismo
Gli sms, le e-mail, i social network, le chat
sono i nuovi mezzi della comunicazione, della relazione, ma
soprattutto sono luoghi “protetti”, anonimi, deresponsabilizzanti
e di facile accesso, quindi perversamente “adatti” a fini
prevaricatori come minacciare, deridere e offendere. Tra le
definizioni di cyberbullismo maggiormente accreditate sono
rintracciabili quelle di Smith et al. (2008) che parlano di un
atto aggressivo attuato tramite l’ausilio di mezzi di
comunicazione elettronici, individuale o di gruppo, ripetitivo e
duraturo nel tempo, contro una vittima che non puo? facilmente
difendersi.
Come accade per il bullismo inteso in senso
classico anche il cyberbullismo può assumere diverse
manifestazioni a seconda dei mezzi e delle modalità con cui si
esplica. Willard (2004) categorizza il cyberbullismo in otto
specifiche tipologie di comportamento:
il
flaming, ovvero, inviare messaggi volgari e aggressivi
ad una persona tramite gruppi on-line, e-mail o messaggi;
l’on-line
harassment, inviare messaggi offensivi in maniera
ripetitiva sempre utilizzando la messaggistica istantanea;
il
cyber- stalking, persecuzione attraverso l’invio
ripetitivo di minacce;
la
denigration, pubblicare pettegolezzi, dicerie sulla
vittima per danneggiarne la reputazione e isolarla socialmente;
il
masquerade, ovvero l’appropriarsi dell’identità della
vittima creando danni alla sua reputazione;
l’outing,
rivelare informazioni personali e riservate riguardanti una
persona;
l’exclusion,
escludere intenzionalmente una persona da un gruppo on-line;
il
trickery, ingannare o frodare intenzionalmente una
persona.
Bullismo e cyberbullismo si differenziano in
particolare nella dimensione contestuale: nel cyberbullismo gli
attacchi non si limitano esclusivamente al contesto scolastico, ma
la vittima può ricevere messaggi o e-mail dovunque si trovi, e
questo rende la sua posizione molto più difficile da gestire e
tollerare. Nel bullismo digitale la responsabilità può essere
condivisa anche da chi visiona un video, un’immagine e decide di
inoltrarla ad altri, il gruppo, quindi, acquisisce un ruolo,
un’importanza, una responsabilità diversa e, in particolare, la
portata del gesto aggressivo assume una gravità spesso superiore,
con conseguenze estremamente gravi.
Il
global warming senza precedenti negli ultimi duemila anni
Industrializzazione
selvaggia
Sfruttamento
indiscriminato delle risorse
Distruzione
sistematica dei polmoni verdi del pianeta
La
foresta amazzonica, gli incendi e il taglio
indiscriminato degli alberi che la stanno distruggendo, è
l'esempio più visibile, ma poi ci sono le devastazioni
indiscriminate delle foreste equatoriali in Africa, e gli incendi
delle immense pinete siberiane. Tutti quei polmoni verdi del
pianeta che sono vere e proprie fabbriche di ossigeno per la
Terra e che la sete di denaro dell'uomo sta distruggendo.
Inquinamento
Il
30% dell'Umanità NON ha accesso a fonti di acqua potabile
Scioglimento
dei ghiacciai, delle calotte polari, delle distese ghiacciate come
la Groenlandia e il conseguente innalzamento dei mari
Riscaldamento
globale
Milioni
di persone esposte a cataclismi climatici sempre più aspri e
violenti
“La
storia del genere umano diventa sempre più una gara fra
l’istruzione e la catastrofe”
Non sappiamo quanto la
catastrofe sia vicina, ma se possiamo contribuire ad allontanarla
anche solo un pochino, dobbiamo almeno provarci
Non serviva Greta
Thunberg per farci capire che stiamo distruggendo il nostro stesso
Pianeta
Non abbiamo sentimenti particolari nei confronti
di Greta Thunberg. Anzi, siamo molto interessati al
fenomeno, se non altro sta scuotento le coscienze di
milioni di giovani in tutto il mondo. Il cambiamento climatico è
un fatto piuttosto concreto e assodato. Già una quindicina di anni
fa diversi scienziati ed esperti molto qualificati andavano
dicendo che risulta chiaro che il pianeta ha qualche problemino.
Forse per salvarlo non servirà smettere di
mangiare carne, diventare vegetariani o vegani, viaggiare con le
barche a vela anzicché con gli aerei per spostarsi da un
continente all'altro, ma qualcosa va fatto. Vi sono
luoghi del mondo in cui già adesso si muore (o si emigra) a
causa del cambiamento climatico, della desertificazone, di
alluvioni sempre più frequenti.
L'attuale evento di
riscaldamento globale è il primo a interessare il mondo intero.
In
passato l'aumento o la diminuzione naturale delle temperature
furono di portata regionale e mai così violente e repentine
La rapidità e l'estensione del global warming
che conosciamo, cioè quello causato dalle attività antropiche
(dell'uomo) dall'indomani della Rivoluzione Industriale ad oggi,
non hanno precedenti negli ultimi due millenni di storia della
Terra.
A differenza dell'attuale periodo di
riscaldamento globale, che ha una portata mondiale, i passati
episodi di prolungato aumento o calo delle temperature avvennero
soltanto in alcune regioni di Terra, e mai in modo tanto repentino
come negli ultimi decenni. Sotto queste asserzioni crolla uno
degli argomenti preferiti dai negazionisti del clima: quello che
vuole che il global warming attuale non sia che una delle tante e
naturali oscillazioni climatiche del nostro pianeta.
Precedenti diversi
Nella storia climatica della Terra emergono
alcune fasi di anomalie di temperatura, come il "Periodo caldo
romano", tra il 250 e il 400 d.C., o la Piccola Era
Glaciale, che comportò in più parti del pianeta un ribasso delle
temperature a partire dal 1300.
A lungo si è pensato che questi eventi
avessero avuto una portata globale, e che analizzando gli anelli
di un albero o una carota di ghiaccio di qualunque parte del mondo
se ne sarebbe trovato riscontro. Ma non è proprio così.
Prove a confronto
Gli scienziati hanno studiato circa 700
reperti che conservano una memoria climatica raccolti in ogni
continente ed oceano, dagli anelli degli alberi ai coralli, ai
sedimenti dei laghi, e si sono accorti che nessuno dei passati
eventi di rialzo o calo delle temperatura ebbe una portata
globale.
Per esempio, la Piccola Era Glaciale colpì più
duramente il Pacifico nel XV secolo, e l'Europa nel XVII. Al
contrario, per il 98% della Terra (fatta eccezione per
l'Antartide), le più alte temperature degli ultimi due millenni si
sono registrate negli ultimi anni.
Dal magma all'uomo
Prima dell'Era industriale, le più importanti
fonti di variabilità climatica erano le eruzioni vulcaniche, e non
l'attività solare come spesso ipotizzato.
Tuttavia, la rapidità di innalzamento delle
temperature registrata negli ultimi due decenni o poco più,
sorpassa ogni possibile variabilità naturale delle temperature: è
un evento straordinario, nell'accezione più negativa del termine.
Il global warming attuale sappiamo ormai essere
causato dalle attività antropiche, ovvero alle attività umane. Un
fatto ormai accettato da più del 97% della comunità scientifica
mondiale.
Il
global warming senza precedenti negli ultimi duemila anni
Il
Bracconaggio in Africa
La lotta al bracconaggio in Africa fa registrare
«numeri che si avvicinano ai bollettini di una guerra».
Un affare così ghiotto che ci si è buttato anche il terrorismo
africano. A subirne le conseguenze, oltre ai ranger, sono le
casse dei Paesi africani, che vedono il turismo sempre più sotto
pressione.
Combattere il bracconaggio in Africa ha un
costo. Anche in termini di vite umane. Tanto che «ogni anno sono
centinaia le vittime fra bracconieri e ranger: numeri che si
avvicinano più ai bollettini di una guerra». Il giro di soldi
che gira intorno a questo crimine è altissimo e gli interessi in
ballo sono enormi.
«Sono
proprio le guerre, soprattutto quelle legate al terrorismo
islamico africano, che usano il bracconaggio come fonte di
reddito e di scambio»
E non è tutto: il business del bracconaggio
colpisce duro sul turismo locale, che rappresenta un’importante
voce del Pil di diversi paesi africani.
Le
Fake News
Bufale architettate ad arte o strafalcioni
giornalistici? Le fake news, o notizie false, si
propagano nel web in maniera sempre più esponenziale. Il
giornalismo tradizionale, in lotta contro la disinformazione che
più facilmente si diffonde in rete, mette in discussione la
buona fede di certi contenuti ed insinua il complotto. Si tratta
di post, articoli e tweet che dividono l’opinione pubblica su
tematiche delicate e che plasmano a proprio piacimento la mente
umana, per sua natura incline a credere a ciò che legge.
I social media e la condivisione compulsiva
fanno poi da catalizzatori e la mole di notizie in circolazione
non lascia spazio ad un’analisi più approfondita. Come risalire
a fonti attendibili in questa giungla digitale ricca di
contenuti ingannevoli e realtà distorte?
Il
"Land Grabbing"
Si parla di land grabbing (accaparramento
delle terre) quando una larga porzione di terra
considerata “inutilizzata” è venduta a terzi, aziende o governi
di altri paesi senza il consenso delle comunità che ci abitano o
che la utilizzano, spesso da anni, per coltivare e produrre il
loro cibo. Uno scandalo che esiste da molti anni, ma che dallo
scoppio della crisi finanziaria è cresciuto enormemente,
spingendo nella fame migliaia di contadini del Sud del mondo,
soprattutto nell'Africa Sub-Sahariana.
Dal 2008, cioè dallo scoppio della crisi
finanziaria, il fenomeno del land grabbing è cresciuto
del 1000%. La domanda per terreno vola: investitori cercano dove
coltivare cibo per l’esportazione, per i biodiesel, o
semplicemente per fare profitto. Non sempre l’acquisto di terre
è un problema: ma lo è quando avviene senza informazione.
Molto spesso, poi, questi terreni comprati
mandando via intere comunità, lasciandole senza terra e senza
futuro, sono lasciati inattivi. Le promesse di risarcimenti non
si avverano, le comunità rimangono a mani vuote mentre le grandi
aziende incassano. Terreni che prima davano cibo e rifugio a
molti sono recintati e rimangono inutilizzati. È uno scandalo. È
ora di smettere, è ora di coltivare giustizia, è ora di dire
basta all’accaparramento delle terre.
Il
Franco CFA
La moneta adottata da 14 Stati africani
accusata di fare gli interessi di Parigi e limitare lo sviluppo
delle ex colonie. Ma la realtà è più complessa.
La moneta, adottata oggi da 14 nazioni africani,
è da anni oggetto di polemiche a livello locale così come nella
stessa Francia. E ultimamente il dibattito è diventato
internazionale, dopo che alcuni esponenti politici italiani
hanno gettato benzina sul fuoco.
Ma qual è la realtà? Per comprenderlo, è bene
innanzitutto fare un grande passo indietro. Fino al 1945, quando
dopo gli accordi di
Bretton Woods si decise di creare un’unione monetaria. Le
14 nazioni che ne fanno oggi parte sono ripartite in seno
all’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (UEMOA) e alla Comunità economica e
monetaria dell’Africa centrale (CEMAC).
Alle quali si aggiungono le Comore. In tutto sono circa 155
milioni di persone ad usare il franco CFA.
Al momento della sua creazione, l’acronimo
significava “Franco delle colonie francesi d’Africa”.
Oggi invece si parla di “Franco della Comunità finanziaria
dell’UEMOA” e di “Franco della Cooperazione finanziaria
dei Paesi CEMAC”. La valuta è ancorata all’euro secondo
una parità fissa decisa dalla Francia. In cambio, i Paesi che
l’adottano sono obbligati a depositare il 50% delle loro riserve
valutarie presso il Tesoro di Parigi.
Il
Traffico di Armi
Il traffico illecito di armi uccide ogni anno in
Africa 45.000 persone e alimenta i conflitti regionali
nell’ovest del continente, secondo uno studio di Small Arms
Survey, che analizza il periodo tra il 2012 e il 2017. «In
Africa registriamo complessivamente 140.000 morti e omicidi
dovuti ai conflitti armati ogni anno, tra cui 45.000, che
equivale a un terzo, sono morti violente, causate
dall’utilizzo illecito di armi da fuoco».
«Le armi e munizioni che provengono dal
mercato nero oppure rubate in arsenali bellici non
sufficientemente controllati alimentano il flusso di armi
nell’Africa occidentale. I trafficanti si forniscono anche
grazie alla produzione artigianale di armi da fuoco leggere o
alla messa in circolazione di armi illegalmente detenute».
Queste armi attraversano le frontiere per soddisfare le esigenze
di gruppi estremisti molto violenti, tra cui Boko Haram, Al
Qaeda, Ansar Dine e al-Murabitun.
La crisi in Libia ha svolto un ruolo importante
nella destabilizzazione della regione del Sahel e «i movimenti
delle riserve di armi dalla Libia verso i paesi del Sahel hanno
contribuito al traffico illecito di armi». La crisi in Libia ha
creato un flusso di armi di ogni genere che ha costituito un
detonatore della crisi iniziata nel 2012 in Mali e la caduta del
regime libico è all’origine del movimento di flussi di armi
verso l’Africa occidentale.
La
Bossi-Fini e i recenti "Decreti Sicurezza"
La Bossi-Fini (Legge
30 luglio 2002, n. 189) è la legge che regola le
politiche dell'immigrazione in Italia. È una normativa che è
stata concepita per privilegiare la sicurezza (interna) a
discapito dell'accoglienza, del tutto inadeguata a fronteggiare
la massa migratoria di questi anni.
Tra il 2018 e il 2019 il primo governo Conte,
ministro dell'interno Matteo Salvini, ha varato due decreti,
decreto sicurezza uno e decreto sicurezza due, e che noi
consideriamo le prime "leggi razziali" del XXI secolo. Leggi
nate per fermare i flussi migratori e che in nome della
"sicurezza", discriminano i migranti già in Italia, impedendo
loro anche di seguire i già collaudati percorsi di integrazione.
La Bossi-Fini è la legge più restrittiva in
assoluto tra tutti i paesi europei sul tema dell'accoglienza,
per ben due volte condannata dall'Unione Europea per "violazione
dei diritti umani". La stessa Amnesty International ha
evidenziato questo fatto.
Una legge che non risolve il problema dei
rinnovi dei permessi di soggiorno legati al lavoro con il
rischio che intere famiglie, magari con figli nati in Italia,
rischiano seriamente di essere espulse (se il capo-famiglia non
può rinnovare il permesso di soggiorno magari solo perché ha
perso il lavoro).
Siamo
contro la politica che fomenta odio, discriminazione, diffonde
paure, crea il consenso attraverso fake news e le mezze-verità.
Dal “Cantico dei
Cantici” della Bibbia a “Il serpente che danza”
di Charles Baudelaire, ecco i dieci componimenti
dedicati alle donne più belli della letteratura.
Le dieci poesie più emozionanti
dedicate all’universo femminile. In occasione della Giornata
Mondiale contro la Violenza sulle Donne
Di donne hanno scritto in tanti, poeti, poetesse,
scrittori, in epoche diverse e con diverse connotazioni. Numerose
sono le poesie che hanno come tema centrale la donna, la sua forza
e fragilità, il rapporto con l’altro sesso e con il proprio mondo
interiore. In occasione della Giornata contro la violenza
sulle donne, abbiamo scelto i dieci (anzi undici)
componimenti a nostro parere più belli ed emozionanti.
Cantico
dei cantici (Bibbia)
Quanto sei bella,
amata mia, quanto sei bella!
Gli occhi tuoi sono colombe,
dietro il tuo velo.
Le tue chiome sono come un gregge di capre,
che scendono dal monte Gàlaad.
I tuoi denti come un gregge di pecore tosate,
che risalgono dal bagno;
tutte hanno gemelli,
nessuna di loro è senza figli.
Come nastro di porpora le tue labbra,
la tua bocca è piena di fascino;
come spicchio di melagrana è la tua tempia
dietro il tuo velo.
Tutta bella sei tu,
amata mia,
e in te non vi è difetto.
Io
voglio del ver la mia donna laudare (Guido Guinizzelli)
Io voglio del ver la
mia donna laudare
Ed assembrarli la rosa e lo giglio:
più che stella diana splende e pare,
e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio.
Verde river’ a lei
rasembro a l’are,
tutti color di fior’, giano e vermiglio,
oro ed azzurro e ricche gioi per dare:
medesmo Amor per lei rafina meglio.
Passa per via adorna,
e sì gentile
ch’abassa orgoglio a cui dona salute,
e fa ‘l de nostra fé se non la crede,
e no ‘lle po’
apressare om che sia vile;
ancor ve dirò c’ha maggior vertute:
null’om po’ mal pensar fin che la vede.
A
tutte le donne (Alda Merini)
Fragile, opulenta
donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l’emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d’amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d’amore.
Corpo
di donna (Pablo Neruda)
Corpo di donna,
bianche colline, cosce bianche,
assomigli al mondo nel tuo gesto di abbandono.
Il mio corpo di rude contadino ti scava
e fa scaturire il figlio dal fondo della terra.
Fui solo come un tunnel. Da me fuggivano gli uccelli
e in me irrompeva la notte con la sua potente invasione.
Per sopravvivere a me stesso ti forgiai come un’arma,
come freccia al mio arco, come pietra per la mia fionda.
Ma viene l’ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del seno! Ah gli occhi d’assenza!
Ah le rose del pube! Ah la tua voce lenta e triste!
Corpo della mia donna, resterò nella tua grazia.
Mia sete, mia ansia senza limite, mio cammino incerto!
Rivoli oscuri dove la sete eterna rimane,
e la fatica rimane, e il dolore infinito.
Alla
sua donna (Giacomo Leopardi)
Cara beltà che amore
Lunge m’inspiri o nascondendo il viso,
Fuor se nel sonno il core
Ombra diva mi scuoti,
O ne’ campi ove splenda
Più vago il giorno e di natura il riso;
Forse tu l’innocente
Secol beasti che dall’oro ha nome,
Or leve intra la gente
Onima voli? o te la sorte avara
Ch’a noi, t’asconde, agli avvenir prepara?
Donne
appassionate (Cesare Pavese)
Le ragazze al
crepuscolo scendendo in acqua,
quando il mare svanisce, disteso. Nel bosco
ogni foglia trasale, mentre emergono caute
sulla sabbia e si siedono a riva. La schiuma
fa i suoi giochi inquieti, lungo l’acqua remota.
Le ragazze han paura
delle alghe sepolte
sotto le onde, che afferrano le gambe e le spalle:
quant’è nudo, del corpo. Rimontano rapide a riva
e si chiamano a nome, guardandosi intorno.
Anche le ombre sul fondo del mare, nel buio,
sono enormi e si vedono muovere incerte,
come attratte dai corpi che passano. Il bosco
è un rifugio tranquillo, nel sole calante,
più che il greto, ma piace alle scure ragazze
star sedute all’aperto, nel lenzuolo raccolto.
Tanto
gentile e tanto onesta pare (Dante Alighieri)
Tanto gentile e tanto
onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi
laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a
chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ‘ntender no la può chi no la prova;
e par che de la sua
labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.
Madre
Teresa di Calcutta
Tieni sempre presente
che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi,
i giorni si trasformano in anni.
Però ciò che è
importante non cambia;
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito è la colla di qualsiasi tela di ragno.
Dietro ogni linea di
arrivo c’è una linea di partenza.
Dietro ogni successo c’è un’altra delusione.
Fino a quando sei
viva, sentiti viva.
Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo.
Non vivere di foto ingiallite…
insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni.
Non lasciare che si
arrugginisca il ferro che c’è in te.
Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto.
Quando a causa degli
anni non potrai correre, cammina veloce.
Quando non potrai camminare veloce, cammina.
Quando non potrai camminare, usa il bastone.
Però non trattenerti mai!
Sonetto
18 (William Shakespeare)
Dovrò paragonarti ad
un giorno estivo?
Tu sei più amabile e temperato:
cari bocci scossi da vento eversivo
e il nolo estivo presto è consumato.
L’occhio del cielo è
spesso troppo caldo
e la sua faccia sovente s’oscura,
e il Bello al Bello non è sempre saldo,
per caso o per corso della natura.
Ma la tua eterna
Estate mai svanirà,
né perderai la Bellezza ch’ora hai,
né la Morte di averti si vanterà
quando in questi versi
eterni crescerai.
Finché uomo respira o con occhio vedrà,
fin lì vive Poesia che vita a te dà.
Il
serpente che danza (Charles Baudelaire)
O quant’amo vedere,
cara indolente,
delle tue membra belle,
come tremula stella rilucente,
luccicare la pelle!
Sulla capigliatura tua profonda
dall’acri essenze asprine,
odorosa marea vagabonda
di onde turchine,
come un bastimento che si desta
al vento antelucano
l’anima mia al salpare s’appresta
per un cielo lontano.
I tuoi occhi in cui nulla si rivela
di dolce né d’amaro
son due freddi gioielli, una miscela
d’oro e di duro acciaro.
Quando cammini cadenzatamente
bella nell’espansione,
si direbbe, al vederti, che un serpente
danzi in cima a un bastone.
Danza
per me, nuda (Invocazione animista
della tradizione Igbo, Africa occidentale)
Negra è la mia
calda voce d’Africa,
terra d’enigmi e frutto di ragione.
Danza per me nuda,
per la gioia del mio sorriso.
Per la bellezza che offre allo sguardo
il tuo seno che nasconde segrete virtù.
Danza per
l’aurea leggenda di notti infinite,
per i tempi nuovi e i secolari ritmi della nostra Africa.
Infinito trionfo di sogni e di stelle,
amante docile alla stretta dei segreti ritmi.
Danza per la
vertigine del brivido dell'amore,
per la magia del Cuore che il mondo esprime.
Danza nuda
perché intorno a me bruciano i miti,
si incendiano i miei sensi, e solo se entrerai in me
il fuoco potrà spegnersi in grandi esplosioni di gioia
nel cielo dei tuoi pensieri.
Danza nuda,
fammi accarezzare i tuoi seni,
fammi abbracciare le tue nudità
deve arde la fiamma verticale dell'Amore.
Sei il viso
dell’iniziato,
che sacrifica la follia ai piedi dell’albero guardiano.
Idea del Tutto.
Sei voce dell’Antico all'assalto delle chimere.
Sei il Verbo che
esplode
in razzi miracolosi sulle rive dell’oblio.
Ciao
Silvia, è passato un anno da quando ti hanno rapita
Ciao
Silvia, è passato un anno da quando ti hanno rapita .. non
mi sono mai dimenticata, neppure un giorno, di te.
Ti penso spesso e a volte piango, penso
ai tuoi genitori, ai tuoi amici, a chi ti conosceva e ti voleva
bene, penso alla loro sofferenza. Noi non perderemo mai la
speranza di rivedere il tuo sorriso, chiedo anche a te di essere
forte, so che sei forte.
Oggi ricorre il primo anniversario del tuo
rapimento. I tuoi 24 anni, la tua laurea con una tesi sulla
tratta degli esseri umani, da dodici mesi sei nelle mani di un
gruppo armato, qui pensano che siamo gli Al-Shabaab somali. Quel
triste giorno ti trovavi in Kenya per conto della Onlus Africa
Milele per fare del bene ai bambini dell'Africa, con il tuo
entusiasmo, con la tua giovane età.
Chi ti abbia rapita e per quale ragione
ancora non si sa esattamente. Di te si sono perse le tracce,
probabilmente ti hanno portata in Somalia dove ti tengono
prigioniera.
C'è chi indaga su ciò che ti è accaduto,
ma nulla si sa, nulla vogliono farci sapere, trapelano pochissime
notizie su di te. In troppi, qui in Italia ti hanno dimenticata,
ma io no, di te non mi dimenticherò mai.
Lo sai Silvia, anche noi di Foundation
for Africa abbiamo qualcuno in Kenya e a cui vogliamo bene, che
lavora per la gente del posto, per farla vivere meglio, è anche
per questo che non ti dimenticheremo mai.
«Si sopravvive di ciò
che si riceve, ma si vive di ciò che si dona»
23 Novembre, Roma
ore 14:00 @Piazza della Repubblica
Non
una di meno
23-24 Novembre. Manifestazione a Roma contro la Violenza maschile
sulle Donne
23 Novembre,
Roma, ore 14:00 @Piazza della Repubblica.
Siamo le attiviste di Non Una di Meno,
il movimento transfemminista che combatte la violenza maschile,
razzista, economica ed ambientale.
Il 23 novembre inonderemo le strade di Roma
e vorremmo averti con noi.
Perché le tue performances, le tue immagini, la tua
musica e le tue parole raccontano di donne che vogliono
trasformare il mondo, di corpi desideranti che si ribellano alla
misoginia, al razzismo e al ricatto della povertà.
Perché ogni rivolta ha bisogno di corpi, suoni,
immagini e parole.
Ti invitiamo a unirti a noi, come puoi:
Vieni in corteo,
Usa i microfoni di "Non
Una di Meno",
Sostieni #NonUnadiMeno
sui social con un post,
Diffondi un’immagine del
pugno di fuoco o il pañuelo fucsia, simboli del movimento.
Da oggi al 23 novembre e all’infinito, respiriamo e
cospiriamo insieme "Contro la Violenza maschile sulle Donne".
Una
donna ormai anziana, reduce dei campi concentramento, costretta ad
avere la scorta a causa delle minacce dei "nuovi fascisti"
Mi chiedo che paese sia quello in cui una
donna, ormai anziana, reduce dei campi di concentramento nazisti,
ha bisogno della scorta perché ogni giorno minacciata dai fascisti
e dai razzisti.
Mi chiedo con quale faccia (di bronzo)
l'ex-ministro dell'interno Salvini dice di sentirsi vicino a
Liliana Segre, dopo che lui stesso ha provocato tutto questo clima
di odio e di intolleranza in Italia.
Mi chiedo come possano definirsi "non
razzisti" tutti quelli che restano indifferenti a
questa onda nauseabonda che puzza di razzismo e che ormai ha
invaso l'Italia.
Mi chiedo come si possa tollerare che una
donna italiana impedisca ad una bambina, anch'essa
italiana, di sedersi accanto a lei sull'autobus solo perché il
colore della pelle di quella bambina è nero. C'è chi vuole il
ritorno dell'apartheid.
Mi chiedo con che dignità umana ci si
possa ancora "vantare" di appoggiare una politica
rude e razzista, causa principale dell'odio che circola IMPUNITO,
nell'indifferenza di troppi, ogni giorno.
La faccia tosta di Salvini
Dopo l'assegnazione della scorta a Liliana Segre,
Salviniha cercato in tutti i modi di incontrare la
senatrice a vita. Ci pensate la faccia tosta ??
Colui che ha provocato con le sue dichiarazioni rozze e discriminatorie tutto questo clima fosco di odio, che è la causa principale della discriminazione tollerata, giustificata politicamente, forse per
lavarsi la coscienza, o più probabilmente per una
mossa di marketing mediatico, avrebbe voluto incontrare una reduce
dei campi di sterminio nazisti.
Certo, Salvini nell'immediato, ha rilasciato una
dichiarazione di circostanza per manifestare la sua solidarietà
alla Senatrice Segre, ma poi voleva anche incontrarla. Per
fortuna quell'incontro non è mai avvenuto, pensiamo che la
senatrice abbia, giustamente, declinato l'invito. Sarebbe
davvero stato inopportuno.
“No,
qui non ti siedi”. Alessandria, razzismo su un autobus verso
una ragazzina di colore
"Alabama 1955? No,
Alessandria 2019"
Sale una mamma africana con due bambini.
Una dei due, 7 anni, vede un posto a sedere libero accanto a una
signora, occupato solo da una borsa della spesa. Prova a sedersi.
La risposta è agghiacciante: “No, qui non
ti siedi!” Ha 60 anni, e ha appena detto a una bambina
di 7 che non c’è posto per lei, di stare alla larga, nel silenzio
assordante dell’intero autobus, compresa la mamma della bambina,
che guarda a terra, troppo annichilita per alzare lo sguardo,
troppo inerme per reagire.
Quasi tutto il bus. Perché a bordo c’è
anche Vittoria Oneto, una consigliera comunale del Pd che ha
assistito a tutta la scena. E non si è voltata dall’altra parte. “Sposti
la borsa, la faccia sedere” intima alla donna. “Si faccia
gli affari suoi” è la risposta, sempre la stessa.
Come se non fossero “affari suoi”,
come se quella cosa non ci riguardasse. Ma Vittoria è la
persona sbagliata. Vittoria è una donna, un essere umano
dove non ti aspetti più di trovarlo. Vittoria insiste, le grida “Vergogna”
con tutto il fiato che ha in corpo, le fa spostare la borsa, fa
sedere la bambina nel posto che le spetta, di fronte agli sguardi
schifati della donna e nel silenzio generale.
Vittoria scende
dall’autobus e non regge. Scoppia a piangere
“Per il nervoso, per la tristezza per il
senso di sconfitta che ho provato e provo. Come se questi giorni
non fossero già dolorosi. È questo quello che siamo?È
questo quello che vogliamo essere?Io non voglio
crederci”
E invece accade ogni giorno, su autobus,
treni, stazioni, bar, ovunque. Sempre più spesso. Ma,
finché ci saranno nei paraggi donne come Vittoria che non si
rassegnano all’orrore, che reagiscono, che non restano al loro
posto, che non si fanno “gli affari propri”, finché non ci
volteremo dall’altra parte di fronte ai razzisti, vinceremo noi. Grazie Vittoria.
“Nella
mia borgata vige ordine e disciplina. Devi fare quello che dico
io”
Accade nello studio di Del Debbio (Rete
4, Mediaset). Portano un fascista dichiarato,
che così esordisce: “Nella mia borgata vige ordine e
disciplina. Devi fare quello che dico io”. E quando una
donna, Francesca, esterrefatta gli chiede: “Scusa ma in che
film?”, il gentiluomo l’ha guardata dritta in faccia e le ha
detto: “Te li faccio vedere io i film, se vieni nella mia
borgata ..”
Ha iniziato ad intimidirla, in
perfetta prassi fascista. È allora intervenuto Vauro,
presente in studio, che l’ha affrontato di petto e gli ha gridato:
“Fammelo vedere a me! Fascista di me…a, vergognati, hai
minacciato una donna”. E sapete cosa? Del Debbio, il
padrone di casa, non è intervenuto in difesa della donna.
Né, tanto meno, di Vauro.
Ha minacciato di cacciare tutti dallo studio.
Ma si è guardato bene da prendere, con decisione, le difese della
donna aggredita, fronteggiando quell'uomo. Ha trattato tutti alla
pari: come se intimidire una donna fosse un litigio tra scolari in
una classe. Come se le parole e le intimidazioni di quella persona
fossero normali.
Perché da ognuno di
questi episodi loro escono più sicuri di sé. Rafforzati.
Legittimati.
Finché continueremo a trattare con normalità
le parole e le azioni dei fascisti, la situazione, nel Paese,
non potrà che peggiorare. Perché da ognuno di questi episodi
loro escono più sicuri di sé. Rafforzati. Legittimati. E questo
no, non possiamo più consentirlo. E a capirlo dovrebbero essere
soprattutto le persone come Del Debbio.
Il nuovo fascismo
cresce nelle periferie
Il
giornalista Paolo Del Debbio, travolto dalle polemiche, cerca di
difendersi
"A
me sul fascismo non mi dovete rompere il cazzo"
A "Dritto e Rovescio" il giornalista
risponde alle polemiche per la presenza in studio di Massimiliano
Minnocci, un noto esponente dell'estrema destra. "Sono
figlio di un deportato"
"Mi preme rispondere a chi dice che io
sdoganerei il fascismo. Io sono figlio di un deportato, mio
padre è stato deportato nel campo di Buchenwald, 30 chilometri
sotto Berlino. So qual è la parte sbagliata e quella giusta. A
me sul fascismo, cari giovanotti e giovanotte, Pd o non Pd, non
mi dovete rompere il cazzo. Io so esattamente quello che è
giusto e quello che è ingiusto a proposito di questo". Paolo
Del Debbio a Dritto e Rovescio risponde così alle
critiche per aver ospitato in studio Massimiliano Minnocci,
esponente di estrema destra, in una puntata precedente.
In quell'occasione Minnocci, detto
Brasile, aveva attaccato pesantemente, fino alle minacce, la
giornalista Francesca
Fagnani (attuale compagna di Enrico Mentana) presente
in studio. Il vignettista Vauro
si era alzato a difesa della Fagnani e i due erano
arrivati al faccia a faccia. In quell'occasone Del Debbio,
padrone di casa, lasciò che l'esponente di estrema destra
minacciasse la giornalista ed intervenne con colpevole ritardo e
per questo, in seguito, criticato da molti.
A
voi che non è xenofobia perché è ironia da stadio e goliardia
A voi che non è
fascismo se non c'è il fez, la camicia nera, il braccio alzato e
il fascio littorio
A voi che non è
xenofobia perché è ironia da stadio e goliardia
A voi che non è
razzismo ma è "un fenomeno" che vale meno di un operaio
A voi che "nero
di merda" non è odio ma è libertà di parola
A voi che il
rispetto dell'altro è "bavaglio"
A voi che non è
dolo ma un cortocircuito dell'impianto
A voi che non
sono naufraghi e disperati, ma invasori
A voi che non è
ignoranza ma genuinità del popolo
A voi che non è
manipolazione delle masse ma è bravura a usare i social
A voi che non è
incitazione all'odio ma comunicazione politica e propaganda
legittima
A voi che non è
umanità ma buonismo
A voi che non è
terrorismo psicologico contro "l'altro" ma è selezione dei
fatti di cronaca
A voi che non è
nazionalismo ma patriottismo
A voi che i
problemi dell'Italia è colpa loro
A voi che continuate a fingere di non aver
capito, ma invece avete capito benissimo. Ma
fingete, perché vi fa comodo così. Perché tanto non tocca voi. Ma
a voi diciamo una cosa. Non ve lo consentiremo.
L'Italia, la sua bandiera, la nostra
Patria, altro non sono che la nostra Costituzione. E la nostra
Costituzione, scritta e intinta nel sangue di chi ha già dato la
vita per voi, traditori della Patria, è democratica, repubblicana,
parlamentare e antifascista.
E antifascista non significa che ripudia solo
qualsiasi partito o movimento di imbecilli repressi che decida di
chiamarsi Fascista. È antifascista perché ripudia la guerra,
ripudia la violenza, ripudia il razzismo, ripudia il culto del
capo, dell'ignoranza, della forza, della disuguaglianza e di
quell'insieme di idee criminali e criminogene che ieri chiamavate
"fascismo" e oggi mascherate sotto altri nomi.
Da oggi a causa vostra, anche della
vostra silenziosa complicità, Liliana Segre vivrà sotto
scorta. Un giorno dopo l'ennesimo rogo dei libri. E
l'ennesimo "nero di merda". Da oggi in Italia
un'ebrea deportata 80 anni fa e sopravvissuta ad Auschwitz ha
perso di nuovo, di nuovo, la sua libertà. Quando meno lo credeva
possibile. Quando credeva d'aver chiuso i conti col passato.
Perché qualcuno vi ha lasciato intendere che
oggi potete di nuovo farvi sentire. Che oggi il razzismo
non è più un crimine, e non sarà mai una priorità perché "vengono
prima altri problemi". Che oggi l'odio sistematico e
organizzato è libertà di espressione.
Ma non ve lo
consentiremo
Sappiate che i vostri "valori" sono
contrari ai valori del Paese in cui avete il privilegio di vivere,
sono contrari ai valori della nostra Costituzione, della
Resistenza, della nostra Patria, dell'Italia. Ne sono il
tradimento.
Da oggi tutti siamo chiamati a prendere
posizione. O di qua o di là. Non c'è più una zona grigia
sulla quale si possa giocare e far finta che sia normale
dialettica politica tra partiti che si confrontano nello stesso
alveo costituzionale.
Qui ci sono partiti costituzionali e partiti
anti-costituzionali. L’Italia è sotto l’attacco di un esercito di
traditori che vogliono distruggerla e sostituirla con altro. Oggi
o si è con l'Italia e la Costituzione e i suoi valori, o si è
contro l'Italia e i suoi valori scritti nella Costituzione.
In mezzo non si può
più. In mezzo si è solo complici
Domenica
a Verona, durante la partita Verona-Brescia, si è consumato
l'ennesimo atto di "razzismo" contro un giocatore di
colore.
Mi ha fatto davvero "schifo" la
società del Verona che, per bocca dell'allenatore prima, e
poi nelle dichiarazioni del presidente, hanno minimizzato
l'episodio relegandolo a semplici "sfottò" della curva.
Come se non bastasse questa mattina il
capo-ultrà dei veronesi rilascia un'intervista dicendo che Balotelli
NON è italiano perché nessun "negro" può mai essere
italiano, nemmeno io quindi.
Nemmeno le ragazze di colore dell'atletica
italiana che hanno contribuito alle medaglie "italiane"
agli ultimi mondiali.
Nemmeno le ragazze della pallavolo femminile
che hanno fatto arrivare l'Italia ai vertici mondiali ed europei.
Nemmeno i tanti altri calciatori neri (non
c'è solo Balotelli) della serie A e della serie B italiana,
per non parlare dei tantissimi che militano nelle squadre minori.
Nemmeno il quasi milione di bambini di colore
nati e cresciuti in Italia, che studiano e vanno a scuola,
che fanno sport in Italia.
E poi mi vengono a dire (proprio a me)
che in Italia il razzismo non è esiste. Eccome se esiste,
adesso è perfino "spavaldo e arrogante" spalleggiato da
una certa politica becera e rude, come dimostra quell'ultrà
veronese che il giorno dopo ha fatto dichiarazioni aberranti e
"razziste" affermando che i neri non potranno mai essere italiani fino in fondo. Uno così dovrebbe essere nelle "patrie galere"
e non libero di "vomitare sterco"
La prova che l'Italia scivola sempre di più
verso il razzismo è anche il fatto che le destre compatte si
sono astenute in Parlamento sulla Commissione Segre contro il
Razzismo, ma è soprattutto il fatto che sempre di più la società
italiana "tollera" certi episodi minimizzandoli.
Se va avanti così temo che il prossimo "Mussolini"
NON è lontano. La Storia a qualcuno NON insegna nulla.
Spero e mi auspico che la gente perbene si
svegli, non resti indifferente, ed inizi a ribellarsi a questa
deriva. E mi auguro che il "Verona Calcio" abbia dalla
federazione una SEVERA ed esemplare punizione (che alla fine è
risultata essere la semplice chiusure della curva per una sola
giornata, che tristezza). NON è più possibile
MINIMIZZARE.
E poi si viene a sapere perfino che alcuni
consiglieri comnali di destra veronesi sono intenzionati a
denunciare Balotelli per aver "offeso" la città di Verona. Tristezza
infinita.
Per fortuna la società del Verona Calcio
(almeno quella) si è riscatta, impedirà al capo-ultrà
razzista di entrare allo stadio per dieci anni.
"Non sono razzista,
ma .. C'è un'Italia che sta facendo l'abitudine al Razzismo"
(mio articolo, giugno 2019)
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