Rapporto OIM, in aumento il numero di ragazze potenzialmente vittime di tratta

Non solo dalla Nigeria, ora stanno arrivando anche dalla Costa d'Avorio. Nuovo rapporto OIM. “Spesso già sfruttate in Tunisia e Libia, sono a rischio di re-trafficking in Italia”. Gli arrivi di donne ivoriane è aumentato in modo esponenziale, passando dall'8% al 46%.

Rapporto OIM, in aumento il numero di ragazze potenzialmente vittime di tratta

In occasione delle celebrazioni per la Giornata Europea contro la Tratta, una delle forme di schiavitù moderna più diffusa del ventunesimo secolo, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) pubblica un rapporto su un nuovo fenomeno di sfruttamento recentemente emerso a seguito dell’analisi dei flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo Centrale.

Aumento esponenziale delle donne ivoriane in arrivo con i "barconi"

Un aumento di donne in arrivo dalla Costa d'Avorio passato nell'ultimo anno dall'8 al 46%. Tutte a grave rischio sfruttamento. Nel corso dell’ultimo anno l’OIM, presente nei principali punti di sbarco italiani con diversi team anti-tratta, ha rilevato un aumento della presenza di ragazze provenienti dalla Costa d’Avorio. “Abbiamo ragione di credere che molte di queste ragazze siano purtroppo vittime di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo e a volte anche sessuale”, spiega Laurence Hart, direttore dell’Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo dell’OIM. I numeri relativi agli arrivi via mare dei migranti provenienti dalla Costa d’Avorio rivelano come, a una riduzione del numero complessivo dei migranti di nazionalità ivoriana in ingresso in Italia negli ultimi anni, corrisponda il progressivo aumento della percentuale di donne coinvolte, dall’8% sul totale dei migranti di questa nazionalità sbarcati nel 2015 al 46% del 2019.

C'è chi paga il viaggio, ma poi si rivale sfruttando

Nella maggioranza di casi il Paese di partenza è la Tunisia, e, dai colloqui che abbiamo avuto con queste giovani ragazze, pare evidente che ci troviamo di fronte a quello che può essere definito un fenomeno di re-trafficking

Sottoposte a "servitù domestica" in Libia o in Tunisia, maltrattate e private della libertà personale, abusate dai loro "padroni", vengono vendute ai trafficanti per essere portate in Italia e sfruttate di nuovo. Il fenomeno del re-trafficking di ragazze della Costa d'Avorio è paurosamente aumentato

Molte, reclutate nel loro paese per lavorare come domestiche o cameriere, diventano invece vittime di servitù domestica una volta arrivate in Tunisia o in Libia, dove sono sottoposte a maltrattamenti, violenze e privazione della libertà personale, nonché costrette a subire abusi sessuali da parte dei loro sfruttatori. A questa fase ne segue un’altra, che prevede un ulteriore sfruttamento in Europa organizzato da persone che si dicono disposte a farsi carico dell’organizzazione e dei costi della traversata nel Mediterraneo, ma che poi hanno intenzione di sfruttare le vittime una volta giunte in Italia o in altri paesi dell’Unione Europea

La liberazione dagli aguzzini

Dopo lo sbarco in Italia alcune di queste vittime, consapevoli di poter incorrere in una rinnovata condizione di sfruttamento, hanno deciso di chiedere aiuto all’OIM per potersi finalmente liberare dai loro aguzzini. “La scoperta di questo circuito di sfruttamento dimostra ancora una volta come dietro ai numeri degli sbarchi ci siano storie molto drammatiche, di cui spesso si sa troppo poco. Non possiamo fare a meno di pensare alle ragazze ivoriane morte lo scorso 7 ottobre nel corso del naufragio avvenuto al largo di Lampedusa, una tragedia che ci riporta alla memoria l’altro drammatico incidente che nel 2017 causò la morte di 26 ragazze nigeriane, anche loro probabili vittime di tratta

In aumento il numero di prostitute-schiave in Italia

La lunga lotta anti-tratta

Occorre fare di più per proteggere questi gruppi di ragazze vulnerabili, che non solo subiscono una lunga serie di abusi e violazioni di diritti umani, ma poi si trovano costrette a rischiare di morire in mare

Come OIM ribadiamo la nostra volontà a continuare a impegnarci nella lotta alla tratta di esseri umani, promuovendo attività di identificazione e di protezione delle vittime rafforzando l’esistente stretta collaborazione con Procure, Forze dell’Ordine, Ministeri e organizzazioni che lavorano sul territorio

Dossier Save the Children sulle vittime di tratta. 1400 adolescenti schiave prostitute

I trafficanti le portano dalla Nigeria e dall'Est Europa. E le tengono sempre più nascoste, per sfuggire ai controlli. Il rapporto "Piccoli Schiavi" dà voce alle associazioni, preoccupate per le conseguenze del decreto Sicurezza.

Dossier Save the Children sulle vittime di tratta. 1400 adolescenti schiave prostitute

Adesso le nascondono. Le tengono segregate in appartamenti, o le portano lungo strade sempre più periferiche, isolate. E ovviamente le picchiano per non parlare, a Palermo come a Torino e in Germania. Sono le vittime della tratta sessuale, schiave giovanissime, neo maggiorenni o ancora bambine, costrette a vendersi da una rete di trafficanti che prima le obbligano a partire e poi a prostituirsi.

Il dramma della tratta delle schiave dalla Nigeria e dall'Est Europa, all'Italia e all'Europa è al centro del nuovo rapporto sui “Piccoli schiavi invisibili” di Save The Children. La Onlus, con il progetto “Vie d'uscita”, ha permesso l'anno scorso a 31 vittime di trovare un futuro, di uscire allo sfruttamento. Gli operatori in sole cinque regioni hanno incontrato oltre mille adolescenti sfruttate sessualmente. Mille e quattrocento schiave, obbligate a vendersi al costo di ferite fisiche e psicologiche talmente buie da cancellare le parole stesse per spiegarsi.

Le nuove forme di controllo e sfruttamento

L'ultima relazione semestrale della Direzione investigativa Antimafia ha dedicato ampio spazio al tema della tratta. A dicembre del 2018 la polizia ha arrestato otto nigeriani della confraternita “Eiye” a Torino, accusati di associazione di tipo mafioso, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione.

A marzo era stata la volta di Palermo, ad aprile di Cuneo; a maggio grazie alla denuncia di una minorenne, costretta a prostituirsi insieme a un'amica a Giugliano, è stata fermata una rete di sfruttamento a Napoli. Il mese scorso un'altra operazione, fra Palermo, Napoli, Dervio, in provincia di Lecco, e Bergamo ha fermato quattro uomini. Sono nigeriani, liberiani e italiani, tra cui un 78enne che faceva da vedetta e accompagnava le ragazze nelle zone di prostituzione.

Il controllo dei trafficanti infatti è totale. E così il loro tentativo di non perdere la “merce”, le ragazze. Daniela Moretti del Servizio anti-tratta “Roxanne” del Comune di Roma, spiega nel rapporto di Save the Children come i trafficanti cerchino infatti di occultare sempre più la presenza delle minorenni sul territori. Ricorrendo alla prostituzione in appartamento ad esempio piuttosto che in strada, dove è più facile vengano individuate dagli operatori. Questo rende sempre più difficile la possibilità di entrare in contatto con loro e di offrire percorsi di protezione.

«In Piemonte, e nello specifico nell’astigiano, è stato segnalato da Alberto Mossino di PIAM un aumento delle connection houses, ovvero case chiuse, ma aperte solo per uomini africani, in cui le ragazze possono affittare un posto letto il cui pagamento sarebbe garantito con i proventi derivanti dalla prostituzione», spiega il dossier sui “Piccoli Schiavi”: «Anche Andrea Morniroli di Dedalus ha riconosciuto come nella città di Napoli e provincia l’indoor rappresenti una modalità di sfruttamento assai diffusa e si stiano progressivamente sviluppando diverse connection houses». Morniroli ha raccontato come cercano comunque di entrare in contatto con le ragazze per offrire aiuto: «In questi casi si procede via telefono. Inizialmente ci si finge clienti al fine di capire il tipo di prestazioni offerte e quale sia il livello di autonomia. Molto spesso, componendo lo stesso numero non si riesce a parlare con la stessa persona e scopri che tre persone hanno 15 numeri diversi, così inizi a pensare ci sia un’organizzazione alle spalle»

È difficile, ma tentano lo stesso, continuamente, a spiegare alle ragazze le possibilità che offre loro il paese per salvarsi. Possibilità che esistono, sono radicate. Ma hanno bisogno di fondi, risposte legali, e standard di intervento sui documenti da parte delle questure. Proprio sul punto dei permessi si aprono oggi nuovi rischi, a causa del decreto Sicurezza voluto dal ministro dell'Interno Matteo Salvini.

Le conseguenze del decreto sicurezza

Lo stesso governo, il Conte uno, che ha aumentato i fondi per le iniziative anti-tratta (24 milioni di euro dal 2019 al 2021) ha voluto infatti un decreto che indebolisce gli strumenti con cui gli operatori possono aiutare le vittime. Con il Decreto sicurezza, spiega il rapporto di Save the Children, è stata abolita la protezione per motivi umanitari, ovvero il modello di permesso più utilizzato per le ragazze sfruttate. Che ora si troveranno in condizioni di non poterlo rinnovare. A meno di non riuscire a ottenere un nuovo visto di soggiorno per “casi speciali”, fra cui la violenza domestica e il grave sfruttamento.

Per le vittime di tratta esisterebbe da tempo un altro strumento, la protezione sociale “ex art.18”, ma il modo con cui viene accordata varia a seconda della Questura di appartenenza. Spesso viene infatti chiesto che la vittima, per ottenere il documento, denunci dettagliatamente le persone che l'hanno costretta a prostituirsi. Una denuncia che le espone, di fatto, a una vendetta dei trafficanti. Di cui hanno paura, per sé o per la propria famiglia. Da tempo le associazioni chiedono che vengano stabilite linee guida perché alle ragazze che si ribellano e iniziano un percorso di reinserimento sia riconosciuto un permesso, a prescindere dalla denuncia.

Ci sono poi altre due conseguenze del decreto Sicurezza. Con la chiusura dell'accesso nelle piccole strutture comunali della rete Sprar per la prima accoglienza, le ragazze si ritrovano oggi nei centri straordinari. Dove è maggiore il numero di persone e spesso inferiore la preparazione dei gestori. Così è difficile che i responsabili si accorgono dei segnali di disagio di una vittima o di una potenziale sfruttata. Lasciandola in balia dei trafficanti, anche all'interno stesso del centro. Infine, secondo il decreto Salvini chi ha un permesso di protezione internazionale non può iscriversi all'anagrafe.

«E benché l’accesso ai servizi, come l’iscrizione sanitaria, ai sensi del Decreto, sia assicurato nel luogo del domicilio, la residenza rappresenta di fatto la chiave per l’esercizio effettivo di alcuni diritti fondamentali riconosciuti dalla nostra Costituzione. Inoltre alcune ASL continuano a richiedere la residenza, ostacolando l’accesso al servizio sanitario. Che rappresenta uno degli strumenti essenziali per garantire assistenza alle vittime di sfruttamento sessuale»

Non chiamateli clienti

Trovare ogni mezzo per abolire questo business orrendo deve invece restare una priorità. Legale. Ma anche culturale. «Non si può ignorare il fatto che il fiorente mercato dello sfruttamento sessuale delle minorenni è legato alla presenza di una forte “domanda” da parte di quelli che ci rifiutiamo di definire “clienti”, i quali sono parte attiva del processo di sfruttamento. È necessario rafforzare l’azione di contrasto e, allo stesso tempo, promuovere iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica e in particolare i più giovani sui danni gravissimi che questo mercato provoca sulle ragazze che ne sono vittima»

Non chiamateli clienti. Sono solo "aguzzini" di passaggio che approfittano della sofferenza di ragazzine minorenni. Chiamateli piuttosto "stupratori a pagamento"

Minorenni come Happy. Una ragazza a cui la violenza ha tolto anche le parole: non riesce a raccontare tutta la sua storia. Interi pezzi della sua vita restano neri, silenzio.

Cresciuta in una famiglia numerosa di Benin City, in Nigeria, la sua storia ricalca quella di molte, troppe, sue coetanee, convinte come lei a partire con una promessa. Nel suo caso l'impiego in un bar. Affronta la rotta lungo il deserto, in Libia iniziano gli abusi. Quindi il gommone, il salvataggio nel canale di Sicilia, la trappola della rete di contatti che le forniscono tutto, biglietti, documenti, indirizzi, fino all'incontro con la donna che la porta al lavoro. In Germania. È lì che Happy viene costretta a prostituirsi da un'aguzzina che le requisisce tutto, compreso il telefono per parlare con la famiglia. In compenso la porta dal parrucchiere, la istruisce su cosa dire alla polizia per il permesso, l'accompagna in strada, controlla e prende i soldi alla fine dei rapporti.

«Una mattina sono tornata dal lavoro in strada all’alba ed ero sfinita, mi sono messa a letto ma Zainab (la mamam) mi ha svegliata e mi ha costretto con violenza ad avere rapporti con un cliente. Dopo quella volta ho detto che volevo parlare con i miei genitori, che non sopportavo più quella vita, e mi stavo preparando i bagagli per chiedere aiuto a quelli dell’accoglienza, ma lei ha fatto entrare in casa due uomini nigeriani, che hanno cominciato a spintonarmi e a insultarmi. Ho cercato di scappare ma mi hanno presa a calci; mi sono accorta che uno dei due aveva in mano una pentola con acqua bollente, a quel punto mi sono buttata dalla finestra. Mi sono fatta molto male, qualcuno del vicinato mi ha soccorsa ma in ospedale non potevano operarmi perché ero senza documenti. Io per paura non ho raccontato nulla; poi è arrivata la Polizia e mi ha portato in cella. Mi hanno preso le impronte. Avevo molto male perché non mi curavano abbastanza. Dopo due settimane mi hanno accompagnata in aeroporto per rimandarmi in Italia»

È in Italia che ha incontrato i ragazzi di Vie d'Uscita ed è riuscita a cambiare il suo presente. È entrata in una comunità protetta, quindi in un programma di formazione. Grazie ai corsi, ha iniziato a lavorare come stagionale in un hotel.

Nigeria. Migliaia di minori imprigionati arbitrariamente con l’accusa di essere complici di Boko Haram

Migliaia di bambini e bambine sono stati incarcerati in modo arbitrario, anche per anni, in condizioni disumane, picchiati e umiliati dall’esercito federale nigeriano nella decennale lotta al movimento terrorista nel nordest. A denunciarlo è un rapporto di Human Rights Watch contestato dai vertici militari.

Nigeria. Migliaia di minori imprigionati arbitrariamente con l'accusa di essere complici di Boko Haram

L’esercito nigeriano avrebbe arbitrariamente arrestato migliaia di bambini per sospetto coinvolgimento con il gruppo islamista Boko Haram. La sconcertante notizia è diventata un rapporto di cinquanta pagine pubblicato da Human Rights Watch (HRW) e intitolato “They didn’t know if i was alive or death” (Loro non sapevano se io fossi vivo o morto), dove è spiegato che tutti questi minori per mesi, e in alcuni casi per anni, sono rimasti detenuti senza specifiche accuse.

Più di 3.600 bambini, tra cui 1.617 ragazzine, sono stati arrestati dalle forze armate nigeriane tra il 2013 e il 2019, secondo i dati raccolti dalle Nazioni Unite. A riguardo, HRW afferma che le autorità nigeriane non hanno consentito l’accesso ai siti di detenzione per verificare queste cifre e di conseguenza non si conosce l’esatto numero dei bambini e delle bambine attualmente detenuti.

Alcuni avevano appena cinque anni

Il dettagliato report rileva che alcuni dei bimbi detenuti avevano appena cinque anni. Altri hanno raccontato di essere stati stipati in centinaia in celle roventi e affollate con un unico bagno nella famigerata caserma di Giwa, nella città nord-orientale di Maiduguri. Prima di arrivare lì, diversi minori hanno raccontato di essere stati oggetto di pestaggi per mano delle forze di sicurezza.

Ibrahim, 10 anni, ha riferito che quando aveva 4 anni, dopo un attacco di Boko Haram è fuggito insieme alla sua famiglia dal loro villaggio ed è stato arrestato dai militari. Dopo la cattura è stato accusato insieme ai suoi familiari di far parte del gruppo jihadista ed è stato ripetutamente percosso con una corda di pelle. Saeed, 17 anni, inizialmente detenuto nella città di Banki, ha dichiarato di essere stato appeso a un albero, dove è stato bastonato e frustrato da alcuni membri della Task force civile congiunta (Cjtf), una milizia di autodifesa formatasi nello stato di Borno con l’appoggio delle forze di sicurezza federali.

Accuse respinte dall'esercito

Le accuse sono state respinte al mittente dall’esercito: «I militari hanno arrestato solo i bambini che tentavano di compiere attentati e che hanno fornito un tacito sostegno agli insorti, comprese informazioni sui movimenti delle truppe. Ciononostante, i bambini sono stati trattati come vittime di guerra e non come sospetti terroristi»

Quest'ultimo rapporto si inserisce in un più ampio contesto di accuse all'esercito nigeriano

Il rapporto di Human Rights Watch (HRV) si inserisce in un modello più ampio di presunti abusi da parte delle forze di sicurezza del paese africano che combattono il gruppo estremista Boko Haram da più di un decennio.

Nel giugno 2015, con un report, Amnesty International ha denunciato la morte di almeno 7.000 persone che erano detenute presso strutture militari nel nord-est della Nigeria. Nel maggio del 2018, un’indagine della stessa organizzazione ha rivelato che migliaia di donne e ragazze liberate dai jihadisti sono state sistematicamente oggetto di abusi sessuali da parte dei militari, in cambio di cibo e assistenza. Più recentemente, migliaia di civili in fuga da Boko Haram sono stati trasferiti in aree non sicure dal governo, che in vista delle elezioni presidenziali del 2020 vuole dare l’impressione di aver restituito sicurezza al nord-est della paese.

"Ci hanno tradite"

Le donne scampate a Boko Haram stuprate dai loro soccorritori

Report Amnesty International

Migliaia di donne e ragazze sopravvissute alla brutalità del gruppo armato Boko Haram sono state successivamente stuprate dai soldati che sostengono di averle liberate.

Sono le principali evidenze emerse grazie al lavoro di ricerca sul campo e rese pubbliche nel report di Amnesty International “Ci hanno tradite“.

Il lavoro di ricerca è il risultato di un’ampia indagine, realizzata attraverso oltre 250 interviste e riguardante “campi satellite” istituiti dalle forze armate nigeriane in sette città dello stato di Borno. Comprende interviste a 48 donne e ragazze rilasciate e l’analisi di video, fotografie e immagini satellitari.

L’esercito nigeriano e la milizia alleata, chiamata Task force civile congiunta (Cjtf), hanno separato le donne dai loro mariti confinandole in “campi satellite”. Lì le hanno stuprate, a volte in cambio di cibo.

È stato documentato che dal 2015 migliaia di persone sono state ridotte alla fame nei campi dello Stato di Borno, nel nordest della Nigeria. Migliaia di donne costrette a fare sesso con i militari in cambio di cibo per se e per la famiglia, quelle che si sono rifiutate ridotte alla fame.

Suona completamente scioccante che persone che hanno già tanto sofferto nelle mani di Boko Haram siano condannate a subire ulteriori tremendi abusi da pare dell’esercito. Invece di essere protette, donne e ragazze sono costrette a sottostare agli stupri per evitare la fame

"They Betrayed us"

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RD Congo, non solo ebola. Strage di bambini per la più grande epidemia di morbillo al mondo

I decessi causati dalla più grande epidemia al mondo di morbillo, nella Repubblica Democratica del Congo, raggiungono le 4.000 unità. Da gennaio sono stati riportati 203.179 casi di morbillo in tutte le 26 province del paese, e per la precisione 4.096 sono morti, il 90% erano bambini. Sono i dati allarmanti forniti dall'Unicef, che sta proseguendo il programma di vaccinazione.

Proprio i più piccoli, sotto i 5 anni, rappresentano il 74% dei contagi e circa il 90% dei morti. Il numero di casi di morbillo in Repubblica Democratica del Congo quest'anno è più che triplicato rispetto a tutto il 2018. L'epidemia di morbillo ha causato più morti dell'Ebola, che, ad oggi, ha ucciso 2.143 persone. "Stiamo combattendo l'epidemia di morbillo su due fronti: prevenendo i contagi e prevenendo le morti", ha dichiarato Edouard Beigbeder, Rappresentante Unicef in Repubblica Democratica del Congo.

Oltre 4000 morti. È il terribile bilancio, denunciato dall'Unicef, causato dal morbillo nella Repubblica Democratica del Congo.

La più grande epidemia al mondo

L'organizzazione umanitaria dell'ONU parla di "più grande epidemia al mondo di morbillo". 4000 morti, dei quali il 90% è rappresentato da bambini sotto i 5 anni. Oltre 200mila le persone colpite dal virus. L'Unicef comunica di essere impegnata in una sorta di lotta contro il tempo vaccinando altre migliaia di bambini e distribuendo farmaci salvavita nei centri sanitari.

Lotta su due fronti

Da gennaio sono stati riportati 203.179 casi di morbillo in tutte le 26 province del Paese centroafricano, 4096 le vittime.

"Stiamo combattendo l'epidemia di morbillo su due fronti", ha dichiarato Edouard Beigbeder, rappresentante Unicef, "vaccinazioni dei bambini e fornitura alle cliniche di medicine che possano trattare i sintomi e migliorare le probabilità di sopravvivenza per tutti quelli già colpiti dalla malattia". Nei prossimi giorni saranno distribuiti oltre mille kit medici. I kit contengono antibiotici, sali per la disidratazione, Vitamina A, antidolorifici, antipiretici e altri aiuti per colpire questa malattia altamente contagiosa e potenzialmente letale.

Peggio dell'Ebola

L'epidemia di morbillo ha causato più morti del virus dell'Ebola, che, ad oggi, ha ucciso 2143 persone.

Morbillo, secondo l'Oms quasi triplicati i casi nel 2019

Sky TG24

Burundi, la calma del terrore prima del genocidio

Secondo
la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Burundi i fattori
che potrebbero portare al genocidio sono stati rilevati, ma se questo
ci sarà non si può sapere.

La
Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Burundi

(COIB)
ha dichiarato che il rischio di genocidio nel Paese potrebbe esserci.
«Analizzando
l’escalation delle violenze dal 2015 ad oggi siamo riusciti
ad individuare tutte le atrocità e l’odio
razziale, indicatori di un futuro genocidio
»,
«Finora
è una crisi politica con elementi etnici
»,
così nelle dichiarazioni rilasciate dai componenti della
Commissione, Doudou Diène (Senegal), Lucy
Asuagbor (Camerun)
e Françoise Hampson (Regno
Unito
), a margine della pubblicazione del rapporto, lo
scorso 4 settembre.

La Commissione è stata
creata il 30 settembre 2016 con la risoluzione 33/24 del Consiglio dei
diritti umani delle Nazioni Unite, con il mandato di condurre
un’indagine approfondita sulle violazioni dei diritti umani e
gli abusi commessi in Burundi dall’aprile 2015, per
identificare i presunti autori e formulare raccomandazioni. Il
rapporto è stato
presentato ufficialmente il 17 settembre al
Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra
.

L’Ufficio
Prevenzione
Genocidi delle Nazioni Unite
, dinnanzi a prove inconfutabili
di un
genocidio
, ha
il potere di ordinare l’immediato intervento
militare offensivo dei Caschi Blu
in virtù del
principio
della Responsabilità di Proteggere i civili. Solo un veto in
votazione del Consiglio di Sicurezza può fermare
l’intervento. Chi
oppone il veto si prende la
responsabilità in caso di genocidio avvenuto
.

I
fattori presi in considerazione
dalla Commissione sono diversi
. Instabilità
politica, crisi
economica, il clima di odio etnico, l’impunità per
le violazioni dei diritti umani, un sistema giudiziario debole,
l’assenza di media indipendenti e della libertà di
espressione, la formazione di milizie etniche.

Froncoise
Hampson
, membro
della Commissione
, parla
di un clima di terrore e paura che da Bujumbura si è esteso
nelle campagne
. I discorsi inneggianti all’odio
razziale, le Imbonerakure (milizia
giovanile a sostegno del partito al potere CNDD-FDD
),
la caccia all’oppositore e le violenze commesse hanno
raggiunto dimensioni etniche. «L’analisi e le
conclusioni tratte dallo studio sulla situazione attuale in Burundi non
può predire se e quando avverrà il genocidio,
come, e in quale forma. Può
solo allertare che il rischio di
genocidio è reale
»,
spiega Hampson. In
sostanza
: i
fattori che potrebbero portare al genocidio sono stati rilevati, non
è possibile prevedere se il genocidio scoppierà
.

Il
rapporto ONU guarda con preoccupazione alle elezioni del 2020

Il
rapporto
guarda con preoccupazione alle elezioni del 2020
che, recita,
«rappresentano
un grave rischio
», anche in
considerazione
del fatto che il Governo sta aumentando il controllo sulle
organizzazioni non governative e non esisteva un vero sistema
multipartitico, poiché la maggior parte dei partiti
è
stata ‘infiltrata
e divisa
’. Altresì
si
ipotizza un
possibile restauro della monarchia da parte del Presidente e dittatore
Pierre Nkurunziza,
«Il tema dell’origine
divina del
potere
del Presidente è sempre più comune nei discorsi
ufficiali
pronunciati dal Presidente e da sua moglie
»,
afferma il
rapporto. È la vicenda del ‘prete-re
e della
revisione della
storia del Paese attuata da Nkurunziza quella che viene evidenziata nel
rapporto.

Le
prime reazioni ufficiali da parte
del Burundi

vengono da Willy
Nyamitwe
, che è ritornato in Burundi dopo
l’attentato subito nel 2017. «Il Burundi non
è
più interessato a rispondere a delle bugie e manipolazioni
della
realtà da parte di alcune potenze occidentali che vogliono
destabilizzare il Burundi
», arma di difesa
consueta quella
del
complotto neo-coloniale contro gli hutu. A gran voce aveva
gridato il dittatore ‘Je me fiche
de
l’ONU!
’ (me ne
frego dell’ONU
).

Il concetto di genocidio è
parte integrante del pensiero politico di Pierre Nkurunziza

Il
concetto di genocidio è
parte integrante
del pensiero politico di Pierre Nkurunziza
, formatosi
durante la guerra
civile e rafforzatosi durante il primo decennio di potere. Nella guerra
civile i miliziani del FDD
sotto il suo comando trucidavano i civili
tutsi per poi scappare all’arrivo dell’Esercito
regolare.
Fino ad ora Nkurunziza
non ha mai espresso opinioni sul genocidio
.
Però, utilizzando l’eventualità di un
simile gesto
come arma per impedire un intervento militare della comunità
internazionale, indirettamente Nkurunziza
ammette tale
possibilità.

Nel
novembre 2015 il CNDD-FDD ha
tentato di
innescare il genocidio
, fallendo dinanzi alla
risposta negativa della
maggioranza delle masse contadine hutu
. Senza mano
d’opera
invasata di odio etnico, un genocidio non è possibile. Ora
la
situazione è cambiata
. La
mano d’opera
è
disponibile, gli Imbonerakure
.

Ad aggravare la situazione
è la presenza del
gruppo terroristico Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda
(FDLR),
responsabili del
genocidio del 1994
. Da
mercenari le FDLR si
sono trasformati in partner di Nkurunziza
, assumendo
progressivamente
molto potere e influenza. Il regime, isolato e allo stremo finanziario,
lascia libero campo ai miliziani Imbonerakure controllati dalle FDRL. I
confini tra regime, Imbonerakure e FDLR sono fin troppo labili. La
situazione attuale in Burundi impedisce di determinare con chiarezza
chi realmente detiene il potere
.

Questa
scelta ha creato un pericoloso
paradosso
.
Questi miliziani provenienti dagli strati hutu più poveri
sono
consapevoli del loro potere, ma non hanno migliorato le loro condizioni
di vita. A cosa serve combattere i tutsi se non puoi impossessarti
delle loro proprietà? Uccidere un tutsi senza guadagnarci
non ha
senso. Le
pulizie etniche striscianti avvenute dal 2015 ad oggi sono
sempre state associate alla razzia dei beni e proprietà
delle
vittime
. È
un incentivo per convincere i miliziani
Imbonerakure
a commettere omicidi su larga scala
.

Da
un mese varie donne tutsi nei villaggi sono state vittime di stupri
etnici inflitti dalle Imbonerakure
. Nessuna meraviglia in
quanto questi miliziani lo avevano promesso a voce alta nelle prime
sfilate del 2017. Lo
stupro è stato utilizzato dai miliziani di Nkurunziza come
arma etnica nella guerra civile
. La donna tutsi stuprata
metteva al mondo un hutu che ingrossava le file hutu a danno dei tutsi,
secondo la primitiva mentalità di questi miliziani.

Il
problema è che la recente ondata di stupri etnici evidenzia
una orribile evoluzione dello stupro etnico
. Alla vittima
non viene riservato il destino di procreare un hutu. Viene uccisa dopo lo
stupro
. Trattasi di donne con il marito o fratelli
precedentemente assassinati o fuggiti. Le proprietà di
queste donne uccise vengono distribuite tra i miliziani autori dello
stupro e dell’assassinio senza che le autorità si
oppongano.

Le
Imbonerakure contano circa 30.000 iscritti
. Un numero sufficiente
per innescare un genocidio dei tutsi
. Considerando la
possibilità
di impossessarsi dei bene e proprietà delle vittime, vari
contadini hutu potrebbero unirsi alle Imbonerakure aumentando la
capacità genocidaria di questa milizia para militare.

L’unico
segnale positivo è che le autorità non hanno
ancora chiuso i confini
. Lo scorso luglio in Uganda si
è registrato un aumento di 861 rifugiati burundesi in
più rispetto agli altri mesi. Per la maggioranza sono tutsi.
Tutti confermano
lo stato di terrore instaurato da Nkurunziza e tutti temono il genocidio
.

Dopo
la fallita invasione del Rwanda tentata in agosto
, Burundi e Rwanda riprendono
timidamente gli scambi commerciali
, congelati dal 2017.
Una distensione inaspettata, visto che il regime di Nkurunziza mantiene
le sue ostilità contro Kigali. Una delle due colonne FDLR
che avevano invaso il Rwanda lo scorso agosto era entrata dalla foresta
di Kibira in Burundi.

La
sospensione degli scambi commerciali ha danneggiato maggiormente il
Rwanda
. Si
parla di una perdita secca di 4 milioni di dollari a trimestre
.
Il Ruwnda principalmente esporta in Burundi cemento, bibite, prodotti
alimentari finiti, manufatti. Il Burundi ha perso 1 milioni di dollari
a trimestre, ma è stato fortemente penalizzato dalla
scarsità di carburante normalmente fornito dal Rwanda. Il
Burundi esporta nel Paese gemello solo alimentari e rappresenta il 0,8%
delle importazioni regionali del Rwanda.

La riapertura degli scambi commerciali
sembra essere stato una scelta obbligata per l’economia
rwandese, ma pare destinata a non provocare sostanziali cambiamenti
nella politica estera dei rispettivi Paesi nemici

Il
Rwanda per Nkurunziza rimane una
Nazione ostile
che
supporta i ribelli burundesi e trama per abbattere
un governo ‘democraticamente’, dice lui, eletto
.
Per Kigali il Burundi
rimane un Paese HutuPower
che ospita i terroristi
ruandesi FDLR

(responsabili del
genecidio del 1994 in Rwanda
). La riapertura degli scambi
commerciali è una
boccata di ossigeno per la moribonda economia burundese, e il Governo
sta sfruttando la decisione per rappresentarla come un primo passo per
la normalizzazione dei rapporti con il Rwanda.

Con me o Contro di me

Le pillole di Maris Davis

Con me o Contro di me

La storia del genere umano diventa sempre più una gara fra l’istruzione e la catastrofe”. Non so quanto la catastrofe sia vicina, ma se posso contribuire ad allontanarla anche solo un pochino, ci provo.
Astenersi perditempo

Greta, Carola. Con me o contro di me

Il mondo è cambiato il 7 ottobre 2001. Quando George W. Bush, non certo un filosofo illuminato, né statista, né politico, annunciò l’invasione dell’Afghanistan, pronunciò una frase che ci ha contaminato. “Siete con noi, oppure contro di noi”. Quello che intendeva Bush è che dopo l’affronto delle Torri Gemelle, non poteva esistere alcun pensiero intermedio. Il messaggio sottointeso era bruciante: “Se non approvi i nostri bombardamenti, vuol dire che fiancheggi i terroristi

Bush, che prima di decidere di entrare in guerra, si era “consultato” con Dio nella sua chiesetta nel Texas, ha portato di peso l’integralismo della ragione in mezzo alle discussioni di tutti i giorni. Le parole, più che i bombardamenti, hanno raso al suolo il pensiero intermedio. Il ragionamento. Hanno reso i fatti (armi di distruzione di massa?) marginabili, marginali rispetto alle parole gridate. I fatti possono, anzi devono, essere ignorati.

Sono molto colpita dal livore con cui in parecchi, inclusi molti giornalisti (o cosiddetti), si rivolgono a Greta Thunberg.

Anche di fronte a fatti conclamati oggi prevale la scelta di parte. Se non credi al cambiamento climatico, non fai nulla per informarti. Questo atteggiamento produce molto più godimento e successo, scagliarsi arbitrariamente contro l’altro è liberatorio. Questo fenomeno produce ignoranza, credenze popolari, e supporta campagne politiche che portano a sfracelli.

Brexit

Prendete la Brexit. Quelli che l’hanno promossa hanno diffuso con rabbia il concetto secondo cui i migranti minacciavano la sopravvivenza del Regno Unito. Una grande stronzata. Il Regno Unito ha il sistema di frontiere e immigrazione tra i migliori al mondo.

Migranti

Passiamo ai migranti in Italia. Quando espongo dei fatti comprovati, di solito mi becco della “comunista” della “pidiota” e anche molto peggio (dunque risparmiatevi, siete prevedibili e anche poco intelligenti). La logica del con-me-contro-di-me oltre a incattivire vende falsi idoli. L’idea che l’Italia sia “il campo profughi d’Europa” è una bufala gigante. In Grecia nel 2019 sono arrivati 19mila profughi. In Spagna 15mila. Da noi poco meno di 6mila. Quelli portati dalle “pericolosissime” ONG? Meno di 600. Non si riempie neppure una chiesa.

Eppure vi raccontano che la Capitana Carola è peggio di Osama Bin Laden. Leggendo commenti anche di persone sulla carta educate, è evidente che la strada intrapresa è pessima. I migranti in Italia sono un problema? Certo, non sono stupida. Ma è una questione umanitaria e di politica internazionale, non certo sociale. L’Europa ci gioca, questo è certo, ma seimila profughi per un Paese di 60 milioni non sono nulla. Ma socialmente, nella vita di tutti i giorni, peggio sono i 109 miliardi di evasione endemica. Quello si che richiederebbe campagne feroci.

Giornalisti faziosi. A leggerre certi titoloni di giornali chiaramente schierati, contro Greta, contro Carola. Roba da far rizzare i capelli, spazzatura e basta

A me sembra che l’unica via d’uscita è quella di scappare adesso, subito, da questo pericoloso laccio. Giorni fa una stimata giornalista che lavora a Rai2 sbeffeggiava i giovani scesi in piazza a protestare sul cambiamento climatico, dicendo che appena finito s’infilavano tutti a mangiare da McDonalds, smentendo così la loro stessa missione sanatrice del pianeta. Il messaggio implicito? Sono manipolati e in fondo solo dei buffoni. Greta è in mano a qualche oscura lobby politica e, naturalmente, il cambiamento climatico non è un’urgenza come vogliono farti credere.

È deludente che chi lavora nell’informazione, certo non è lei, quella giornalista di Rai2, la sola, si presti a una logica così banale e anche un po’ rozza. Da bar, per così dire. Di certo aiuta a far crescere consensi, ma sono consensi, mi si perdoni, poco evoluti. Se andiamo avanti a colpi di slogan, finiremo vittime di un algoritmo.

Greta Thunberg

Personalmente non ho sentimenti particolari nei confronti di Greta Thunberg. Anzi, posso dire che sono poco interessata al fenomeno. Il cambiamento climatico è un fatto piuttosto concreto e assodato. Già dodici anni fa diversi scienziati ed esperti molto qualificati andavano dicendo che risulta chiaro che il pianeta ha qualche problemino.

Forse per salvarlo non servirà smettere di mangiare carne, ma qualcosa va fatto. Vi sono luoghi del mondo (purtroppo non abbastanza vicini alla Rai o alle sedi di molte sedi di giornali) in cui già adesso si muore (o si emigra) a causa del cambio climatico.

In Marocco dove migliaia di berberi dovranno abbandonare il deserto perché le temperature sono cresciute di 4° negli ultimi 40 anni e le tempeste di sabbia ricoprono villaggi interi. Roba vera. O nell'Africa Sub-Sahariana, nelle zone che adesso vengono chiamate savana, dove il deserto avanza mangiandosi ogni anno decine di chilometri quadrati di terre adesso dedicate all'agricoltura o all'allevamento. Dove migreranno? Saliranno a bordo di una ONG capitanata da Carola? Faranno guadagnare voti a Salvini? Anche a tutto questo non sono particolarmente interessata.

Quello che mi piacerebbe sapere e di cui vorrei discutere con educazione, è cosa pensiamo di fare con quel 30% di umanità che non ha accesso all’acqua? Con lo scioglimento preoccupante dei ghiacciai? Con la distruzione sistematica delle foreste? Con la scomparsa dei coralli? Con i milioni di persone esposte a cataclismi climatici sempre più aspri?

Cose reali, fatti veri

Sono tutte cose che stanno avvenendo, di cui sarebbe interessante discutere, su cui tutti ma proprio tutti, a cominciare da chi fa informazione, dovrebbe farsi un’opinione educata. Fatti che richiedono soluzioni. Proviamo a trovarle sul serio o andiamo avanti a insultarci a vicenda mentre ci cadono in testa le montagne (Courmayeur mi pare non sia nell’Artico).

Con me oppure contro di me, oltre ad essere ormai una forma molto noiosa di comunicazione, rivela spesso la stupidità di chi se ne fa portatore. Citando H.G. Wells, “La storia del genere umano diventa sempre più una gara fra l’istruzione e la catastrofe”. Non so quanto la catastrofe sia vicina, ma se posso contribuire ad allontanarla anche solo un pochino, ci provo. Astenersi perditempo.

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Nigeria, il paese con il più alto numero di persone scomparse. Secondo la Croce Rossa 22mila

La Nigeria è il Paese con il maggior numero di persone date per disperse al mondo. Sono quasi 22.000 i nigeriani scomparsi a causa di conflitti interni. Per la maggior parte si tratta di minori, portati via alle loro famiglie dall’inizio dell’insurrezione dei Boko Haram. La denuncia è stata fatta dal Comitato della Croce Rossa Internazionale e, secondo un portavoce dell’organizazione, potrebbero essere molti di più.

Sembra inverosimile che un numero così elevato di nigeriani sia sparito senza lasciare traccia e oltre la metà tra questi sono bambini. Molti di loro sono stati rapiti da miliziani Boko Haram. Altri potrebbero essersi persi durante la fuga dalle violenze.

Dal 2009 ad oggi sono morte oltre ventisettemila persone, oltre 2,7 milioni hanno dovuto lasciare le loro case a causa di Boko Haram. I sequestri sono frequenti e il denaro che viene chiesto per il riscatto serve per il finanziamento delle operazioni criminali. Altre volte gli ostaggi vengono rilasciati in cambio della liberazione di miliziani catturati e arrestati dalle autorità nigeriane. Ma di molti, moltissimi non si sa più nulla.

Secondo il rapporto di Human Rights Watch del 10 settembre, le autorità nigeriane, nel loro intento di contrastare i jhadisti, in questi anni avrebbero arrestato un elevato numero persone sospettate di appartenere al gruppo armato, molti tra questi minori. A tutt’oggi bambini e adolescenti sono trattenuti nelle squallide galere militari del Paese e spesso i parenti non hanno più avuto loro notizie.

Nella relazione HRW ha sottolineato che dal 2013 almeno 3.600 minori sarebbero stati arrestati, tra loro anche 1.600 ragazze, accusate di essere complici di Boko Haram. Le poverette sono state costrette a sposarsi con miliziani eppure sono state fermate dai militari con i figli avuti dai loro aguzzini.

HRW (Human Right Watch) ha intervistato diversi minori. Un bambino che al momento dell’arresto aveva solamente 5 anni, ha riferito che è stato portato in galera insieme ai genitori e che nella sua cella c’erano parecchi altri coetanei soli, senza parenti. Un bimbo di 7 anni è rimasto in galera per oltre due anni, imputato di aver venduto yam (un tubero molto apprezzato nella cucina nigerina) ai terroristi. Altri due piccoli sono stati accusati di far parte del sanguinario gruppo terroristico solo perché erano fuggiti dal loro villaggio distrutto in ritardo rispetto alla maggior parte degli abitanti.

Anche tante ragazze rapite, quando riescono a scappare, spesso vengono arrestate dalle forze armate, invece di essere restituite alle proprie famiglie. In queste galere ci sono molte vittime dei jihadisti, eppure frequentemente le autorità le considerano loro complici.

In Nigeria si consumano anche altri conflitti. Scontri etnici e violenze tra pastori semi-nomadi Fulani (di religione musulmana) e agricoltori, per lo più cristiani, flagellano da anni il centro della ex colonia britannica. Gli Stati più colpiti da questa faida sono: Benue, Taraba, Nasarawa e Plateau.

Africa ExPress

Nigeria. “Fabbrica di bambini”, donne violentate per vendere i loro figli

La polizia nigeriana ha liberato 19 ragazze e donne tra i 15 e i 28 anni da alcune abitazioni di Lagos definite 'fabbriche di bambini', dove venivano messe incinte e fatte partorire da un'organizzazione che poi vendeva i neonati. Quattro dei piccoli sono stati presi in consegna dagli agenti, mentre due donne che lavoravano in questi centri come infermiere abusive sono state arrestate, ha aggiunto la polizia, citata dalla Bbc online.

Non è questa la prima vota che vengono scoperte 'fabbriche di bambini' in Nigeria, Paese che è la prima economia africana ma dove la povertà è diffusa, così come il traffico di esseri umani. Lo scorso anno in un altro raid simile furono liberati 160 bambini.

La polizia ha detto che i neonati venivano venduti a 1.400 dollari l'uno se maschi e 830 dollari se femmine. Non è stato precisato se gli acquirenti fossero della Nigeria stessa o di altri Paesi.

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