Non solo dalla
Nigeria, ora stanno arrivando anche dalla Costa d'Avorio. Nuovo rapporto
OIM. “Spesso già sfruttate in Tunisia e Libia, sono a
rischio di re-trafficking in Italia”. Gli arrivi di donne
ivoriane è aumentato in modo esponenziale, passando dall'8%
al 46%.
Rapporto
OIM, in aumento il numero di ragazze potenzialmente
vittime di tratta
In occasione delle celebrazioni per la Giornata
Europea contro la Tratta, una delle forme di schiavitù
moderna più diffusa del ventunesimo secolo, l’Organizzazione
Internazionale per le Migrazioni (OIM)
pubblica un rapporto su un nuovo fenomeno di sfruttamento
recentemente emerso a seguito dell’analisi dei flussi migratori
lungo la rotta del Mediterraneo Centrale.
Aumento esponenziale
delle donne ivoriane in arrivo con i "barconi"
Un aumento di donne in arrivo dalla Costa d'Avorio
passato nell'ultimo anno dall'8 al 46%. Tutte a grave
rischio sfruttamento. Nel corso dell’ultimo anno l’OIM, presente
nei principali punti di sbarco italiani con diversi team
anti-tratta, ha rilevato un aumento della presenza di ragazze
provenienti dalla Costa d’Avorio. “Abbiamo ragione di credere
che molte di queste ragazze siano purtroppo vittime di tratta a
scopo di sfruttamento lavorativo e a volte anche sessuale”,
spiega Laurence Hart, direttore dell’Ufficio di Coordinamento per
il Mediterraneo dell’OIM. I numeri relativi agli arrivi via mare
dei migranti provenienti dalla Costa d’Avorio rivelano come, a una
riduzione del numero complessivo dei migranti di nazionalità
ivoriana in ingresso in Italia negli ultimi anni, corrisponda il
progressivo aumento della percentuale di donne coinvolte, dall’8%
sul totale dei migranti di questa nazionalità sbarcati nel 2015 al
46% del 2019.
C'è chi paga il
viaggio, ma poi si rivale sfruttando
“Nella maggioranza di casi il Paese di partenza è
la Tunisia, e, dai colloqui che abbiamo avuto con queste giovani
ragazze, pare evidente che ci troviamo di fronte a quello che
può essere definito un fenomeno di re-trafficking”
Sottoposte a "servitù domestica" in Libia o
in Tunisia, maltrattate e private della libertà personale, abusate
dai loro "padroni", vengono vendute ai trafficanti
per essere portate in Italia e sfruttate di nuovo. Il fenomeno del
re-trafficking di ragazze della Costa d'Avorio è paurosamente
aumentato
“Molte, reclutate nel loro paese per lavorare come
domestiche o cameriere, diventano invece vittime di servitù
domestica una volta arrivate in Tunisia o in Libia, dove sono
sottoposte a maltrattamenti, violenze e privazione della libertà
personale, nonché costrette a subire abusi sessuali da parte dei
loro sfruttatori. A questa fase ne segue un’altra, che
prevede un ulteriore sfruttamento in Europa organizzato da
persone che si dicono disposte a farsi carico
dell’organizzazione e dei costi della traversata nel
Mediterraneo, ma che poi hanno intenzione di sfruttare le
vittime una volta giunte in Italia o in altri paesi dell’Unione
Europea”
La liberazione dagli
aguzzini
Dopo lo sbarco in Italia alcune di queste
vittime, consapevoli di poter incorrere in una rinnovata
condizione di sfruttamento, hanno deciso di chiedere aiuto all’OIM
per potersi finalmente liberare dai loro aguzzini. “La scoperta
di questo circuito di sfruttamento dimostra ancora una volta
come dietro ai numeri degli sbarchi ci siano storie molto
drammatiche, di cui spesso si sa troppo poco. Non possiamo fare
a meno di pensare alle ragazze ivoriane morte lo scorso 7
ottobre nel corso del naufragio avvenuto al largo di Lampedusa,
una tragedia che ci riporta alla memoria l’altro drammatico
incidente che nel 2017 causò la morte di 26 ragazze nigeriane,
anche loro probabili vittime di tratta”
In aumento il numero di prostitute-schiave in
Italia
La lunga lotta
anti-tratta
“Occorre fare di più per proteggere questi gruppi
di ragazze vulnerabili, che non solo subiscono una lunga serie
di abusi e violazioni di diritti umani, ma poi si trovano
costrette a rischiare di morire in mare”
“Come OIM ribadiamo la nostra volontà a
continuare a impegnarci nella lotta alla tratta di esseri umani,
promuovendo attività di identificazione e di protezione delle
vittime rafforzando l’esistente stretta collaborazione con
Procure, Forze dell’Ordine, Ministeri e organizzazioni che
lavorano sul territorio”
I trafficanti le
portano dalla Nigeria e dall'Est Europa. E le tengono sempre più
nascoste, per sfuggire ai controlli. Il rapporto "Piccoli
Schiavi" dà voce alle associazioni, preoccupate per le
conseguenze del decreto Sicurezza.
Dossier
Save the Children sulle vittime di tratta. 1400
adolescenti schiave prostitute
Adesso le nascondono. Le tengono segregate in
appartamenti, o le portano lungo strade sempre più periferiche,
isolate. E ovviamente le picchiano per non parlare, a Palermo come
a Torino e in Germania. Sono le vittime della tratta sessuale,
schiave giovanissime, neo maggiorenni o ancora bambine, costrette
a vendersi da una rete di trafficanti che prima le obbligano a
partire e poi a prostituirsi.
Il dramma della tratta delle schiave dalla Nigeria
e dall'Est Europa, all'Italia e all'Europa è al centro del
nuovo rapporto sui “Piccoli
schiavi invisibili” di Save The Children. La Onlus,
con il progetto “Vie d'uscita”,
ha permesso l'anno scorso a 31 vittime di trovare un futuro, di
uscire allo sfruttamento. Gli operatori in sole cinque regioni
hanno incontrato oltre mille adolescenti sfruttate sessualmente.
Mille e quattrocento schiave, obbligate a vendersi al costo di
ferite fisiche e psicologiche talmente buie da cancellare le
parole stesse per spiegarsi.
Le nuove forme di
controllo e sfruttamento
L'ultima relazione semestrale della Direzione
investigativa Antimafia ha dedicato ampio spazio al tema della
tratta. A dicembre del 2018 la polizia ha arrestato otto
nigeriani della confraternita “Eiye” a Torino,
accusati di associazione di tipo mafioso, favoreggiamento
dell'immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione.
A marzo era stata la volta di Palermo, ad aprile di
Cuneo; a maggio grazie alla denuncia di una minorenne, costretta a
prostituirsi insieme a un'amica a Giugliano, è stata fermata una
rete di sfruttamento a Napoli. Il mese scorso un'altra operazione,
fra Palermo, Napoli, Dervio, in provincia di Lecco, e Bergamo ha
fermato quattro uomini. Sono nigeriani, liberiani e italiani, tra
cui un 78enne che faceva da vedetta e accompagnava le ragazze
nelle zone di prostituzione.
Il controllo dei trafficanti infatti è totale.
E così il loro tentativo di non perdere la “merce”, le
ragazze. Daniela Moretti del Servizio anti-tratta “Roxanne”
del Comune di Roma, spiega nel rapporto di Save the Children come
i trafficanti cerchino infatti di occultare sempre più la presenza
delle minorenni sul territori. Ricorrendo alla prostituzione in
appartamento ad esempio piuttosto che in strada, dove è più facile
vengano individuate dagli operatori. Questo rende sempre più
difficile la possibilità di entrare in contatto con loro e di
offrire percorsi di protezione.
«In Piemonte, e nello specifico nell’astigiano, è
stato segnalato da Alberto Mossino di PIAM un aumento delle
connection houses, ovvero case chiuse, ma aperte solo per uomini
africani, in cui le ragazze possono affittare un posto letto il
cui pagamento sarebbe garantito con i proventi derivanti dalla
prostituzione», spiega il dossier sui “Piccoli
Schiavi”: «Anche Andrea Morniroli di Dedalus ha
riconosciuto come nella città di Napoli e provincia l’indoor
rappresenti una modalità di sfruttamento assai diffusa e si
stiano progressivamente sviluppando diverse connection houses».
Morniroli ha raccontato come cercano comunque di entrare in
contatto con le ragazze per offrire aiuto: «In questi casi si
procede via telefono. Inizialmente ci si finge clienti al fine
di capire il tipo di prestazioni offerte e quale sia il livello
di autonomia. Molto spesso, componendo lo stesso numero non si
riesce a parlare con la stessa persona e scopri che tre persone
hanno 15 numeri diversi, così inizi a pensare ci sia
un’organizzazione alle spalle»
È difficile, ma tentano lo stesso, continuamente, a
spiegare alle ragazze le possibilità che offre loro il paese per
salvarsi. Possibilità che esistono, sono radicate. Ma hanno
bisogno di fondi, risposte legali, e standard di intervento sui
documenti da parte delle questure. Proprio sul punto dei permessi
si aprono oggi nuovi rischi, a causa del decreto Sicurezza voluto
dal ministro dell'Interno Matteo Salvini.
Le conseguenze del
decreto sicurezza
Lo stesso governo, il Conte uno, che
ha aumentato i fondi per le iniziative anti-tratta (24 milioni
di euro dal 2019 al 2021) ha voluto infatti un decreto
che indebolisce gli strumenti con cui gli operatori possono
aiutare le vittime. Con il Decreto sicurezza, spiega il rapporto
di Save the Children, è stata abolita la protezione per motivi
umanitari, ovvero il modello di permesso più utilizzato per le
ragazze sfruttate. Che ora si troveranno in condizioni di non
poterlo rinnovare. A meno di non riuscire a ottenere un nuovo
visto di soggiorno per “casi speciali”, fra cui la violenza
domestica e il grave sfruttamento.
Per le vittime di tratta esisterebbe da tempo un
altro strumento, la protezione sociale “ex art.18”,
ma il modo con cui viene accordata varia a seconda della Questura
di appartenenza. Spesso viene infatti chiesto che la vittima, per
ottenere il documento, denunci dettagliatamente le persone che
l'hanno costretta a prostituirsi. Una denuncia che le espone, di
fatto, a una vendetta dei trafficanti. Di cui hanno paura, per sé
o per la propria famiglia. Da tempo le associazioni chiedono che
vengano stabilite linee guida perché alle ragazze che si ribellano
e iniziano un percorso di reinserimento sia riconosciuto un
permesso, a prescindere dalla denuncia.
Ci sono poi altre due conseguenze del decreto
Sicurezza. Con la chiusura dell'accesso nelle piccole
strutture comunali della rete Sprar per la prima accoglienza, le
ragazze si ritrovano oggi nei centri straordinari. Dove è maggiore
il numero di persone e spesso inferiore la preparazione dei
gestori. Così è difficile che i responsabili si accorgono dei
segnali di disagio di una vittima o di una potenziale sfruttata.
Lasciandola in balia dei trafficanti, anche all'interno stesso
del centro. Infine, secondo il decreto Salvini chi ha un
permesso di protezione internazionale non può iscriversi
all'anagrafe.
«E benché l’accesso ai servizi, come l’iscrizione
sanitaria, ai sensi del Decreto, sia assicurato nel luogo del
domicilio, la residenza rappresenta di fatto la chiave per
l’esercizio effettivo di alcuni diritti fondamentali
riconosciuti dalla nostra Costituzione. Inoltre alcune ASL
continuano a richiedere la residenza, ostacolando l’accesso al
servizio sanitario. Che rappresenta uno degli strumenti
essenziali per garantire assistenza alle vittime di sfruttamento
sessuale»
Non chiamateli
clienti
Trovare ogni mezzo per abolire questo business
orrendo deve invece restare una priorità. Legale. Ma anche
culturale. «Non si può ignorare il fatto che il fiorente
mercato dello sfruttamento sessuale delle minorenni è legato
alla presenza di una forte “domanda” da parte di quelli
che ci rifiutiamo di definire “clienti”, i quali sono
parte attiva del processo di sfruttamento. È necessario
rafforzare l’azione di contrasto e, allo stesso tempo,
promuovere iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica e
in particolare i più giovani sui danni gravissimi che questo
mercato provoca sulle ragazze che ne sono vittima»
Non chiamateli clienti. Sono solo "aguzzini"
di passaggio che approfittano della sofferenza di ragazzine
minorenni. Chiamateli piuttosto "stupratori a pagamento"
Minorenni come Happy. Una ragazza a cui la
violenza ha tolto anche le parole: non riesce a raccontare tutta
la sua storia. Interi pezzi della sua vita restano neri, silenzio.
Cresciuta in una famiglia numerosa di Benin City,
in Nigeria, la sua storia ricalca quella di molte, troppe,
sue coetanee, convinte come lei a partire con una promessa. Nel
suo caso l'impiego in un bar. Affronta la rotta lungo il
deserto, in Libia iniziano gli abusi. Quindi il
gommone, il salvataggio nel canale di Sicilia, la trappola
della rete di contatti che le forniscono tutto, biglietti,
documenti, indirizzi, fino all'incontro con la donna che la porta
al lavoro. In Germania. È lì che Happy viene costretta
a prostituirsi da un'aguzzina che le requisisce tutto,
compreso il telefono per parlare con la famiglia. In compenso la
porta dal parrucchiere, la istruisce su cosa dire alla polizia per
il permesso, l'accompagna in strada, controlla e prende i soldi
alla fine dei rapporti.
«Una mattina sono tornata dal lavoro in strada
all’alba ed ero sfinita, mi sono messa a letto ma Zainab (la
mamam) mi ha svegliata e mi ha costretto con violenza ad
avere rapporti con un cliente. Dopo quella volta ho detto che
volevo parlare con i miei genitori, che non sopportavo più
quella vita, e mi stavo preparando i bagagli per chiedere aiuto
a quelli dell’accoglienza, ma lei ha fatto entrare in casa due
uomini nigeriani, che hanno cominciato a spintonarmi e a
insultarmi. Ho cercato di scappare ma mi hanno presa a calci; mi
sono accorta che uno dei due aveva in mano una pentola con acqua
bollente, a quel punto mi sono buttata dalla finestra. Mi sono
fatta molto male, qualcuno del vicinato mi ha soccorsa ma in
ospedale non potevano operarmi perché ero senza documenti. Io
per paura non ho raccontato nulla; poi è arrivata la Polizia e
mi ha portato in cella. Mi hanno preso le impronte. Avevo molto
male perché non mi curavano abbastanza. Dopo due settimane mi
hanno accompagnata in aeroporto per rimandarmi in Italia»
È in Italia che ha incontrato i ragazzi di Vie
d'Uscita ed è riuscita a cambiare il suo presente. È entrata
in una comunità protetta, quindi in un programma di formazione.
Grazie ai corsi, ha iniziato a lavorare come stagionale in un
hotel.
Migliaia di bambini
e bambine sono stati incarcerati in modo arbitrario, anche per
anni, in condizioni disumane, picchiati e umiliati dall’esercito
federale nigeriano nella decennale lotta al movimento terrorista
nel nordest. A denunciarlo è un rapporto di Human Rights Watch
contestato dai vertici militari.
Nigeria.
Migliaia di minori imprigionati arbitrariamente con l'accusa di
essere complici di Boko Haram
L’esercito nigeriano avrebbe arbitrariamente
arrestato migliaia di bambini per sospetto coinvolgimento con il
gruppo islamista Boko Haram. La sconcertante notizia è
diventata un rapporto di cinquanta pagine pubblicato da Human
Rights Watch (HRW) e intitolato “They
didn’t know if i was alive or death” (Loro non sapevano
se io fossi vivo o morto), dove è spiegato che tutti questi
minori per mesi, e in alcuni casi per anni, sono rimasti detenuti
senza specifiche accuse.
Più di 3.600 bambini, tra cui 1.617
ragazzine, sono stati arrestati dalle forze armate nigeriane
tra il 2013 e il 2019, secondo i dati raccolti dalle Nazioni
Unite. A riguardo, HRW afferma che le autorità nigeriane
non hanno consentito l’accesso ai siti di detenzione per
verificare queste cifre e di conseguenza non si conosce l’esatto
numero dei bambini e delle bambine attualmente detenuti.
Alcuni avevano
appena cinque anni
Il dettagliato report rileva che alcuni dei bimbi
detenuti avevano appena cinque anni. Altri hanno raccontato di
essere stati stipati in centinaia in celle roventi e affollate con
un unico bagno nella famigerata caserma di Giwa, nella città
nord-orientale di Maiduguri. Prima di arrivare lì, diversi minori
hanno raccontato di essere stati oggetto di pestaggi per mano
delle forze di sicurezza.
Ibrahim, 10 anni, ha riferito che quando aveva
4 anni, dopo un attacco di Boko Haram è fuggito insieme alla sua
famiglia dal loro villaggio ed è stato arrestato dai militari.
Dopo la cattura è stato accusato insieme ai suoi familiari di far
parte del gruppo jihadista ed è stato ripetutamente percosso con
una corda di pelle. Saeed, 17 anni, inizialmente detenuto nella
città di Banki, ha dichiarato di essere stato appeso a un albero,
dove è stato bastonato e frustrato da alcuni membri della Task
force civile congiunta (Cjtf), una milizia di
autodifesa formatasi nello stato di Borno con l’appoggio delle
forze di sicurezza federali.
Accuse respinte
dall'esercito
Le accuse sono state respinte al mittente
dall’esercito: «I militari hanno arrestato solo i bambini
che tentavano di compiere attentati e che hanno fornito un
tacito sostegno agli insorti, comprese informazioni sui
movimenti delle truppe. Ciononostante, i bambini sono stati
trattati come vittime di guerra e non come sospetti terroristi»
Quest'ultimo
rapporto si inserisce in un più ampio contesto di accuse
all'esercito nigeriano
Il rapporto di Human Rights Watch (HRV)
si inserisce in un modello più ampio di presunti abusi da parte
delle forze di sicurezza del paese africano che combattono il
gruppo estremista Boko Haram da più di un decennio.
Nel giugno 2015, con un report, Amnesty
International ha denunciato la morte di almeno 7.000 persone che
erano detenute presso strutture militari nel nord-est della
Nigeria. Nel maggio del 2018, un’indagine della stessa
organizzazione ha rivelato che migliaia di donne e ragazze
liberate dai jihadisti sono state sistematicamente oggetto di
abusi sessuali da parte dei militari, in cambio di cibo e
assistenza. Più recentemente, migliaia di civili in fuga
da Boko Haram sono stati trasferiti in aree non sicure dal
governo, che in vista delle elezioni presidenziali del 2020 vuole
dare l’impressione di aver restituito sicurezza al nord-est della
paese.
"Ci hanno tradite"
Le
donne scampate a Boko Haram stuprate dai loro soccorritori
Report
Amnesty International
Migliaia di donne e ragazze sopravvissute
alla brutalità del gruppo armato Boko Haram sono
state successivamente stuprate dai soldati che sostengono
di averle liberate.
Sono le principali evidenze emerse grazie
al lavoro di ricerca sul campo e rese pubbliche nel report
di Amnesty International “Ci hanno
tradite“.
Il lavoro di ricerca è il risultato di
un’ampia indagine, realizzata attraverso oltre 250
interviste e riguardante “campi satellite”
istituiti dalle forze armate nigeriane in sette città
dello stato di Borno. Comprende interviste a 48 donne e
ragazze rilasciate e l’analisi di video, fotografie e
immagini satellitari.
L’esercito nigeriano e la milizia alleata,
chiamata Task force civile congiunta (Cjtf),
hanno separato le donne dai loro mariti confinandole in “campi
satellite”. Lì le hanno stuprate, a
volte in cambio di cibo.
È stato documentato che dal 2015 migliaia
di persone sono state ridotte alla fame nei campi dello
Stato di Borno, nel nordest della Nigeria. Migliaia di
donne costrette a fare sesso con i militari in cambio di
cibo per se e per la famiglia, quelle che si
sono rifiutate ridotte alla fame.
“Suona completamente scioccante che
persone che hanno già tanto sofferto nelle mani di Boko
Haram siano condannate a subire ulteriori tremendi abusi
da pare dell’esercito. Invece di essere protette, donne
e ragazze sono costrette a sottostare agli stupri per
evitare la fame“