Adesso le nascondono. Le tengono segregate in
appartamenti, o le portano lungo strade sempre più periferiche,
isolate. E ovviamente le picchiano per non parlare, a Palermo come
a Torino e in Germania. Sono le vittime della tratta sessuale,
schiave giovanissime, neo maggiorenni o ancora bambine, costrette
a vendersi da una rete di trafficanti che prima le obbligano a
partire e poi a prostituirsi.
Il dramma della tratta delle schiave dalla Nigeria
e dall'Est Europa, all'Italia e all'Europa è al centro del
nuovo rapporto sui “Piccoli
schiavi invisibili” di Save The Children. La Onlus,
con il progetto “Vie d'uscita”,
ha permesso l'anno scorso a 31 vittime di trovare un futuro, di
uscire allo sfruttamento. Gli operatori in sole cinque regioni
hanno incontrato oltre mille adolescenti sfruttate sessualmente.
Mille e quattrocento schiave, obbligate a vendersi al costo di
ferite fisiche e psicologiche talmente buie da cancellare le
parole stesse per spiegarsi.
Le nuove forme di
controllo e sfruttamento
L'ultima relazione semestrale della Direzione
investigativa Antimafia ha dedicato ampio spazio al tema della
tratta. A dicembre del 2018 la polizia ha arrestato otto
nigeriani della confraternita “Eiye” a Torino,
accusati di associazione di tipo mafioso, favoreggiamento
dell'immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione.
A marzo era stata la volta di Palermo, ad aprile di
Cuneo; a maggio grazie alla denuncia di una minorenne, costretta a
prostituirsi insieme a un'amica a Giugliano, è stata fermata una
rete di sfruttamento a Napoli. Il mese scorso un'altra operazione,
fra Palermo, Napoli, Dervio, in provincia di Lecco, e Bergamo ha
fermato quattro uomini. Sono nigeriani, liberiani e italiani, tra
cui un 78enne che faceva da vedetta e accompagnava le ragazze
nelle zone di prostituzione.
Il controllo dei trafficanti infatti è totale.
E così il loro tentativo di non perdere la “merce”, le
ragazze. Daniela Moretti del Servizio anti-tratta “Roxanne”
del Comune di Roma, spiega nel rapporto di Save the Children come
i trafficanti cerchino infatti di occultare sempre più la presenza
delle minorenni sul territori. Ricorrendo alla prostituzione in
appartamento ad esempio piuttosto che in strada, dove è più facile
vengano individuate dagli operatori. Questo rende sempre più
difficile la possibilità di entrare in contatto con loro e di
offrire percorsi di protezione.
«In Piemonte, e nello specifico nell’astigiano, è
stato segnalato da Alberto Mossino di PIAM un aumento delle
connection houses, ovvero case chiuse, ma aperte solo per uomini
africani, in cui le ragazze possono affittare un posto letto il
cui pagamento sarebbe garantito con i proventi derivanti dalla
prostituzione», spiega il dossier sui “Piccoli
Schiavi”: «Anche Andrea Morniroli di Dedalus ha
riconosciuto come nella città di Napoli e provincia l’indoor
rappresenti una modalità di sfruttamento assai diffusa e si
stiano progressivamente sviluppando diverse connection houses».
Morniroli ha raccontato come cercano comunque di entrare in
contatto con le ragazze per offrire aiuto: «In questi casi si
procede via telefono. Inizialmente ci si finge clienti al fine
di capire il tipo di prestazioni offerte e quale sia il livello
di autonomia. Molto spesso, componendo lo stesso numero non si
riesce a parlare con la stessa persona e scopri che tre persone
hanno 15 numeri diversi, così inizi a pensare ci sia
un’organizzazione alle spalle»
È difficile, ma tentano lo stesso, continuamente, a
spiegare alle ragazze le possibilità che offre loro il paese per
salvarsi. Possibilità che esistono, sono radicate. Ma hanno
bisogno di fondi, risposte legali, e standard di intervento sui
documenti da parte delle questure. Proprio sul punto dei permessi
si aprono oggi nuovi rischi, a causa del decreto Sicurezza voluto
dal ministro dell'Interno Matteo Salvini.
Le conseguenze del
decreto sicurezza
Lo stesso governo, il Conte uno, che
ha aumentato i fondi per le iniziative anti-tratta (24 milioni
di euro dal 2019 al 2021) ha voluto infatti un decreto
che indebolisce gli strumenti con cui gli operatori possono
aiutare le vittime. Con il Decreto sicurezza, spiega il rapporto
di Save the Children, è stata abolita la protezione per motivi
umanitari, ovvero il modello di permesso più utilizzato per le
ragazze sfruttate. Che ora si troveranno in condizioni di non
poterlo rinnovare. A meno di non riuscire a ottenere un nuovo
visto di soggiorno per “casi speciali”, fra cui la violenza
domestica e il grave sfruttamento.
Per le vittime di tratta esisterebbe da tempo un
altro strumento, la protezione sociale “ex art.18”,
ma il modo con cui viene accordata varia a seconda della Questura
di appartenenza. Spesso viene infatti chiesto che la vittima, per
ottenere il documento, denunci dettagliatamente le persone che
l'hanno costretta a prostituirsi. Una denuncia che le espone, di
fatto, a una vendetta dei trafficanti. Di cui hanno paura, per sé
o per la propria famiglia. Da tempo le associazioni chiedono che
vengano stabilite linee guida perché alle ragazze che si ribellano
e iniziano un percorso di reinserimento sia riconosciuto un
permesso, a prescindere dalla denuncia.
Ci sono poi altre due conseguenze del decreto
Sicurezza. Con la chiusura dell'accesso nelle piccole
strutture comunali della rete Sprar per la prima accoglienza, le
ragazze si ritrovano oggi nei centri straordinari. Dove è maggiore
il numero di persone e spesso inferiore la preparazione dei
gestori. Così è difficile che i responsabili si accorgono dei
segnali di disagio di una vittima o di una potenziale sfruttata.
Lasciandola in balia dei trafficanti, anche all'interno stesso
del centro. Infine, secondo il decreto Salvini chi ha un
permesso di protezione internazionale non può iscriversi
all'anagrafe.
«E benché l’accesso ai servizi, come l’iscrizione
sanitaria, ai sensi del Decreto, sia assicurato nel luogo del
domicilio, la residenza rappresenta di fatto la chiave per
l’esercizio effettivo di alcuni diritti fondamentali
riconosciuti dalla nostra Costituzione. Inoltre alcune ASL
continuano a richiedere la residenza, ostacolando l’accesso al
servizio sanitario. Che rappresenta uno degli strumenti
essenziali per garantire assistenza alle vittime di sfruttamento
sessuale»
Non chiamateli
clienti
Trovare ogni mezzo per abolire questo business
orrendo deve invece restare una priorità. Legale. Ma anche
culturale. «Non si può ignorare il fatto che il fiorente
mercato dello sfruttamento sessuale delle minorenni è legato
alla presenza di una forte “domanda” da parte di quelli
che ci rifiutiamo di definire “clienti”, i quali sono
parte attiva del processo di sfruttamento. È necessario
rafforzare l’azione di contrasto e, allo stesso tempo,
promuovere iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica e
in particolare i più giovani sui danni gravissimi che questo
mercato provoca sulle ragazze che ne sono vittima»
Non chiamateli clienti. Sono solo "aguzzini"
di passaggio che approfittano della sofferenza di ragazzine
minorenni. Chiamateli piuttosto "stupratori a pagamento"
Minorenni come Happy. Una ragazza a cui la
violenza ha tolto anche le parole: non riesce a raccontare tutta
la sua storia. Interi pezzi della sua vita restano neri, silenzio.
Cresciuta in una famiglia numerosa di Benin City,
in Nigeria, la sua storia ricalca quella di molte, troppe,
sue coetanee, convinte come lei a partire con una promessa. Nel
suo caso l'impiego in un bar. Affronta la rotta lungo il
deserto, in Libia iniziano gli abusi. Quindi il
gommone, il salvataggio nel canale di Sicilia, la trappola
della rete di contatti che le forniscono tutto, biglietti,
documenti, indirizzi, fino all'incontro con la donna che la porta
al lavoro. In Germania. È lì che Happy viene costretta
a prostituirsi da un'aguzzina che le requisisce tutto,
compreso il telefono per parlare con la famiglia. In compenso la
porta dal parrucchiere, la istruisce su cosa dire alla polizia per
il permesso, l'accompagna in strada, controlla e prende i soldi
alla fine dei rapporti.
«Una mattina sono tornata dal lavoro in strada
all’alba ed ero sfinita, mi sono messa a letto ma Zainab (la
mamam) mi ha svegliata e mi ha costretto con violenza ad
avere rapporti con un cliente. Dopo quella volta ho detto che
volevo parlare con i miei genitori, che non sopportavo più
quella vita, e mi stavo preparando i bagagli per chiedere aiuto
a quelli dell’accoglienza, ma lei ha fatto entrare in casa due
uomini nigeriani, che hanno cominciato a spintonarmi e a
insultarmi. Ho cercato di scappare ma mi hanno presa a calci; mi
sono accorta che uno dei due aveva in mano una pentola con acqua
bollente, a quel punto mi sono buttata dalla finestra. Mi sono
fatta molto male, qualcuno del vicinato mi ha soccorsa ma in
ospedale non potevano operarmi perché ero senza documenti. Io
per paura non ho raccontato nulla; poi è arrivata la Polizia e
mi ha portato in cella. Mi hanno preso le impronte. Avevo molto
male perché non mi curavano abbastanza. Dopo due settimane mi
hanno accompagnata in aeroporto per rimandarmi in Italia»
È in Italia che ha incontrato i ragazzi di Vie
d'Uscita ed è riuscita a cambiare il suo presente. È entrata
in una comunità protetta, quindi in un programma di formazione.
Grazie ai corsi, ha iniziato a lavorare come stagionale in un
hotel.