Riflessioni sulle parole di Papa Francesco nel giorno di Natale, e che in troppi NON mettono in pratica o fanno finta di non ascoltare. Le contraddizioni di tanti che, oggi, perfino si vantano di essere cristiani, ma che di cristiano non hanno nulla.
Nel giorno più importante per la cristianità il
Papa ci invita a diffondere Amore, a seminare Speranza,
ad avere Coraggio.
Ma ha ricordato anche i mali del mondo, i
conflitti, l'odio che si diffonde, la schiavitù, quella del lavoro
e quella sessuale, i bambini che muoiono per mancanza di medicine,
di fame.
Ha ricordato chi è costretto migrare a causa dei
conflitti, della mancanza di libertà, delle persecuzioni, della
fame, della terra che si trasforma in deserto.
Ha ricordato chi viene torturato e
violentato nei campi di prigionia, e magari muore nel deserto o
nel mare per cercare un posto migliore in cui vivere, e ha
ammonito chi NON accoglie, e alza muri, e distrugge i
ponti della fraternità e della tolleranza.
Ha ricordato la mia Africa, la mia
Nigeria, dove una religione "cattiva" uccide. Anche
questa mattina in Burkina Faso 35 persone sono state uccise,
erano quasi tutte donne. Un centinaio di uomini "cattivi"
hanno assaltato un villaggio per uccidere proprio loro, le donne.
Vigliacchi, ma vigliacco anche l'occidente cristiano che
anche di fronte al grido del Papa non fa nulla e perfino fa finta
di niente.
Impossibile perdonare chi non si pente per il
male che ha fatto, impossibile perdonare chi uccide in nome
di una religione, chi tortura, chi rende schiave le donne, i
bambini, gli uomini. Io NON perdonerò mai chi mi rese
schiava, come potrei se loro NON si sono mai pentiti,
e anzi continuano e rendere schiave altre donne nigeriane.
Pensavo alle parole che il Papa ha rivolto
oggi, giorno di Natale, ai cristiani, ai cattolici
di tutto il mondo. Parole che sono lo spirito stesso del
Vangelo, il libro che ci racconta di una nascita, pieno di
parole d'Amore, di Speranza, di Coraggio, un libro che parla di
accoglienza e di fraternità.
E poi penso all'ipocrisia di tanti italianiche sul quel Vangelo hanno "giurato", che si vantano di
avere il crocifisso in tasca, che arrivano nei congressi
di partito addirittura con il Presepio, simbolo della
Natività, ma poi predicano odio per i migranti, i
diversi. Impediscono alle navi di chi salva vite in mare
di sbarcare e prestare soccorso.
Dall'alto della loro autorità istituzionale
hanno fatto leggi che hanno reso "legale" l'odio, la
discriminazione, e impediscono l'accoglienza, la fraternità e
l'integrazione. Come hanno potuto fare tutto questo in nome del
Vangelo ?? IPOCRITI, appunto.
Per fortuna c'è ancora un Papa coraggioso,
baluardo di quelle parole scritte nel Vangelo e che oggi ci
racconta di una nascita, alla faccia di quegli ipocriti che usano
quello stesso Vangelo per fini politici personali.
Cari italiani, NON siate ipocriti, siate
coraggiosi e liberatevi dei falsi profeti, di coloro che
diffondono paure "ingiustificate", dei CATTIVI "dentro",
di tutti quelli che si fanno scudo dei simboli del Cristianesimo
ma poi se ne fregano di quello che quei simboli rappresentano, Amore,
Speranza, Accoglienza, Integrazione, Coraggio.
Non solo dalla
Nigeria, ora stanno arrivando anche dalla Costa d'Avorio. Nuovo rapporto
OIM. “Spesso già sfruttate in Tunisia e Libia, sono a
rischio di re-trafficking in Italia”. Gli arrivi di donne
ivoriane è aumentato in modo esponenziale, passando dall'8%
al 46%.
Rapporto
OIM, in aumento il numero di ragazze potenzialmente
vittime di tratta
In occasione delle celebrazioni per la Giornata
Europea contro la Tratta, una delle forme di schiavitù
moderna più diffusa del ventunesimo secolo, l’Organizzazione
Internazionale per le Migrazioni (OIM)
pubblica un rapporto su un nuovo fenomeno di sfruttamento
recentemente emerso a seguito dell’analisi dei flussi migratori
lungo la rotta del Mediterraneo Centrale.
Aumento esponenziale
delle donne ivoriane in arrivo con i "barconi"
Un aumento di donne in arrivo dalla Costa d'Avorio
passato nell'ultimo anno dall'8 al 46%. Tutte a grave
rischio sfruttamento. Nel corso dell’ultimo anno l’OIM, presente
nei principali punti di sbarco italiani con diversi team
anti-tratta, ha rilevato un aumento della presenza di ragazze
provenienti dalla Costa d’Avorio. “Abbiamo ragione di credere
che molte di queste ragazze siano purtroppo vittime di tratta a
scopo di sfruttamento lavorativo e a volte anche sessuale”,
spiega Laurence Hart, direttore dell’Ufficio di Coordinamento per
il Mediterraneo dell’OIM. I numeri relativi agli arrivi via mare
dei migranti provenienti dalla Costa d’Avorio rivelano come, a una
riduzione del numero complessivo dei migranti di nazionalità
ivoriana in ingresso in Italia negli ultimi anni, corrisponda il
progressivo aumento della percentuale di donne coinvolte, dall’8%
sul totale dei migranti di questa nazionalità sbarcati nel 2015 al
46% del 2019.
C'è chi paga il
viaggio, ma poi si rivale sfruttando
“Nella maggioranza di casi il Paese di partenza è
la Tunisia, e, dai colloqui che abbiamo avuto con queste giovani
ragazze, pare evidente che ci troviamo di fronte a quello che
può essere definito un fenomeno di re-trafficking”
Sottoposte a "servitù domestica" in Libia o
in Tunisia, maltrattate e private della libertà personale, abusate
dai loro "padroni", vengono vendute ai trafficanti
per essere portate in Italia e sfruttate di nuovo. Il fenomeno del
re-trafficking di ragazze della Costa d'Avorio è paurosamente
aumentato
“Molte, reclutate nel loro paese per lavorare come
domestiche o cameriere, diventano invece vittime di servitù
domestica una volta arrivate in Tunisia o in Libia, dove sono
sottoposte a maltrattamenti, violenze e privazione della libertà
personale, nonché costrette a subire abusi sessuali da parte dei
loro sfruttatori. A questa fase ne segue un’altra, che
prevede un ulteriore sfruttamento in Europa organizzato da
persone che si dicono disposte a farsi carico
dell’organizzazione e dei costi della traversata nel
Mediterraneo, ma che poi hanno intenzione di sfruttare le
vittime una volta giunte in Italia o in altri paesi dell’Unione
Europea”
La liberazione dagli
aguzzini
Dopo lo sbarco in Italia alcune di queste
vittime, consapevoli di poter incorrere in una rinnovata
condizione di sfruttamento, hanno deciso di chiedere aiuto all’OIM
per potersi finalmente liberare dai loro aguzzini. “La scoperta
di questo circuito di sfruttamento dimostra ancora una volta
come dietro ai numeri degli sbarchi ci siano storie molto
drammatiche, di cui spesso si sa troppo poco. Non possiamo fare
a meno di pensare alle ragazze ivoriane morte lo scorso 7
ottobre nel corso del naufragio avvenuto al largo di Lampedusa,
una tragedia che ci riporta alla memoria l’altro drammatico
incidente che nel 2017 causò la morte di 26 ragazze nigeriane,
anche loro probabili vittime di tratta”
In aumento il numero di prostitute-schiave in
Italia
La lunga lotta
anti-tratta
“Occorre fare di più per proteggere questi gruppi
di ragazze vulnerabili, che non solo subiscono una lunga serie
di abusi e violazioni di diritti umani, ma poi si trovano
costrette a rischiare di morire in mare”
“Come OIM ribadiamo la nostra volontà a
continuare a impegnarci nella lotta alla tratta di esseri umani,
promuovendo attività di identificazione e di protezione delle
vittime rafforzando l’esistente stretta collaborazione con
Procure, Forze dell’Ordine, Ministeri e organizzazioni che
lavorano sul territorio”
Open Arms. Se non fosse tragicamente vero si potrebbe anche scherzarci su. Ma purtroppo è tutto tragicamente vero e reale.
È
il classico esempio di come un ministro a mezzo servizio,
che trasuda razzismo e odio da ogni millimetro della sua puzzolente
pelle, metta la "politica" al di sopra di vite umane,
vite sofferenti, vite che hanno subito torture, vite che sono state
stuprate.
Mi
chiedo come l'uomo possa cadere così in basso,
magari solo per una questione di principio.
Non
solo lui, in
verità, c'è la magistratura che non
interviene, ma forse è anche lei manipolata. C'è
il Presidente del Consiglio che, anche se prossimo alle dimissioni,
potrebbe intervenire d'autorità.
C'è
l'Europa che non c'è, ridicolo che per ogni
sbarco si debba "trattare".
Alcuni paesi hanno offerto di accogliere i migranti di quella nave, ma
vogliono che sia l'Italia il paese di "primo approdo", e
noi sappiamo perché.
E
poi c'è la Spagna, oggi offre un "porto sicuro". Ma
noi sappiamo che altri 5 giorni di navigazione sarebbero insopportabili
per gente che è già allo stremo. Sarebbe stata
una cosa fattibile forse 12 giorni fa quando la città di
Barcellona offrì il suo porto alla Open Arms, ma allora
il governo spagnolo non agì.
Insomma, sembra che tutti abbiano paura di
agire, ma paura di chi e di che cosa ??
Forse
paura di Salvini ??Uno
che ce l'ha duro e puro. In realtà solo un
razzista a mezzo servizio, che ancora NON si è
dimesso per paura di perdere la poltrona. Il classico tipo di uomo
forte con i deboli, ma inutile e dimesso con i forti, con i veri
criminali.
Non
ci resta che una brutta figura, una pessima figura di
tutti, ma soprattutto dell'Italia, di
fronte al Mondo.
Non
ci resta che constatare che siamo di fronte ad una palese Violazione dei Diritti
Umani, cose da Corte Penale Internazionale,
e non banalità che la magistratura italiana stenta a vedere,
indecisa se aprire "fascicoli"
inutili oppure no.
Buona
sera pecore, fate
sogni d'oro o voi che vi vantate di avere il crocifisso in tasca e che
avete il coraggio di giurare sul Vangelo, un libro che NON avete mai letto.
Stavo pensando .. a quel fascista ucciso a Roma,
ultras laziale, ne stanno parlando come fosse stato un divo del cinema,
ed invece era solo un delinquente, implicato in loschi affari di droga
e di mafia.
E
ho provato "schifo", cose da vomito, quelle immagini mostrate
in TV di gente che è andata a rendergli omaggio facendo il "saluto fascista".
Ma d'altronde la capitale d'Italia non fa altro che rispecchiarsi
anch'essa in quella puzza di razzismo che sta invadendo tutto il "bel paese"
Ci sono pure le discoteche e i locali
del divertimento estivo dove non lasciano entrare i neri (vedi Chioggia dove una discoteca
è stata chiusa per "razzismo",
meno male che ci sono ancora prefetti coraggiosi) o
autobus dove ai neri è vietato salire. Insomma stiamo arrivando ad
un'apartheid di fatto.
E,
stante ai sondaggi,
un buon terzo di italiani
idioti e senza memoria va ancora dietro al "razzista" per
eccellenza che, spavaldo e arrogante come al solito,
dichiara che adesso che ha mollato gli inutili cinque stelle vorrebbe
prendersi il potere assoluto.
Adesso
resta da vedere se i restanti due terzi di italiania cui un po' di cervello
è rimasto in testa vogliono avere un "Duce"
al governo, tornare al tempo delle leggi razziali, dei campi di
concentramento, della stampa di regime e del carcere per chi osava
dissentire. Oppure
.. ribellarsi e lottare.
Credo
nell'intelligenza degli italiani (ho speranza) ..
mentre una nave, la Open Arms,
con il suo carico umano a bordo è
costretta a vagare fuori dalle acque territoriali italiane
perché il razzismo di stato le vieta per l'ennesima volta di
entrare in portoper dare conforto a quel
carico umano che vorrebbe solo cercare un "Mondo Migliore"
La
capitale sud-sudanese sta diventando un hub di rilievo per il traffico
di migranti, favorito da un radicato sistema di corruzione e dal
disfacimento del sistema legislativo e istituzionale, dopo
più di cinque anni di conflitto civile.
Sud Sudan,
Juba il nuovo centro per il commercio dei migranti
Non
solo il Sudan, crocevia
storico della rotta migratoria dall'Africa orientale, ora
anche Juba
sta diventando un importante hub per il traffico di persone. Lo
sostiene il rapporto “Disarticolare
le finanze di reti criminali responsabili per il contrabbando e il
traffico di esseri umani” (Disrupting
the finances of criminal networks responsible for human smuggling and
trafficking) preparato per
l’organizzazione per lo sviluppo regionale IGAD (Inter-governmental authority on
development) e l’Interpol da un consorzio di
organizzazioni e centri di ricerca universitari (Research and evidence facility)
e finanziato dal Fondo fiduciario europeo di emergenza per
l’Africa (Trust Fund)
che ha
l’obiettivo di regolamentare le migrazioni verso il continente.
Nel
rapporto si afferma
che le reti di trafficanti di esseri umani stanno traendo grande
vantaggio dalla crisi sud sudanese e stanno facendo di Juba un hub per
i loro sporchi affari. A
causa della guerra civile scoppiata nel 2013,
dopo appena due anni e mezzo dall'indipendenza, il corpo legislativo
del paese è rimasto carente in molti settori. Inoltre
è
debolissima la capacità, e la volontà, di far
rispettare
le leggi esistenti, mentre la corruzione tra i funzionari governativi
è rampante.
Per
di più,
la popolazione ha perso gran parte delle fonti di sostentamento, le
reti familiari e sociali di supporto e può contare in modo
molto
limitato sulla protezione delle istituzioni e della legge. Questo genere di
situazione è terreno fertilissimo per i trafficanti che
possono agire quasi indisturbati,
anche perché il prevalere di enormi problemi sociali interni
tende a convogliare tutta l’attenzione delle istituzioni
nazionali ed internazionali.
Secondo
il rapporto
le reti di trafficanti più attive nel paese sono gestite da
somali e pescano tra i migranti presenti, provenienti in grandissima
maggioranza dai paesi del Corno e dell’Africa orientale.
Secondo
stime dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni
risalenti al 2017, i
migranti presenti in Sud Sudan sarebbero 845mila.
Moltissimi di loro sono irregolari.
L’emergere del problema
è testimoniato
anche dal forum tenutosi a Juba l’anno scorso, in occasione
della
giornata internazionale delle migrazioni, il 18 dicembre. La
discussione si è svolta nel quadro di riferimento del Better
migration management programme (Programma per una migliore
gestione della migrazione), pure finanziato dal Trust Fund
europeo e dalla cooperazione tedesca.
In quell'occasione Edmund Yakani,
direttore dell’ong sud sudanese Cepo, ben conosciuta per il
suo lavoro di advocacy, ha detto che il
traffico di esseri umani è un problema reale in Sud Sudan,
ma nessuno ne vuole parlare. E ha aggiunto che è necessario
mettere in campo azioni continue ed efficaci per proteggere le persone
più vulnerabili che più facilmente potrebbero
cadere
nelle mani dei trafficanti.
Ma
il traffico può essere battuto.
E già nel titolo si individua una strada, con ogni
probabilità la strada maestra: intercettare i flussi
finanziari
illegali e con loro i responsabili delle transazioni. Si può
pensare che Juba sia un porto particolarmente sicuro per i trafficanti,
anche perché nel paese corrono fiumi di denaro frutto di
attività illecite.
Basti
pensare alla pervasiva corruzione ma anche alla
facilità con cui si possono riciclare denari sporchi,
investendoli in diversi settori chiave, quale quello immobiliare e del
materiale da costruzione, o dell’importazione, più
o meno
legale, di carburante, tutti saldamente controllati proprio da somali.
Ciao
“fratello”
RAZZISTA.
Vuoi sapere perché i migranti non vogliono essere riportati
in Libia?
Una
lettera forte, cruda, in poche parole fotografa la tragedia e la
sofferenza dei migranti rinchiusi dei "lager"
libici. Un pensiero che
ha colpito tutti e per questo sta facendo il giro del web. Una lettera
scritta dall’attivista Nawal
Soufi che, razzista o no, dovresti leggere anche tu,
imparare a memoria
e aiutarci a diffondere.
Ciao
“fratello” RAZZISTA
Vuoi sapere perchè i
migranti non vogliono essere riportati in Libia?
Ok
Ti risponderò con delle
domande
Ti
è mai capitato di
violentare tua madre perché qualcuno ha il
fucile puntato
contro di te e contro di lei?
Ti
è mai capitato di
violentare tua sorella e di vedere nascere tuo figlio
dalla pancia di
tua sorella?
Sai
quanti figli di scafisti (e di trafficanti di uomini) abbiamo in
Europa?
Cioè, sai quante donne hanno
partorito al loro arrivo dei bambini non voluti?
Sai cosa significa mangiare un pezzo di
pane in 24 ore e vedere un pezzo di formaggino come fosse oro?
Ti
è mai capitato di fare i
tuoi bisogni dentro un secchio e davanti agli occhi di centinaia di
persone?
Ti
è mai capitato di avere
le mestruazioni e non poterti lavare per settimane o mesi?
Ti
è mai capitato di essere
messo all’asta e venduto come uno schiavo nel 2019?
Ti
è mai capitato di nutrire
tuo figlio con thè zuccherato e spacciarlo per latte?
Ti
è mai capitato di essere
picchiato a sangue perchè chiedi l’intervento di
un medico?
Ti
è mai capitato di essere
fucilato per colpa di uno sguardo di troppo?
Ti
è mai capitato di
svegliarti con le urine versate in faccia?
Ti
è capitato che qualcuno
ti aprisse il corpo con un coltello e mettesse subito dopo
del sale per
sentire maggiormente le tue urla?
Per tutti questi motivi, caro razzista,
ti posso classificare tra i criminali che hanno accettato un secondo
Olocausto.
- Nawal
Soufi -
Nawal
Soufi
Nawal
Soufi è una giovane
donna siciliana, nata in Marocco e venuta in Italia quando aveva solo
un mese. Ha salvato
decine di migliaia di persone dalla morte per
annegamento. Il
suo nome in arabo significa “dono”
Che muoiano
pure lì, che tornino indietro, che affoghino, basta che non
arrivino qui
I
grandi promotori del Decreto
Sicurezza,
pensato e voluto per fermare in ogni modo il soccorso in mare, hanno
avuto oggi il loro sacrificio umano: 150 persone, tra donne uomini e
bambini, sono naufragate e affogate al largo di Khoms, a 120 km a est
di Tripoli.
Persone,
non numeri o rifiuti.
Persone
che
tentavano disperatamente di fuggire dall'inferno della Libia, dai campi
di concentramento dove subiscono abusi di ogni tipo, dove devono
assistere agli omicidi, agli stupri, alle torture fatte su madri,
padri, figli.
Il
Governo Italiano ha dunque la
strage
che vuole oggi, a
disposizione, per rappresentare ciò che
costituisce il
vero obiettivo di un Decreto che non riguarda la
sicurezza di nessuno, che non ha a che fare con le urgenze
di questo
paese, che non porterà maggiore ordine e maggiore
stabilità.
Il
Decreto è l'ennesima
triste
pagina di una escalation contro chi osa provare a salvare una vita in
mare. Perché si deve sapere, tutti lo devono
sapere, che
quella gente, quei bambini, possono pure morire tra le onde, possono
marcire in uno stanzone putrido senza cibo e acqua, possono urlare dal
dolore che viene impresso nel loro corpo, ma assolutamente, non
devono
provare ad arrivare in Italia.
Che
muoiano pure lì, che
tornino indietro, che affoghino, basta che non arrivino qui
"Sono calati
gli sbarchi",
dirà
l'epigono contemporaneo della banalità del male. "Niente
più ONG, che sono taxi del mare", lo
seguirà a
ruota il codardo compagno di merende. Ed ecco oggi, dal mare, quelle
grida soffocate che non ascolta nessuno.
Eccoli
i sacrifici umani per voi,
tiranni
che potete permettere la vita e dare la morte.
Inchiniamoci tutti
davanti a questo orribile rituale. Abbassiamo
la testa, che quelle
vittime non possiamo nemmeno guardarle negli occhi. Abbassiamo la
testa, perché non riusciamo a fare abbastanza
di fronte a
questo orrore, ostentato come trofeo ai quattro venti.
Foundation for Africa aderisce
all'appello di Padre Alex Zanotelli. Contro l'arroganza di
Stato, contro le nuove leggi razziali, contro il servilismo del
Movimento Cinque Stelle incapace di essere coerente perfino ai suoi
stessi principi etici e morali. Uniamoci
nella lotta per il rispetto
della Costituzione, per il rispetto dell'Umanità, per la Giustizia.
Diciamo NO a chi in questi giorni, in questi mesi, nell'ultimo anno ha
messo sempre la politica al di sopra dei Diritti Umani e della Vita.
Padre Alex Zanotelli
Gridiamo
Vita
È
come missionario che lancio questo appello contro il Decreto
Sicurezza-bis. Sono vissuto per dodici anni dentro la
baraccopoli di Korogocho, a Nairobi, e ho sperimentato nel mio corpo
l’immensa sofferenza dei baraccati (oggi sono duecento milioni nella
sola Africa). Siamo passati dall’apartheid
politica a quella economica: l’1%
della
popolazione mondiale ha tanto quanto il 99%.
È questa una delle ragioni
fondamentali delle migrazioni, insieme alle guerre e ai cambiamenti
climatici. Per questo, come missionario, denuncio il cinismo con cui il
governo giallo-verde respinge i “naufraghi dello sviluppo”.
Non avrei mai pensato che un governo italiano avrebbe potuto regalarci
un boccone avvelenato come il Decreto
Sicurezza-bis , che il 15 luglio
verrà presentato in parlamento per essere trasformato in
legge. Un Decreto le cui clausole violano i principi fondamentali della
nostra Costituzione, del diritto e dell’etica.
È
proprio l’etica ad essere colpita a morte perché
questo Decreto dichiara reato salvare vite umane in mare.
Ne abbiamo subito visti i vergognosi risultati con la Sea Watch 3 con la
capitana Carola Rackete
e con il veliero Alex
di Mediterranea.
E in commissione Affari costituzionali e Giustizia, la Lega e i Cinque
Stelle hanno ulteriormente peggiorato quel testo con nuovi giri di vite
contro i migranti. Infatti, il Decreto rimaneggiato prevede lo
schieramento delle navi della Marina e della Guardia di Finanza in
difesa del confine delle acque territoriali; l’impiego
massiccio di radar e monitoraggi con mezzi aerei e navali sulle coste
africane per intercettare le partenze di migranti e segnalarle alle
autorità libiche perché li riportino nei lager; il regalo di altre dieci
motovedette al governo di Tripoli per riportare i rifugiati
nell’inferno libico; infine, un incremento delle
multe fino a un milione di euro a navi salva-vite in mare,
con l’arresto del comandante e il sequestro
dell’imbarcazione.
Nessun
accenno al fatto che in Libia è in atto una spaventosa
guerra e che Tripoli non
è “un
porto sicuro”. Questo
Decreto Sicurezza-bis è un obbrobrio giuridico ed etico che
viola i dettami costituzionali ed è uno schiaffo al Vangelo.
«Sono poliche
criminali che provocano ogni giorno decine di migliaia di
morti, oltre all’apartheid mondiale di due miliardi di
persone. Verrà un giorno in cui questi atti saranno
ricordati come crimini e non potremo dire che non sapevamo,
perché sappiamo tutto»
Trovo
vergognoso che i Cinque Stelle si siano allineati e sostengano le
posizioni leghiste. Per questo mi appello a quei
parlamentari grillini che non condividono le posizioni razziste e
criminali della Lega a disobbedire, come hanno fatto la storica
attivista del Meet-up di Napoli, Paola Nugnes, e il comandante Gregorio
De Falco. Non
si può barare su vite umane, nello specifico
vite dei poveri. È
l’ora delle decisioni: se stare dalla parte della vita
o della morte. Ma questo vale per ogni cittadino
perché è in ballo la nostra democrazia e i suoi
valori fondamentali (uguaglianza,
solidarietà, libertà, giustizia, ecc...),
ma vale anche per ogni
cristiano perché è in ballo il cuore del Vangelo.
Per questo uniamoci a “Restiamo Umani”
che ha indetto
un presidio davanti a Montecitorio, il 15 luglio alle ore 16,
per dire no a questo
Decreto criminale. Noi ci saremo come “Digiuno di giustizia in
solidarietà con i migranti”, gruppo
che da un anno, ogni primo mercoledì del mese, digiuna
davanti al parlamento contro
le politiche migratorie del governo giallo-verde. Anche
quel giorno digiuneremo.
Chiedo
a tutte le forze sindacali (Cgil, Cisl e Uil),
a tutto l’associazionismo laico, alle reti, ai comitati di
resistenza, di scendere in piazza. Ma soprattutto mi appello
all’associazionismo cattolico (Azione cattolica, Caritas,
Migrantes, Focolarini, Acli, Focsiv, ecc..)
perché si unisca alle forze laiche per dire no
all’imbarbarimento della nostra società.
Mi
appello ai missionari italianiche hanno toccato con
mano la sofferenza di quest’Africa crocifissa,
perché alzino la voce e scendano in piazza contro leggi
razziste e disumane.
Chiedo
soprattutto ai nostri vescovi di prendere posizione contro questo
Decreto che nega radicalmente l’etica della compassione e
della misericordia, e di proporre alle parrocchie giornate
di digiuno e di preghiera.
Uniamoci, credenti e laici, per
difendere quei valori fondamentali negati da questo Decreto che,
criminalizzando la solidarietà, disumanizza i migranti e
tutti noi
Si rovescia un barcone davanti alle coste tunisine. Con il passare dei giorni l'incidente accaduto la scorsa settimana ha le proporzioni di una tragedia. I morti accertati sono 59, i dispersi 23 e nessuna possibilità di trovare ancora qualcuno in vita.
Con
Salvini calano gli sbarchi ma aumentano i morti in mare. Statistiche
alla mano, uno su cinque partito dalla Libia muore durante la
traversata. Nel 2017 era uno su 20.
Tunisia,
non abbiamo più parole
È salito a 59 il numero
delle vittime accertate del naufragio di una barca carica di migranti
africani affondata il 3
luglio al largo della costa tunisina. Giovedì
le autorità locali hanno recuperato altri 38 corpi, ha fatto sapere Mongi Slim,
capo della Mezzaluna Rossa della provincia meridionale di Medenine, nel
sud del paese.
«I corpi di 36 migranti, tra cui
una donna, sono stati trovati sulla costa di Zarzis, e altri 2 sulla
costa di Djerba», ha precisato
all’agenzia turca Anadolu. A questi si aggiungono i 21 corpi
rinvenuti nei giorni scorsi.
La
barca, partita
dalla vicina Libia, si
è capovolta vicino alla costa meridionale della Tunisia,
nei pressi di Zarzis. «Trasportava
86 persone, tra le quali 7 donne». La guardia costiera
tunisina è riuscita a salvarne solo 4.
Al
momento risultano disperse in mare ancora 23 persone. Complessivamente
nel naufragio sarebbero morte 82 persone. La ricerca
continua lungo la costa meridionale per trovare altri corpi.
Migranti,
con Salvini calano gli sbarchi ma aumentano i morti in mare.
“Numeri mai registrati prima”
Nel 2018 il 19,1% di chi è
partito dalla Libia non ha toccato riva: uno
su cinque. Mentre solo una
persona su dieci partite dalla Libia è riuscito ad arrivare
in Europa: il 70% di loro è stato intercettato e riportato
indietro.
Calano gli sbarchi di migranti sulle coste
italiane, ma aumenta il numero di morti o dispersi. Anzi, non ci sono
mai state così tante persone inghiottite dal Mediterraneo.
Nel 2018 il 19,1% di chi è partito dalla Libia non ha
toccato riva.
Uno
su cinque. “Una
percentuale mai registrata
lungo la rotta del Mediterraneo centrale da quando si dispone di
statistiche sufficientemente accurate”, afferma
l’Ispi, Istituto per gli studi di
politica internazionale,
che ha elaborato un primo bilancio delle politiche di dissuasione dei
salvataggi in mare. Mentre solo un migrante su dieci partiti dalla
Libia è riuscito ad arrivare in Europa. Il 70% di loro
è stato intercettato e riportato indietro.
Sono
"sfollati",
ovvero persone costrette ad abbandonare i luoghi d'origine per le cause
più diverse. Sono "sfollati interni" se questo movimento di
popolo avviene all'interno dello stesso Stato di appartenenza,
"sfollati" o "rifugiati" se le persone in fuga sono costrette ad
attraversare almeno un confine internazionale.
Un
fenomeno in crescente aumento nell'Africa Sub-Sahariana
Ammonta
a 28 milioni di persone il
numero dei nuovi "Internally
Displaced People" (IDPs),
registrati solo
nel 2018. Questi si aggiungono ai 40 milioni registrati
l’anno precedente dall’UNHCR. Si tratta del nucleo
centrale delle migrazioni odierne, che lambisce marginalmente
l’Europa e che rimane invece circoscritto all'area di
conflitto da cui scaturisce o nella sua immediata periferia.
Per
dare una definizione precisa, si
tratta di “persone
o gruppi di persone costrette od obbligate
a fuggire o ad abbandonare le loro case o luoghi di residenza abituale,
in particolare a causa o per evitare gli effetti di conflitti armati,
situazioni di violenza generalizzata, violazioni di diritti umani o
disastri naturali o provocati dall'uomo, e che non hanno attraversato
un confine internazionalmente riconosciuto”
I
disastri naturali, la causa principale
La causa principale del loro status
è data dai disastri
naturali, che ne determinano i due terzi
del totale, mentre la restante parte è composta da chi fugge
da violenze o conflitti armati. Qual'è, quindi, la
differenza sostanziale tra questa categoria e quella più
comunemente conosciuta dei “rifugiati”
Rifugiati
Il rifugiato è, secondo la
Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati “Convenzione
di Ginevra” del 1951, una persona che “nel
giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza,
la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un
determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori
dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per
tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a
chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio
in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore
sopra indicato, non vuole ritornarvi”
Nel
corso degli annila
definizione
è stata modificata e ampliata, facendo
sì che
diventasse centrale il riferimento all'attraversamento di un confine
internazionale. Agli IDPs,
quindi, non viene riconosciuto uno status
speciale dal diritto internazionale: “the term
‘internally
displaced person’ is merely
descriptive” si legge nelle spiegazioni
dell’Alto
commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. Ciò
non significa che rappresentino un fenomeno secondario nel vasto
scenario migratorio odierno, anzi al contrario: basta guardare quale
sia lo Stato con il più alto numero di sfollati interni, le
Filippine, con quasi 4 milioni, dei quali la metà a causa
del tifone Mangkhut, che ha colpito l’arcipelago all'inizio
di settembre dell’anno scorso.
Etiopia
È l’Etiopia ad
avere nel 2018, in proporzione, un numero di persone che fuggono dalle
armi nettamente superiore a quello di chi ha lasciato la propria casa a
causa di disastri: oltre 2,8 milioni contro poco meno di 300 mila
persone.
Attualmente, la cifra complessiva si
aggira intorno ai 2,5 milioni, ma quest’anno si è toccato
il picco, con un’impennata nettissima rispetto al passato e
più che raddoppiando il numero registrato nel 2017.
Ciò è dovuto all’acuirsi degli scontri
nel Paese, in particolare lungo i confini della regione Oromia con la
Southern Nations, Nationalities and Peoples’ (SNNP) a
sud-ovest, la Benishangul-Gumuz a nord-ovest e il Somali National
Regional State (SNRS)
a est.
Diversi scontri, tra gli altri, si sono
verificati nella capitale di quest’ultima, Jijiga, e nella
stessa capitale etiope Addis Abeba. Il conflitto per le risorse e la
violenza etnica hanno provocato 2,9 milioni di nuovi sfollati in
Etiopia nel 2018, più che in qualsiasi altro paese del mondo
e quattro volte il dato del 2017.
Somalia
e Corno d'Africa
Anche
siccità e carestia sono
un fattore chiave nella nascita degli IDPs. soprattutto
lungo il
confine con la Somalia, dove si concentra buona parte della richiesta
di urgenti aiuti umanitari per contrastare la malnutrizione.
Molti somali, dallo scoppio della guerra
civile negli anni ’90 ad oggi, vivono in una situazione di
precaria sostenibilità, causata anche dalla profonda
siccità che devasta regolarmente il Corno
d’Africa. I due fenomeni hanno quasi lo stesso peso sulla
bilancia degli sfollati, come mostrano i dati IDMC: nel solo anno
scorso, 547 mila persone sono state colpite da cause climatiche, a
fronte di altri 578 mila soggetti invece alle violenze. Il totale degli
IDPs ha così raggiunto i 2,6 milioni di persone.
In
Somalia gli scontri regionali, in
particolare tra i jihadisti di al-Shabaab e le forze filo-governative,
uniti alle espulsioni forzate dalle città, hanno portato al
più alto numero di nuovi spostamenti in un decennio. Nel
2014, la Somali Disaster Management Agency (SODMA) ha iniziato
la prima
fase di profiling degli IDPs, iniziando con cinque dei più
grandi insediamenti di sfollati interni a Mogadiscio: Horsed,
Tarabunka, Sigale, Darwish e Bondhere. A quella data, erano circa 50
mila le persone registrate nei campi.
Non
sorprende, quindi, che
lo
spostamento interno sia un fenomeno sempre più urbano.
Conflitti, shock climatici e progetti di sviluppo su larga scala
spingono le persone dalle aree rurali a quelle cittadini, e tali
afflussi presentano grandi sfide per i centri e possono aggravare i
fattori di rischio esistenti. Le persone che sono fuggite dai
combattimenti nella Somalia rurale, ad esempio, affrontano, una volta
arrivati a Mogadiscio, situazioni di povertà estrema,
insicurezza di ruolo e spostamenti forzati da inondazioni e sfratti.
Ecco quindi che gli spostamenti prendono origine anche nelle
città, sia che siano scatenati da conflitti, disastri o
infrastrutture e progetti di rinnovamento urbano.
Sud
Sudan
La
guerra civile in atto dal 2013 ha
provocato un grave stato di insicurezza. Un terzo della
popolazione, 4
milioni di persone hanno abbandonato i luoghi d'origine, sia
perché coinvolti direttamente nel conflitto, ma soprattutto
per l'impossibilità di coltivare le terre e avviare
qualsiasi altro tipo di attività economica come
l'allevamento di bestiame. Un milione e mezzo di persone ha trovato
"rifugio"
in Uganda.
Repubblica
Democratica del Congo
Proseguendo nella lista degli Stati con
il più alto numero di "Internally
Displaced People",
troviamo la Repubblica
Democratica del Congo (RDC).
Qui nel 2018 sono
stati quasi 2 i milioni di sfollati, causati in larga parte dai
conflitti armati. In totale, però, la cifra supera i 3
milioni, poiché decenni di disordini continuano a causare
nuovi spostamenti.
Le
cifre per la Repubblica Democratica
del Congo sono altamente prudenti e non catturano
l’intero
paese, ma si registra un calo rispetto al 2017, quando si sfiorarono i
4,5 milioni. La situazione, però, sembra non conoscere
tregua, nonostante i tentativi della diplomazia italiana e francese di
riportare la pace nella zona, che dall'inizio degli anni ’90
è immersa in continui scontri.
Le elezioni presidenziali tenutesi lo
scorso 30 dicembre non hanno risolto definitivamente il conflitto, che
prosegue nelle provincie del North Kivu, South Kivu, Tanganyika e Kasai
Central, oltre all'emergere di nuovi focolai in quelle di Ituri e
Mai-Ndombe. L’inizio ufficiale delle attività in
loco dell’ISIS e la costante presenza dell’Ebola,
fanno sì che la popolazione civile possa difficilmente
rimanere serena nelle proprie abitazioni. Infatti, chi decide di
abbandonare non solo la propria casa, ma anche il Paese, si dirige
principalmente verso quelli più vicini: in primis
l’Uganda, che compare anche tra i primi cinque Stati al mondo
per numero di rifugiati ospitati.
La stessa Repubblica Democratica del
Congo compare al nono posto della classifica sopracitata (paesi che
ospitano rifugiati di altri paesi). Come abbiamo visto,
infatti, la
differenza sostanziale da un IDP e un rifugiato è
l’attraversamento intenzionale di un confine nazionale.
Questo, nella maggior parte dei casi, si traduce fin da subito con uno
spostamento di persone verso gli Stati limitrofi, anziché
verso quelli più lontani come quelli europei.
Il
caso Nigeria
Dal
2009 è in atto, nelle
regioni nord-orientali del paese, un conflitto contro le
milizie
islamiste di Boko Haram, gruppo integralista islamico. Nel
2015 la
crisi si è aggravata a tal punto che, ad oggi, almeno 2,7
milioni di persone sono state costrette ad abbandonare i luoghi
d'origine. Un terzo di di questi si sono "rifugiati" in
Camerun e in
Niger, il resto è ospitato in campi per "sfollati" nelle
zone più sicure del Paese.
Resta
grave l'emergenza umanitaria nella
zona attorno al Lago Ciad, zona di influenza di Boko
Haram, aggravata
nel 2018 da un lunghissimo periodo di siccità, e dove almeno
20 milioni di persone sono travolte dalla carestia.
Altri
punti di crisi nell'Africa Sub-Sahariana
Oltre ai già citati casi di
"Internally displaced
people" resta grave la situazione nella regione
occidentale dell'Africa Sub-Sahariana, Mali del nord e Burkina Faso,
integralismo islamico, e nella Repubblica
Centrafricana, guerra civile
e violenze.
È
sempre gravissima la
situazione nella regione del Darfure in generale in tutta
la regione
meridionale del Sudan, conflitti armati decennali. Un
situazione che
potrebbe aggravarsi anche alla luce del recente colpo di stato militare
che di recente ha deposto il presidente "genocidiario" Omar al-Bashir
dopo 30 di potere assoluto.
Il Niger
è invece un paese di
passaggio per tutte le migrazioni che dal sud del Sahara si spostano il
Libia in attesa di giungere in Europa.
Nel
mondo, la crisi siriana e il Libano
Il capitolo della questione siriana, e
quindi dei relativi sfollati e rifugiati, merita un’analisi a
sé. Anche perché si specchia con la situazione
sociale del Libano, meta per molti che fuggono dal Paese governato da
Assad ma dove il peso dei propri sfollati interni, risalenti ancora
alla guerra civile libanese (1975-1990), si fa ancora oggi sentire.
In un’indagine compiuta da due
ricercatori dell’Università dell’Arizona
e condotta su oltre 2 mila residenti libanesi, completata nell'estate
2017, oltre un terzo degli intervistati ha dichiarato di essere stato
sfollato durante la guerra civile. Circa il 44% degli intervistati
è stato colpito, esposto a bombardamenti, aggressione fisica
e tortura o rapimento. Anche tra coloro che non hanno subito violenza
diretta, il 70% era a conoscenza di violenze nelle vicinanze del
proprio distretto. Di conseguenza, gli intervistati hanno identificato
una serie di motivi per lasciare le loro case: minacce alla sicurezza,
atti di violenza, situazione economica difficile e mancanza di bisogni
primari.
In modo analogo, molti siriani sono
stati spostati in più posti. Circa il 12% ha dichiarato di
essere stato sfollato in Siria prima di recarsi in Libano. Qui, la
vicinanza geografica e la facilità di attraversamento delle
frontiere consentono alle persone di andare avanti e indietro per
controllare i membri della famiglia e le loro proprietà.
Sempre secondo i dati ottenuti da questo
studio, la durata del dislocamento medio si aggira attorno ai 7 anni,
ma alcuni libanesi non sono tornati a casa per oltre 40 anni, mentre
altri non vi hanno ancora fatto ritorno. Diversi fattori hanno
ritardato o impedito alle persone di tornare a casa:
impossibilità di ricostruire le proprie case, insicurezza,
conflitti religiosi e difficoltà di acclimatamento, ossia
l’adattamento che si attua in risposta a variazioni
dell’ambiente climatico, alla loro nuova locazione.
Per quanto riguarda i rifugiati siriani,
circa il 60% degli intervistati ha espresso il desiderio di tornare a
casa; solo il 18% sostiene di non voler tornare in nessun caso. Sulla
base dell’esperienza libanese, quindi, è probabile
che molti di essi rimarranno sfollati per ancora molti decenni in
futuro. Coloro che ritornano, nel frattempo, dovranno essere sostenuti
al fine di ottenere soluzioni durature nel loro paese di origine. Un
costo che sta lievitando a livello globale, mentre i finanziatori dei
fondi predisposti iniziano a tirarsi indietro: il caso del taglio del
contributo degli USA al bilancio dell’Agenzia delle Nazioni
Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA) potrebbe essere
il primo, importante segnale di un cambio drastico nelle politiche di
cooperazione ai PVS dell’Occidente.
Global
Report on Internal Displacement 2019 -
Download -
Nel
mondo una persona su 110 è costretta alla fuga. 68,5 milioni
i rifugiati nel mondo
Nel rapporto annuale ‘Global
Trends’, l'Unhcr traccia una mappa dei flussi di chi si
lascia alle spalle il passato per un futuro incerto, spesso altrettanto
drammatico. Si scappa soprattutto dai paesi in via di sviluppo. Le
maggiori crisi nella Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan e
Bangladesh.
Il
20 giugno è una data
importante perché si celebra in tutto il mondo la Giornata
del rifugiato. L'appuntamento, fortemente voluto dall'Assemblea
Generale dell'Onu nel 1951, nello stesso giorno in cui l'assemblea
approvò la convenzione di Ginevra, nasce con l'obiettivo di
sensibilizzare l'opinione pubblica su una condizione, spesso oggetto di
campagne diffamatorie e strumentali, che oggi coinvolge ben 68,5
milioni di rifugiati e richiedenti asilo nel mondo. Il numero
più alto dall'approvazione della convenzione di Ginevra a
oggi.
Il rifugiato
è colui che temendo a ragione di essere perseguitato per
motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un
determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova
fuori del Paese di cui è cittadino e non può o
non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di
questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori
del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali
avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di
cui sopra.
[Articolo 1A della Convenzione di
Ginevra del 1951 relativa allo status
dei rifugiati]
La Giornata mondiale del rifugiato
serve a
ricordare a tutti noi, che una casa e una nazione l'abbiamo e che
consideriamo questi diritti scontati e inviolabili, che non applicare
le norme sul diritto d'asilo significa delegittimare la legislazione
internazionale e, in particolare in Italia, disattendere un principio
sancito dalla Costituzione.
In Europa questa mancata
applicazione è alla base della politica dei cosiddetti
"paesi di Visegrad",
che prevedono un blocco dei flussi dei richiedenti
asilo, negando quindi il diritto riconosciuto e sancito a ogni persona
dalla convenzione di Ginevra a chiedere protezione internazionale nei
casi previsti dalla legge.
Un nuovo patto globale per i
rifugiati non è più rinviabile. A renderlo
cruciale sono gli oltre 68 milioni di persone costrette alla fuga a
causa di guerre, violenze e persecuzioni. Nel 2017 questo numero ha
raggiunto un nuovo record per il quinto anno consecutivo.
I motivi sono da riscontrarsi
soprattutto nella crisi nella Repubblica Democratica del Congo, nella
guerra in Sud Sudan e nella fuga in Bangladesh di centinaia di migliaia
di rifugiati rohingya provenienti dal Myanmar. I Paesi maggiormente
colpiti sono per lo più quelli in via di sviluppo.
Nel rapporto annuale ‘Global Trends’,
pubblicato in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato, che cade
oggi 20 giugno, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati
(Unhcr) traccia una mappa dei flussi di uomini, donne e bambini che
abbandonano le proprie case e si lasciano alle spalle il proprio
passato per un futuro incerto, spesso altrettanto drammatico.
Ogni giorno sono costrette a fuggire
44.500 persone, una ogni due secondi. “Siamo a una svolta,
dove il successo nella gestione degli esodi forzati a livello globale
richiede un approccio nuovo e molto più complessivo, per
evitare che Paesi e comunità vengano lasciati soli ad
affrontare tutto questo” dichiara dichiarato Filippo Grandi,
Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
I
dati sui rifugiati
Nel totale dei 68,5 milioni di
persone in fuga sono inclusi anche i 25,4 milioni di rifugiati che
hanno lasciato il proprio Paese a causa di guerre e persecuzioni, 2,9
milioni in più rispetto al 2016. Si tratta
dell’aumento maggiore registrato dall’Unhcr in un
solo anno. Nel frattempo, i richiedenti asilo che al 31 dicembre 2017
erano ancora in attesa della decisione in merito alla loro richiesta di
protezione sono passati da circa 300mila a 3,1 milioni. Sul numero
totale, le persone sfollate all'interno del proprio Paese, invece, sono
40 milioni, poco meno dei 40,3 milioni del 2016.
In pratica il numero di persone
costrette alla fuga nel mondo è quasi pari al numero di
abitanti della Thailandia. Considerando tutte le nazioni nel mondo, una
persona ogni 110 è costretta alla fuga. Il Global Trends non
esamina il contesto globale relativo all'asilo, a cui l’Unhcr
dedica pubblicazioni separate “e che nel 2017 ha continuato a
vedere casi di rimpatri forzati, di politicizzazione e uso dei
rifugiati come capri espiatori, di rifugiati incarcerati o privati
della possibilità di lavorare e di diversi Paesi che si sono
opposti persino all'uso del termine
‘rifugiato’”
La
risposta alla crisi
Papa Francesco ha evidenziato che la
Giornata mondiale dei Rifugiati quest’anno cade nel vivo
delle consultazioni tra i governi per l’adozione di un patto
mondiale “che
si vuole adottare entro l’anno, come quello per una
migrazione sicura, ordinata e regolare”
Secondo l’Alto Commissario
delle Nazioni Unite per i Rifugiati c’è motivo di
sperare: “Quattordici
Paesi stanno già sperimentando un nuovo piano di risposta
alle crisi di rifugiati e, in pochi mesi, sarà pronto un
nuovo Global Compact sui rifugiati e potrà essere adottato
dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite”
“Nessuno diventa un rifugiato
per scelta, ma noi tutti possiamo scegliere come aiutare”
Si
fugge soprattutto dai paesi in via di sviluppo
Il rapporto offre numerosi spunti di
riflessione: l’85% dei rifugiati risiede nei Paesi in via di
sviluppo, molti dei quali versano in condizioni di estrema
povertà e non ricevono un sostegno adeguato ad assistere
quelle popolazioni. Quattro rifugiati su cinque rimangono in Paesi
limitrofi ai loro. Gli esodi di massa oltre confine sono meno frequenti
di quanto si potrebbe pensare guardando il dato dei 68 milioni di
persone costrette alla fuga a livello globale.
“Quasi due terzi di questi sono
infatti sfollati all'interno del proprio Paese. Dei 25.4 milioni di
rifugiati che hanno lasciato il proprio Paese a causa di guerre e
persecuzioni, poco più di un quinto sono palestinesi sotto
la responsabilità dell’Unrwa (l’Agenzia
delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei
rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente). Dei restanti, che rientrano
nel mandato dell’Unhcr, due terzi provengono da soli cinque
Paesi: Siria, Afghanistan, Sud Sudan, Myanmar e Somalia. “La
fine del conflitto in ognuna di queste nazioni potrebbe influenzare in
modo significativo il più ampio quadro dei movimenti forzati
di persone nel mondo”
Il Global Trends offre altri due
dati, forse inattesi: il primo è che la maggior parte dei
rifugiati vive in aree urbane (58%)
e non nei campi o in aree rurali; il secondo è che le
persone costrette alla fuga nel mondo sono giovani, nel 53% dei casi si
tratta di minori, molti dei quali non accompagnati o separati dalle
loro famiglie.
I
paesi ospitanti
Come per il numero di Paesi
caratterizzati da esodi massicci di persone, anche il numero di quelli
che ospitano un elevato numero di rifugiati è relativamente
basso: in termini di numeri assoluti la Turchia è rimasta il
principale Paese ospitante al mondo, con una popolazione di 3.5 milioni
di rifugiati, per lo più siriani. Nel frattempo, il Libano
ha ospitato il maggior numero di persone in rapporto alla sua
popolazione nazionale. Complessivamente, il 63% di tutti i rifugiati di
cui si occupa l’Unhcr si trova in soli 10 Paesi. “Purtroppo le soluzioni a tali
situazioni sono state poche mentre guerre e conflitti hanno continuato
a essere le principali cause di fuga, con progressi assai limitati
verso la pace”
Pochi
quelli che tornano a casa
Circa cinque milioni di persone
hanno potuto tornare alle loro case nel 2017, la maggior parte delle
quali però era sfollata all'interno del proprio Paese. Tra
queste, inoltre, in migliaia sono rientrate in maniera forzata o in
contesti assai precari. A causa del calo dei posti messi a disposizione
dagli Stati per il reinsediamento, sono 100mila i rifugiati che sono
potuti tornare a casa, un numero diminuito di oltre il 40 per cento.
Una sconfitta.
L'UE
e l'immigrazione
Persino l'UE negli ultimi anni ha
disatteso i principi sanciti dalla convenzione di Ginevra, firmando con
la Turchia di Erdogan un accordo finalizzato a bloccare il flusso dal
Medioriente proprio mentre i siriani scappavano dalle bombe della
coalizione internazionale e da quelle di Daesh.
Il fallimento dei governi e delle
istituzioni dell'Unione Europea nello sviluppare una risposta politica
efficace sull'immigrazione alimenta, secondo Human Rights Watch, una
crisi politica senza precedenti.
Lezioni
di umanità dall'Uganda
Una delle crisi umanitarie
più dure al mondo, in ballo ormai da cinque anni, la sta
soffrendo il Sud Sudan, e mentre il vecchio continente chiude le porte,
Medici con l'Africa Cuamm ricorda gli sforzi, silenziosi e imponenti,
che l'Uganda sta mettendo in atto per accogliere oltre 1.000.000 di
rifugiati in fuga dal più giovane Stato del mondo, messo in
ginocchio dagli scontri interni e dalla fame.
"Questa
crisi non è destinata a risolversi in tempi brevi ma ci
insegna che l'accoglienza di chi ha bisogno è possibile,
lavorando già in Africa. In Uganda per esempio negli ultimi
anni oltre un milione di sud sudanesi sono stati accolti in West Nile,
a nord ovest del paese. Lì vive una popolazione di 1.700.000
persone, che pacificamente hanno accolto e continuano ad accogliere chi
più ha bisogno. È una lezione di
umanità"
Sempre a causa delle tensioni
interne, dal 2013 ad oggi si stima che in Sud Sudan 4 milioni di
persone abbiano dovuto abbandonare la propria casa, un terzo dei 12,3
milioni di persone che costituiscono la popolazione. Molti di questi
trovano rifugio all'interno del paese, ospitati dalle
comunità, andando a gravare su un servizio sanitario
già estremamente debole. Altri scappano nei paesi vicini,
Uganda ed Etiopia in primo luogo. Anche in Etiopia Medici con l'Africa
Cuamm interviene a sostegno dei rifugiati e della popolazione che
accoglie, rafforzando il sistema sanitario della regione di Gambella e
gestendo il centro di salute del campo rifugiati di Nguenyyiel.
La
situazione in Italia
In Italia, alla luce del rifiuto del
Governo di permettere a una nave di soccorso di una Ong di attraccare,
la linea dura è sotto gli occhi di tutti e, malgrado alcune
importanti manifestazioni di sensibilizzazione antirazzista, come il
flash mob, organizzato da Caritas Ambrosiana, di due scalatori del
gruppo alpinistico i "Ragni di Lecco" che si sono calati per protesta
dal "Pirellone",
sede del consiglio della Regione Lombardia, il clima di intolleranza
è purtroppo destinato a peggiorare.
Segnali positivi arrivano da
realtà come Refugees Welcome Italia, associazione che
promuove l'accoglienza in famiglia dei rifugiati, che negli ultimi
giorni ha registrato un picco di iscrizioni sulla piattaforma, pari a
oltre l'80%, per un totale di circa 40 nuove famiglie pronte ad aprire
le porte a chi scappa da guerre, persecuzioni e povertà.
Il
dramma dei minori non accompagnati
SOS Villaggi dei Bambini ha lanciato
la campagna "L'impegno a favore dei migranti in Italia e nel mondo",
una road map per accendere i riflettori sui diritti e i bisogni dei
minori che arrivano in Italia e far sì che vengano trattati
e considerati semplicemente come bambini. Nel 2017, l'organizzazione ha
aiutato 266 tra Minori Stranieri Non Accompagnati e giovani richiedenti
asilo, grazie ai Villaggi SOS e ai Programmi di assistenza a Torino e
Crotone.
A preoccupare maggiormente gli
operatori vicende come quella della nave Aquarius, che ha coinvolto 123
bambini, e i casi di detenzione degli oltre duemila minori separati dai
genitori negli Stati Uniti, in attesa di un verdetto sulla
possibilità o meno di restare negli USA.
Il
rapporto Global Trends 2017
È un rapporto statistico
dell'UNHCR, una mappatura globale dei flussi di uomini, donne e bambini
in fuga da guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti umani. Lo
scopo del rapporto in tutto il mondo in occasione della Giornata
Mondiale del Rifugiato, è quello di monitorare gli esodi
forzati sulla base dei dati forniti da governi e altri partner.
Non
viene invece esaminato il contesto globale relativo all'asilo, a cui
l'UNHCR dedica pubblicazioni separate e che nel 2017 ha continuato a
vedere casi di rimpatri forzati, di politicizzazione e uso dei
rifugiati come capri espiatori, di rifugiati incarcerati o privati
della possibilità di lavorare, e diversi paesi che si sono
opposti persino all'uso del termine "rifugiato"