Il
rispetto dei diritti umani in Eritrea
è solo un ricordo che si perde nei tempi. La
lista di
violazioni è lunga e gli esempi recenti non mancano.
Il presidente (e dittatore)
eritreo Isaias Afewerki
L’ultima mossa del regime di Isaias
Afewerki, al
potere dal
1991, è stata quella di ordinare la chiusura
dei centri
sanitari gestiti dalla Chiesa cattolica nel paese, ovvero una
quarantina tra ospedali e scuole in zone rurali che garantiscono
sanità e istruzione alle fette più povere della
popolazione. Ebbene, qualche giorno fa in questi luoghi si sono
presentati militari armati che hanno sfondato porte e cacciato fuori
malati, vecchi e bambini. E
preteso l’esproprio coatto degli
immobili.
Il
29 aprile, quattro vescovi avevano
chiesto di
aprire un dialogo con il governo per cercare una soluzione alla
crescente povertà e mancanza di futuro per il popolo. Mentre
il
13 giugno sono stati arrestati cinque preti ortodossi ultrasettantenni.
Daniela
Kravetz, responsabile dei
rapporti tra
Nazioni Unite e Africa, ha riportato che il 17 maggio «trenta
cristiani sono stati arrestati durante un incontro di preghiera, mentre
qualche giorno prima erano finiti in cella 141 fedeli, tra cui donne e
bambini». L’Onu chiede ora che
«con
urgenza il
Governo eritreo torni a permettere la libera scelta di espressione
religiosa»
Guerra
Eritrea-Etiopia usata come scusa per il servizio militare a tempo
indeterminato
L’ex
colonia italiana ha
ottenuto di fatto
l’indipendenza dall’Etiopia nel 1991, dopo un
conflitto
durato trent’anni. E nonostante la recente
distensione tra
Asmara
e Addis Abeba, la guerra tra le due nazioni continua a singhiozzo lungo
i confini.
Sono ancora i rapporti con la vicina
Etiopia, del
resto, ad essere usati dal dittatore Afewerki per
giustificare
l’imposizione del servizio militare a tempo indeterminato. I
ragazzi, infatti, sono
arruolati verso i 17 anni e il servizio militare
può durare anche trent’anni, con
paghe miserabili
e
strazianti separazioni. Le famiglie si vedono portare via i figli
maschi senza conoscerne la destinazione e i ragazzi spesso non tornano
più.
Le
città sono prevalentemente
abitate da
donne, anziani e bambini.
E
per chi si oppone le
alternative sono la
prigione, se
non la tortura. Uno dei sistemi più usati dai
carcerieri è la cosiddetta Pratica del Gesù,
che
consiste
nell’appendere chi si rifiuta di collaborare, con corde
legate ai
polsi, a due tronchi d’albero, in modo che il corpo assuma la
forma di una croce. A volte restano appesi per giorni, con le guardie
che di tanto in tanto inumidiscono le labbra con l’acqua.
Eritrea,
storia di un popolo a cui è vietato viaggiare
Il
passaporto, che solo i più
cari amici del
regime ottengono una volta raggiunta la maggiore età, per la
popolazione normale è un miraggio. Il prezioso documento
viene
consegnato alle donne quando compiono 40 anni e agli uomini
all’alba dei 50. A quell’età si spera
che ormai
siano passate forza e voglia di lasciare il paese.
Oggi
l’Eritrea è un
inferno dove tutti
spiano tuttti. Un paese sospettoso e nemico di chiunque, diventato
sotto
la guida di Afewerki uno dei regimi più totalitari al mondo,
dove anche parlare al telefono è rischioso.
E
pensare che negli anni ’90,
quando
l’Eritrea si separò dall’Etiopia, era
vista come la
speranza dell’Africa. Un paese attivo, pieno di
potenziale,
che
si era liberato da solo senza chiedere aiuto a nessuno. Il mondo si
aspettava che diventasse la Taiwan del Corno d’Africa, grazie
anche a una cultura economica che gli altri stati se la sognavano.
L’Unione
Europea investe in Etiopia ed Eritrea
L’Unione
europea sta per
erogare 312 milioni di
euro di aiuti al Corno d’Africa per la costruzione di
infrastrutture che consentiranno di far transitare merci
dall’Etiopia al mare, attraversando quindi
l’Eritrea.
Una
decisione su cui ha preso posizione Reportes sans
frontières,
che chiede la sospensione di questo finanziamento ad un paese che, si
legge in una nota, «continua
a violare i diritti umani, la
libertà di espressione e e di informazione e detiene
arbitrariamente, spesso senza sottoporli ad alcun processo, decine di
prigionieri politici, tra cui molti giornalisti»
Cléa
Kahn-Sriber,
responsabile di Reporter
sans frontières in Africa, ha dichiarato essere
«sbalorditivo
che l’Unione europea sostenga il
regime di
Afeweki con tutti questi aiuti senza chiedere nulla in cambio in
materia di diritti umani e libertà d’espressione.
Il
regime ha più giornalisti in carcere di qualsiasi altro
paese
africano. Le condizioni dei diritti umani sono assolutamente
vergognose»
La
Fondazione di difesa dei Diritti
umani per
l’Eritrea con sede in Olanda e composta da
eritrei esiliati
sta
intraprendendo azioni legali contro l’Unione europea. Secondo
la
ricercatrice universitaria eritrea Makeda Saba,
«l’Ue
collaborerà e finanzierà la Red Sea Trading
Corporation,
interamente gestita e posseduta dal governo, società che il
gruppo di monitoraggio dell’Onu su Somalia ed Eritrea
definisce
coinvolta in attività illegali e grigie nel Corno
d’africa, compreso il traffico d’armi, attraverso
una rete
labirintica multinazionale di società, privati e conti
bancari». Un bel pasticcio, insomma.
Pericoloso
lasciare l’Eritrea Il ruolo delle ambasciate
Chi
trova asilo in altre nazioni vive
spiato e
minacciato dai propri connazionali.
Lo ha denunciato Amnesty
International, secondo cui le nazioni dove i difensori dei
diritti
umani eritrei corrono i maggiori rischi sono Kenya, Norvegia, Olanda,
Regno Unito, Svezia e Svizzera. Nel mirino del potere eritreo ora
c’è anche un prete candidato al Nobel per la pace
nel
2015, Mussie Zerai.
«I rappresentanti del
governo eritreo nelle ambasciate impiegano tutte le tattiche per
impaurire chi critica l’amministrazione del presidente
Afewerki, spiano, minacciano di morte. Chi è scappato viene
considerato traditore della patria, sovversivo e terrorista»
|
In
aprile il ministro
dell’Informazione, Yemane
Gebre Meskel, e gli ambasciatori di
Giappone e Kenia hanno scritto su Twitter post minacciosi contro gli
organizzatori e i partecipanti ad una conferenza svoltasi a Londra dal
titolo “Costruire la
democrazia in Eritrea”. Nel
tweet, Meskel ha definito gli organizzatori
«collaborazionisti»
Non
va meglio agli esiliati in Kenya. Nel
2013, a seguito del tentativo di registrare un’organizzazione
della società civile chiamata Diaspora eritrea per
l’Africa orientale, l’ambasciata eritrea ha
immediatamente revocato il passaporto del presidente e co-fondatore,
Hussein Osman Said, organizzandone l’arresto in Sud Sudan.
L’accusa? Partecipare al terrorismo, intento a sabotare il
governo in carica.
Amnesty
chiede quindi «che venga
immediatamente sospeso l’uso delle ambasciate
all’estero per intimidire e reprimere le voci
critiche»
Parlando delle ragioni che hanno scatenato
l’ultimo atto di forza contro gli ospedali, padre Zerai ha
detto che «il
regime si è giustificato facendo
riferimento a una legge del 1995, secondo cui le strutture sociali
strategiche come ospedali e scuole devono essere gestite dallo
stato»
Tuttavia, questa legge non era mai stata
applicata e non si conoscono i motivi per cui all’improvviso
è cominciata la repressione. Padre Zerai la vede
così: «La
Chiesa cattolica eritrea è
indipendente e molto attiva nella società, offre supporto
alle donne, sostegno ai poveri e ai malati di Aids ed è
molto ascoltata». A preoccupare il padre,
e non solo lui,
sono ora «il silenzio
dell’Unione europea e della
comunità internzionale. Siamo davati a crimini gravissimi e
il mondo tace»