Nigeria. “Fabbrica di bambini”, donne violentate per vendere i loro figli

La polizia nigeriana ha liberato 19 ragazze e donne tra i 15 e i 28 anni da alcune abitazioni di Lagos definite 'fabbriche di bambini', dove venivano messe incinte e fatte partorire da un'organizzazione che poi vendeva i neonati. Quattro dei piccoli sono stati presi in consegna dagli agenti, mentre due donne che lavoravano in questi centri come infermiere abusive sono state arrestate, ha aggiunto la polizia, citata dalla Bbc online.

Non è questa la prima vota che vengono scoperte 'fabbriche di bambini' in Nigeria, Paese che è la prima economia africana ma dove la povertà è diffusa, così come il traffico di esseri umani. Lo scorso anno in un altro raid simile furono liberati 160 bambini.

La polizia ha detto che i neonati venivano venduti a 1.400 dollari l'uno se maschi e 830 dollari se femmine. Non è stato precisato se gli acquirenti fossero della Nigeria stessa o di altri Paesi.

News dall'Africa

Nigeria. L’esercito stupra le vittime di Boko Haram

Rapporto Amnesty International. Per contrastare i terroristi Boko Haram nel nordest, l’esercito nigeriano ha fatto terra bruciata, costringendo le popolazioni dei villaggi in appositi campi e nel centro di detenzione militare di Giwa. Dove, documenta l’organizzazione internazionale,  migliaia di donne, molte delle quali già schiavizzate dai jihadisti, hanno subito violenze sistematiche. Sotto accusa i militari e una milizia alleata.

Nigeria, L'esercito stupra le vittime di Boko Haram.

Sopravvissute alle violenze di Boko Haram, ma non per questo al sicuro. In un rapporto pubblicato qualche giorno fa, dal titolo “Ci hanno tradite”, Amnesty International ha denunciato le violenze sistematiche subite da migliaia di donne nigeriane tra il 2015 e il 2016, e in alcuni casi ancora in atto, nei diversi campi in cui erano rifugiate. Nel report si legge che tali crimini sono stati commessi dall’esercito nigeriano e dalla milizia alleata, Task force civile congiunta (Jtf).

Tra la metà del 2015 è la metà del 2016 una serie di operazioni militari dell’esercito nigeriano nello stato di Borno, nordest della Nigeria, ha portato alla riconquista di diversi territori che il gruppo terroristico Boko Haram, fondato nel 2002 da Muhammed Yusuf, aveva occupato a partire dal 2014. In seguito a tali azioni militari migliaia di persone che vivevano in zone rurali vicine sono state costrette a spostarsi nei cosiddetti “campi satellite”, ovvero aree destinate agli sfollati interni istituite dall’esercito nigeriano nelle zone strappate a Boko Haram.

Queste ricollocazioni sono avvenute spesso con l’utilizzo della forza, e in diversi casi le donne sono state divise dai mariti, confinate nei campi satellite e lì costrette a subire violenze e stupri in cambio di cibo. Numerosi anche i casi in cui donne, una volta schiave di Boko Haram, sono state liberate e successivamente imprigionate in centri di detenzione con l’accusa di aver avuto dei legami con il gruppo estremista, e di conseguenza etichettate come «vedove di Boko Haram»

Amnesty documenta questa situazione attraverso foto, video e oltre 250 interviste fatte tra campi per profughi interni e centri di detenzione tra cui la base militare di Giwa, la principale struttura militare di detenzione nello stato di Borno.

Schema consolidato

Così Amnesty è riuscita a ricostruire uno schema seguito dall’esercito nigeriano e dalla Jtf. Nella maggior parte dei casi, i villaggi sono fatti evacuare come azione preventiva nei confronti di possibili attacchi da parte di Boko Haram, diversi anche i casi in cui l’esercito è ricorso ad evacuazioni forzate radendo al suolo o incendiando i villaggi, come documentato da alcune immagini satellitari.

Dopo l’evacuazione gli abitanti dei villaggi sono sottoposti a interrogatorio per accertare possibili legami con il gruppo terroristico. Nella maggior parte dei casi le donne sono separate dai mariti, i quali vengono trasferiti nei centri di detenzione militare senza alcuna accusa e lì picchiati e tenuti in prigionia. Soprattutto nelle città di Bama e Banki, Amnesty ha documentato uno schema d’azione che consiste nella separazione dal resto dei rifugiati della maggior parte degli uomini in età da combattimento (dai 14 e ai 40 anni), confinandoli nella struttura di detenzione militare di Giwa.

Questa sorte riguarderebbe centinaia se non migliaia di uomini, vittime di violenze sommarie. Diverse donne intervistate hanno raccontato di non aver avuto più informazioni sul marito una volta imprigionato. Questa separazione forzata costringe le donne a badare da sole alla famiglia e le espone alle violenze dell’esercito e della milizia.

Decine di donne hanno raccontato di essere state stuprate nei campi satellite da soldati e miliziani della Jtf e di essere state ridotte alla fame per diventare le loro “fidanzate”, ossia essere disponibili a rapporti sessuali a ogni evenienza.

Cinque donne hanno riferito ad Amnesty International di essere state stuprate tra la fine del 2015 e l'inizio del 2016 nel campo Ospedale di Bama. Una di loro, 20 anni: «Ti davano da mangiare di giorno, poi a sera venivano a prenderti. Un giorno un miliziano mi ha portato il cibo e il giorno dopo mi ha invitato ad andare a fare rifornimento d’acqua da lui. Arrivati nel suo alloggiamento, mi ha stuprata. Poi mi ha detto che se volevo viveri avrei dovuto essere sua moglie». Lo sfruttamento sessuale continua ancora adesso, agevolato da un clima di paura. «È scioccante costatare che persone che hanno sofferto tanto a causa di Boko Haram debbano subire altri abusi», ha dichiarato Osai Ojigho, direttrice di Amnesty International Nigeria.

Governo immobile

Nell’agosto 2017 il vicepresidente nigeriano Yemi Osinbajo ha istituito una commissione d’indagine per esaminare la situazione. Molte donne hanno testimoniato dinanzi alla commissione, che nel febbraio 2018 ha trasmesso il rapporto finale al presidente Muhammadu Buhari. Ora il presidente, che spesso ha dichiarato il suo impegno in difesa dei diritti umani, è chiamato a porre fine all’impunità di esercito e milizia.

Anche Amnesty International ha trasmesso le sue conclusioni alle autorità nigeriane, ma finora non ha ricevuto alcuna risposta. Nel frattempo, il ministero della difesa ha accusato Amnesty International di voler destabilizzare il paese e ha esortato «tutti i cittadini rispettosi della legge a continuare a fidarsi e sostenere l’esercito nella guerra in corso contro Boko Haram»

La lotta contro Boko haram ha causato oltre 2,7 milioni di sfollati e migliaia di morti. Nonostante il governo continui a propagandare la sconfitta imminente del gruppo terroristico, il rapporto di Amnesty dimostra che ancora molto rimane da fare per garantire la sicurezza nel nordest del paese.

Eritrea in caduta libera sui diritti umani

L'Eritrea di Isaias Afewerki è oggi uno dei peggiori regimi al mondo. Dove la guerra con l'Etiopia è usata per giustificare un servizio militare a tempo indeterminato. E dove avere un passaporto è quasi un miraggio. Gli ultimi attacchi sono stati rivolti agli ospedali cattolici.

Eritrea, pastori

Il silenzio colpevole dell'Europa

Di fronte alla dura repressione in atto in Eritrea, alla chiusura di ospedali e scuole gestiti da associazioni religiose, di fronte a casi di tortura, e alla costante violazione dei diritti umani, l'Europa tace e, anzi, fa affari con il regime più totalitaio dell'Africa.

Il rispetto dei diritti umani in Eritrea è solo un ricordo che si perde nei tempi. La lista di violazioni è lunga e gli esempi recenti non mancano.

Il presidente (e dittatore) eritreo Isaias Afewerki

L’ultima mossa del regime di Isaias Afewerki, al potere dal 1991, è stata quella di ordinare la chiusura dei centri sanitari gestiti dalla Chiesa cattolica nel paese, ovvero una quarantina tra ospedali e scuole in zone rurali che garantiscono sanità e istruzione alle fette più povere della popolazione. Ebbene, qualche giorno fa in questi luoghi si sono presentati militari armati che hanno sfondato porte e cacciato fuori malati, vecchi e bambini. E preteso l’esproprio coatto degli immobili.

Il 29 aprile, quattro vescovi avevano chiesto di aprire un dialogo con il governo per cercare una soluzione alla crescente povertà e mancanza di futuro per il popolo. Mentre il 13 giugno sono stati arrestati cinque preti ortodossi ultrasettantenni.

Daniela Kravetz, responsabile dei rapporti tra Nazioni Unite e Africa, ha riportato che il 17 maggio «trenta cristiani sono stati arrestati durante un incontro di preghiera, mentre qualche giorno prima erano finiti in cella 141 fedeli, tra cui donne e bambini». L’Onu chiede ora che «con urgenza il Governo eritreo torni a permettere la libera scelta di espressione religiosa»

Guerra Eritrea-Etiopia usata come scusa per il servizio militare a tempo indeterminato

L’ex colonia italiana ha ottenuto di fatto l’indipendenza dall’Etiopia nel 1991, dopo un conflitto durato trent’anni. E nonostante la recente distensione tra Asmara e Addis Abeba, la guerra tra le due nazioni continua a singhiozzo lungo i confini.

Sono ancora i rapporti con la vicina Etiopia, del resto, ad essere usati dal dittatore Afewerki per giustificare l’imposizione del servizio militare a tempo indeterminato. I ragazzi, infatti, sono arruolati verso i 17 anni e il servizio militare può durare anche trent’anni, con paghe miserabili e strazianti separazioni. Le famiglie si vedono portare via i figli maschi senza conoscerne la destinazione e i ragazzi spesso non tornano più.

Le città sono prevalentemente abitate da donne, anziani e bambini.

E per chi si oppone le alternative sono la prigione, se non la tortura. Uno dei sistemi più usati dai carcerieri è la cosiddetta Pratica del Gesù, che consiste nell’appendere chi si rifiuta di collaborare, con corde legate ai polsi, a due tronchi d’albero, in modo che il corpo assuma la forma di una croce. A volte restano appesi per giorni, con le guardie che di tanto in tanto inumidiscono le labbra con l’acqua.

Eritrea, storia di un popolo a cui è vietato viaggiare

Il passaporto, che solo i più cari amici del regime ottengono una volta raggiunta la maggiore età, per la popolazione normale è un miraggio. Il prezioso documento viene consegnato alle donne quando compiono 40 anni e agli uomini all’alba dei 50. A quell’età si spera che ormai siano passate forza e voglia di lasciare il paese.

Oggi l’Eritrea è un inferno dove tutti spiano tuttti. Un paese sospettoso e nemico di chiunque, diventato sotto la guida di Afewerki uno dei regimi più totalitari al mondo, dove anche parlare al telefono è rischioso.

E pensare che negli anni ’90, quando l’Eritrea si separò dall’Etiopia, era vista come la speranza dell’Africa. Un paese attivo, pieno di potenziale, che si era liberato da solo senza chiedere aiuto a nessuno. Il mondo si aspettava che diventasse la Taiwan del Corno d’Africa, grazie anche a una cultura economica che gli altri stati se la sognavano.

L’Unione Europea investe in Etiopia ed Eritrea

L’Unione europea sta per erogare 312 milioni di euro di aiuti al Corno d’Africa per la costruzione di infrastrutture che consentiranno di far transitare merci dall’Etiopia al mare, attraversando quindi l’Eritrea.

Una decisione su cui ha preso posizione Reportes sans frontières, che chiede la sospensione di questo finanziamento ad un paese che, si legge in una nota, «continua a violare i diritti umani, la libertà di espressione e e di informazione e detiene arbitrariamente, spesso senza sottoporli ad alcun processo, decine di prigionieri politici, tra cui molti giornalisti»

Cléa Kahn-Sriber, responsabile di Reporter sans frontières in Africa, ha dichiarato essere «sbalorditivo che l’Unione europea sostenga il regime di Afeweki con tutti questi aiuti senza chiedere nulla in cambio in materia di diritti umani e libertà d’espressione. Il regime ha più giornalisti in carcere di qualsiasi altro paese africano. Le condizioni dei diritti umani sono assolutamente vergognose»

La Fondazione di difesa dei Diritti umani per l’Eritrea con sede in Olanda e composta da eritrei esiliati sta intraprendendo azioni legali contro l’Unione europea. Secondo la ricercatrice universitaria eritrea Makeda Saba, «l’Ue collaborerà e finanzierà la Red Sea Trading Corporation, interamente gestita e posseduta dal governo, società che il gruppo di monitoraggio dell’Onu su Somalia ed Eritrea definisce coinvolta in attività illegali e grigie nel Corno d’africa, compreso il traffico d’armi, attraverso una rete labirintica multinazionale di società, privati e conti bancari». Un bel pasticcio, insomma.

Pericoloso lasciare l’Eritrea Il ruolo delle ambasciate

Chi trova asilo in altre nazioni vive spiato e minacciato dai propri connazionali.

Lo ha denunciato Amnesty International, secondo cui le nazioni dove i difensori dei diritti umani eritrei corrono i maggiori rischi sono Kenya, Norvegia, Olanda, Regno Unito, Svezia e Svizzera. Nel mirino del potere eritreo ora c’è anche un prete candidato al Nobel per la pace nel 2015, Mussie Zerai.

«I rappresentanti del governo eritreo nelle ambasciate impiegano tutte le tattiche per impaurire chi critica l’amministrazione del presidente Afewerki, spiano, minacciano di morte. Chi è scappato viene considerato traditore della patria, sovversivo e terrorista»

In aprile il ministro dell’Informazione, Yemane Gebre Meskel, e gli ambasciatori di Giappone e Kenia hanno scritto su Twitter post minacciosi contro gli organizzatori e i partecipanti ad una conferenza svoltasi a Londra dal titolo “Costruire la democrazia in Eritrea”. Nel tweet, Meskel ha definito gli organizzatori «collaborazionisti»

Non va meglio agli esiliati in Kenya. Nel 2013, a seguito del tentativo di registrare un’organizzazione della società civile chiamata Diaspora eritrea per l’Africa orientale, l’ambasciata eritrea ha immediatamente revocato il passaporto del presidente e co-fondatore, Hussein Osman Said, organizzandone l’arresto in Sud Sudan. L’accusa? Partecipare al terrorismo, intento a sabotare il governo in carica.

Amnesty chiede quindi «che venga immediatamente sospeso l’uso delle ambasciate all’estero per intimidire e reprimere le voci critiche»

Parlando delle ragioni che hanno scatenato l’ultimo atto di forza contro gli ospedali, padre Zerai ha detto che «il regime si è giustificato facendo riferimento a una legge del 1995, secondo cui le strutture sociali strategiche come ospedali e scuole devono essere gestite dallo stato»

Tuttavia, questa legge non era mai stata applicata e non si conoscono i motivi per cui all’improvviso è cominciata la repressione. Padre Zerai la vede così: «La Chiesa cattolica eritrea è indipendente e molto attiva nella società, offre supporto alle donne, sostegno ai poveri e ai malati di Aids ed è molto ascoltata». A preoccupare il padre, e non solo lui, sono ora «il silenzio dell’Unione europea e della comunità internzionale. Siamo davati a crimini gravissimi e il mondo tace»