Burundi, la calma del terrore prima del genocidio

Secondo la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Burundi i fattori che potrebbero portare al genocidio sono stati rilevati, ma se questo ci sarà non si può sapere.

La Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Burundi (COIB) ha dichiarato che il rischio di genocidio nel Paese potrebbe esserci. «Analizzando l’escalation delle violenze dal 2015 ad oggi siamo riusciti ad individuare tutte le atrocità e l’odio razziale, indicatori di un futuro genocidio», «Finora è una crisi politica con elementi etnici», così nelle dichiarazioni rilasciate dai componenti della Commissione, Doudou Diène (Senegal), Lucy Asuagbor (Camerun) e Françoise Hampson (Regno Unito), a margine della pubblicazione del rapporto, lo scorso 4 settembre.

La Commissione è stata creata il 30 settembre 2016 con la risoluzione 33/24 del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, con il mandato di condurre un’indagine approfondita sulle violazioni dei diritti umani e gli abusi commessi in Burundi dall’aprile 2015, per identificare i presunti autori e formulare raccomandazioni. Il rapporto è stato presentato ufficialmente il 17 settembre al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra.

L’Ufficio Prevenzione Genocidi delle Nazioni Unite, dinnanzi a prove inconfutabili di un genocidio, ha il potere di ordinare l’immediato intervento militare offensivo dei Caschi Blu in virtù del principio della Responsabilità di Proteggere i civili. Solo un veto in votazione del Consiglio di Sicurezza può fermare l’intervento. Chi oppone il veto si prende la responsabilità in caso di genocidio avvenuto.

I fattori presi in considerazione dalla Commissione sono diversi. Instabilità politica, crisi economica, il clima di odio etnico, l’impunità per le violazioni dei diritti umani, un sistema giudiziario debole, l’assenza di media indipendenti e della libertà di espressione, la formazione di milizie etniche.

Froncoise Hampson, membro della Commissione, parla di un clima di terrore e paura che da Bujumbura si è esteso nelle campagne. I discorsi inneggianti all’odio razziale, le Imbonerakure (milizia giovanile a sostegno del partito al potere CNDD-FDD), la caccia all’oppositore e le violenze commesse hanno raggiunto dimensioni etniche. «L’analisi e le conclusioni tratte dallo studio sulla situazione attuale in Burundi non può predire se e quando avverrà il genocidio, come, e in quale forma. Può solo allertare che il rischio di genocidio è reale», spiega Hampson. In sostanza: i fattori che potrebbero portare al genocidio sono stati rilevati, non è possibile prevedere se il genocidio scoppierà.

Il rapporto ONU guarda con preoccupazione alle elezioni del 2020

Il rapporto guarda con preoccupazione alle elezioni del 2020 che, recita, «rappresentano un grave rischio», anche in considerazione del fatto che il Governo sta aumentando il controllo sulle organizzazioni non governative e non esisteva un vero sistema multipartitico, poiché la maggior parte dei partiti è stata ‘infiltrata e divisa’. Altresì si ipotizza un possibile restauro della monarchia da parte del Presidente e dittatore Pierre Nkurunziza, «Il tema dell’origine divina del potere del Presidente è sempre più comune nei discorsi ufficiali pronunciati dal Presidente e da sua moglie», afferma il rapporto. È la vicenda del ‘prete-re’ e della revisione della storia del Paese attuata da Nkurunziza quella che viene evidenziata nel rapporto.

Le prime reazioni ufficiali da parte del Burundi vengono da Willy Nyamitwe, che è ritornato in Burundi dopo l’attentato subito nel 2017. «Il Burundi non è più interessato a rispondere a delle bugie e manipolazioni della realtà da parte di alcune potenze occidentali che vogliono destabilizzare il Burundi», arma di difesa consueta quella del complotto neo-coloniale contro gli hutu. A gran voce aveva gridato il dittatore ‘Je me fiche de l’ONU!’ (me ne frego dell’ONU).

Il concetto di genocidio è parte integrante del pensiero politico di Pierre Nkurunziza

Il concetto di genocidio è parte integrante del pensiero politico di Pierre Nkurunziza, formatosi durante la guerra civile e rafforzatosi durante il primo decennio di potere. Nella guerra civile i miliziani del FDD sotto il suo comando trucidavano i civili tutsi per poi scappare all’arrivo dell’Esercito regolare. Fino ad ora Nkurunziza non ha mai espresso opinioni sul genocidio. Però, utilizzando l’eventualità di un simile gesto come arma per impedire un intervento militare della comunità internazionale, indirettamente Nkurunziza ammette tale possibilità.

Nel novembre 2015 il CNDD-FDD ha tentato di innescare il genocidio, fallendo dinanzi alla risposta negativa della maggioranza delle masse contadine hutu. Senza mano d’opera invasata di odio etnico, un genocidio non è possibile. Ora la situazione è cambiata. La mano d’opera è disponibile, gli Imbonerakure.

Ad aggravare la situazione è la presenza del gruppo terroristico Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda (FDLR), responsabili del genocidio del 1994. Da mercenari le FDLR si sono trasformati in partner di Nkurunziza, assumendo progressivamente molto potere e influenza. Il regime, isolato e allo stremo finanziario, lascia libero campo ai miliziani Imbonerakure controllati dalle FDRL. I confini tra regime, Imbonerakure e FDLR sono fin troppo labili. La situazione attuale in Burundi impedisce di determinare con chiarezza chi realmente detiene il potere.

Questa scelta ha creato un pericoloso paradosso. Questi miliziani provenienti dagli strati hutu più poveri sono consapevoli del loro potere, ma non hanno migliorato le loro condizioni di vita. A cosa serve combattere i tutsi se non puoi impossessarti delle loro proprietà? Uccidere un tutsi senza guadagnarci non ha senso. Le pulizie etniche striscianti avvenute dal 2015 ad oggi sono sempre state associate alla razzia dei beni e proprietà delle vittime. È un incentivo per convincere i miliziani Imbonerakure a commettere omicidi su larga scala.

Da un mese varie donne tutsi nei villaggi sono state vittime di stupri etnici inflitti dalle Imbonerakure. Nessuna meraviglia in quanto questi miliziani lo avevano promesso a voce alta nelle prime sfilate del 2017. Lo stupro è stato utilizzato dai miliziani di Nkurunziza come arma etnica nella guerra civile. La donna tutsi stuprata metteva al mondo un hutu che ingrossava le file hutu a danno dei tutsi, secondo la primitiva mentalità di questi miliziani.

Il problema è che la recente ondata di stupri etnici evidenzia una orribile evoluzione dello stupro etnico. Alla vittima non viene riservato il destino di procreare un hutu. Viene uccisa dopo lo stupro. Trattasi di donne con il marito o fratelli precedentemente assassinati o fuggiti. Le proprietà di queste donne uccise vengono distribuite tra i miliziani autori dello stupro e dell’assassinio senza che le autorità si oppongano.

Le Imbonerakure contano circa 30.000 iscritti. Un numero sufficiente per innescare un genocidio dei tutsi. Considerando la possibilità di impossessarsi dei bene e proprietà delle vittime, vari contadini hutu potrebbero unirsi alle Imbonerakure aumentando la capacità genocidaria di questa milizia para militare.

L’unico segnale positivo è che le autorità non hanno ancora chiuso i confini. Lo scorso luglio in Uganda si è registrato un aumento di 861 rifugiati burundesi in più rispetto agli altri mesi. Per la maggioranza sono tutsi. Tutti confermano lo stato di terrore instaurato da Nkurunziza e tutti temono il genocidio.

Dopo la fallita invasione del Rwanda tentata in agosto, Burundi e Rwanda riprendono timidamente gli scambi commerciali, congelati dal 2017. Una distensione inaspettata, visto che il regime di Nkurunziza mantiene le sue ostilità contro Kigali. Una delle due colonne FDLR che avevano invaso il Rwanda lo scorso agosto era entrata dalla foresta di Kibira in Burundi.

La sospensione degli scambi commerciali ha danneggiato maggiormente il Rwanda. Si parla di una perdita secca di 4 milioni di dollari a trimestre. Il Ruwnda principalmente esporta in Burundi cemento, bibite, prodotti alimentari finiti, manufatti. Il Burundi ha perso 1 milioni di dollari a trimestre, ma è stato fortemente penalizzato dalla scarsità di carburante normalmente fornito dal Rwanda. Il Burundi esporta nel Paese gemello solo alimentari e rappresenta il 0,8% delle importazioni regionali del Rwanda.

La riapertura degli scambi commerciali sembra essere stato una scelta obbligata per l’economia rwandese, ma pare destinata a non provocare sostanziali cambiamenti nella politica estera dei rispettivi Paesi nemici

Il Rwanda per Nkurunziza rimane una Nazione ostile che supporta i ribelli burundesi e trama per abbattere un governo ‘democraticamente’, dice lui, eletto. Per Kigali il Burundi rimane un Paese HutuPower che ospita i terroristi ruandesi FDLR (responsabili del genecidio del 1994 in Rwanda). La riapertura degli scambi commerciali è una boccata di ossigeno per la moribonda economia burundese, e il Governo sta sfruttando la decisione per rappresentarla come un primo passo per la normalizzazione dei rapporti con il Rwanda.