Acqua Bene Primario

Senza acqua non c’è salute, né sviluppo

A livello globale, l’accesso all’acqua potabile è aumentato dal 77% del 1990 all’90% del 2012, ma nell’Africa Sub Sahariana solo tre persone su cinque si servono a fonti di acqua potabile vicine o nei pressi della propria abitazone. Per tutte le altre raggiungere un pozzo d’acqua salubre significa percorrere ogni giorno più di un chilometro.

Ancora milioni di bambini privi di acqua potabile e servizi igienici, 1.400 muoiono ogni giorno per la diarrea, dovuta all’acqua contaminata e a scarsa igiene. In Africa il difficile accesso all’acqua e l’inadeguatezza o inesistenza di servizi igienici impatta anche sul diritto all’istruzione, in particolare delle bambine.

Nella regione Sub-Sahariana il compito di raccogliere l’acqua per le proprie famiglie ricade sull’81% delle donne e bambine impedendo a quest’ultime di andare a scuola. La rinuncia all’istruzione alimenta a sua volta una condizione di povertà e disagio sociale, sia personale che collettivo. Un circolo perverso assolutamente da spezzare.

In questa regione migliaia di donne, bambini e bambine percorrono a piedi più di un chilometro ogni giorno per raggiungere un pozzo o una fonte di acqua potabile, indispensabile alla sopravvivenza del villaggio e della famiglia.

Senza acqua non c’è salute, né sviluppo. I danni all’agricoltura sono incalcolabili, il bestiame muore, le lezioni a scuola non si possono svolgere regolarmente.

La mancanza di acqua pulita costa ogni anno all’Africa Sub-Sahariana il 5% del suo PIL ed è legata, direttamente o indirettamente, all’80% delle malattie. Nella regione metà della malattie sono legate all’uso di acqua “sporca” o “contaminata”, e dalla mancanza di servizi igienici adeguati.

Nel mondo .. Su una popolazione di 7 miliardi di persone, 748 milioni non hanno ancora accesso a fonti di acqua salubre e 2,5 miliardi vivono in pessime condizioni igieniche. Fra di essi una quota rilevante è costituita da bambini e ragazzi sotto i 18 anni che non dispongono ancora di forniture sicure di acqua e che vivono senza servizi igienici adeguati.

Oggi sono sono 3 gli Stati, Repubblica Democratica del Congo, Mozambico e Papua Nuova Guinea, nei quali oltre metà della popolazione non ha ancora accesso a fonti adeguate di acqua potabile.

Nonostante i traguardi raggiunti, permangono grandi diseguaglianze. Dei 748 milioni di persone che nel mondo non hanno ancora accesso all’acqua, il 90% vive in aree rurali.

Per i bambini la mancanza di accesso all’acqua può essere tragica. Per donne e bambine c’è un prezzo ulteriore da pagare, il compito di recarsi a raccogliere acqua per la famiglia sottrae infatti enormi quantità di tempo allo studio o alla cura della famiglia. Nelle aree meno sicure, inoltre, donne e bambine sono esposte anche a rischi di violenza.

Per costruire un pozzo d’acqua in Africa, necessario a dissetare dalle 300 alle 500 persone, sono sufficienti soltanto 2-3 mila euro.

Campagne Informative

Foundation for Africa ritiene che sia fondamentale un'opera di sensibilizzazione rispetto a problematiche che spesso vengono sottovalutate e restano in secondo piano. Sottovalutate o addirittura ignorate dai media internazionali, dai governi occidentali, dalle istituzioni nazionali e sovra-nazionali.

Il continente africano, in particolare, vittima delle grandi potenze occidentali per secoli. Prima la deportazione di milioni di uomini e donne resi schiavi nel Nuovo Mondo, poi l'occupazione politica e sociale con la colonizzazione da parte di grandi Paesi europei che hanno imposto confini là dove non c'erano, costretto a convivere popoli tra di loro nemici oppure dividendo popolazioni ed etnìe. I Paesi europei in Africa hanno imposto le loro religioni, le loro lingue, hanno distrutto civiltà e tradizioni millenarie.

Per secoli i Paesi europei hanno rubato all'Africa ricchezze immense, costretto all'ignoranza generazioni di giovani e impedito la crescita di una classe dirigente africana illuminata. I Paesi europei, per la loro sete di ricchezza, hanno provocato guerre, imposto dittatori corrotti, sottomettendo popoli interi.

Oggi il furto delle ricchezze dell'Africa continua attraverso multinazionali occidentali, continua attraverso la massiccia presenza di eserciti stranieri, continua attraverso la corruzione capillare presente a tutti i livelli delle società africane, continua attraverso il controllo di importanti settori economici, e si continua ad impedire un pacifico e stabile sviluppo culturale e civile.

Si continua ad impedire all'Africa di utilizzare le proprie risorse e le proprie ricchezze

E, sempre oggi, sono proprio quegli stessi Paesi europei che per secoli hanno depauperato e impoverito l'Africa, e che continuano a rubare ricchezze all'Africa attraverso multinazionali sempre più ricche, che impediscono l'accoglienza degli africani che semplicemente cercano un "Mondo Migliore" in Europa.

E dopo aver rubato all'Africa di tutto, dopo che l'Europa è diventata ricca anche grazie ad intere generazioni di africani, questa stessa Europa va dicendo

"Aiutiamoli a casa loro"

Migranti e Rifugiati

Nel mondo una persona su 110 è costretta alla fuga. 68,5 milioni i rifugiati nel mondo

Nel rapporto annuale ‘Global Trends’, l'Unhcr traccia una mappa dei flussi di chi si lascia alle spalle il passato per un futuro incerto, spesso altrettanto drammatico. Si scappa soprattutto dai paesi in via di sviluppo. Le maggiori crisi nella Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan e Bangladesh.

Il 20 giugno è una data importante perché si celebra in tutto il mondo la Giornata del rifugiato. L'appuntamento, fortemente voluto dall'Assemblea Generale dell'Onu nel 1951, nello stesso giorno in cui l'assemblea approvò la convenzione di Ginevra, nasce con l'obiettivo di sensibilizzare l'opinione pubblica su una condizione, spesso oggetto di campagne diffamatorie e strumentali, che oggi coinvolge ben 68,5 milioni di rifugiati e richiedenti asilo nel mondo. Il numero più alto dall'approvazione della convenzione di Ginevra a oggi.

Il rifugiato è colui che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra.
[Articolo 1A della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati]

La Giornata mondiale del rifugiato serve a ricordare a tutti noi, che una casa e una nazione l'abbiamo e che consideriamo questi diritti scontati e inviolabili, che non applicare le norme sul diritto d'asilo significa delegittimare la legislazione internazionale e, in particolare in Italia, disattendere un principio sancito dalla Costituzione.

In Europa questa mancata applicazione è alla base della politica dei cosiddetti "paesi di Visegrad", che prevedono un blocco dei flussi dei richiedenti asilo, negando quindi il diritto riconosciuto e sancito a ogni persona dalla convenzione di Ginevra a chiedere protezione internazionale nei casi previsti dalla legge.

Un nuovo patto globale per i rifugiati non è più rinviabile. A renderlo cruciale sono gli oltre 68 milioni di persone costrette alla fuga a causa di guerre, violenze e persecuzioni. Nel 2017 questo numero ha raggiunto un nuovo record per il quinto anno consecutivo.

I motivi sono da riscontrarsi soprattutto nella crisi nella Repubblica Democratica del Congo, nella guerra in Sud Sudan e nella fuga in Bangladesh di centinaia di migliaia di rifugiati rohingya provenienti dal Myanmar. I Paesi maggiormente colpiti sono per lo più quelli in via di sviluppo.

Nel rapporto annuale ‘Global Trends’, pubblicato in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato, che cade oggi 20 giugno, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) traccia una mappa dei flussi di uomini, donne e bambini che abbandonano le proprie case e si lasciano alle spalle il proprio passato per un futuro incerto, spesso altrettanto drammatico.

Ogni giorno sono costrette a fuggire 44.500 persone, una ogni due secondi. “Siamo a una svolta, dove il successo nella gestione degli esodi forzati a livello globale richiede un approccio nuovo e molto più complessivo, per evitare che Paesi e comunità vengano lasciati soli ad affrontare tutto questo” dichiara dichiarato Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

I dati sui rifugiati

Nel totale dei 68,5 milioni di persone in fuga sono inclusi anche i 25,4 milioni di rifugiati che hanno lasciato il proprio Paese a causa di guerre e persecuzioni, 2,9 milioni in più rispetto al 2016. Si tratta dell’aumento maggiore registrato dall’Unhcr in un solo anno. Nel frattempo, i richiedenti asilo che al 31 dicembre 2017 erano ancora in attesa della decisione in merito alla loro richiesta di protezione sono passati da circa 300mila a 3,1 milioni. Sul numero totale, le persone sfollate all'interno del proprio Paese, invece, sono 40 milioni, poco meno dei 40,3 milioni del 2016.

In pratica il numero di persone costrette alla fuga nel mondo è quasi pari al numero di abitanti della Thailandia. Considerando tutte le nazioni nel mondo, una persona ogni 110 è costretta alla fuga. Il Global Trends non esamina il contesto globale relativo all'asilo, a cui l’Unhcr dedica pubblicazioni separate “e che nel 2017 ha continuato a vedere casi di rimpatri forzati, di politicizzazione e uso dei rifugiati come capri espiatori, di rifugiati incarcerati o privati della possibilità di lavorare e di diversi Paesi che si sono opposti persino all'uso del termine ‘rifugiato

La risposta alla crisi

Papa Francesco ha evidenziato che la Giornata mondiale dei Rifugiati quest’anno cade nel vivo delle consultazioni tra i governi per l’adozione di un patto mondiale “che si vuole adottare entro l’anno, come quello per una migrazione sicura, ordinata e regolare

Secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati c’è motivo di sperare: “Quattordici Paesi stanno già sperimentando un nuovo piano di risposta alle crisi di rifugiati e, in pochi mesi, sarà pronto un nuovo Global Compact sui rifugiati e potrà essere adottato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite

“Nessuno diventa un rifugiato per scelta, ma noi tutti possiamo scegliere come aiutare”

Si fugge soprattutto dai paesi in via di sviluppo

Il rapporto offre numerosi spunti di riflessione: l’85% dei rifugiati risiede nei Paesi in via di sviluppo, molti dei quali versano in condizioni di estrema povertà e non ricevono un sostegno adeguato ad assistere quelle popolazioni. Quattro rifugiati su cinque rimangono in Paesi limitrofi ai loro. Gli esodi di massa oltre confine sono meno frequenti di quanto si potrebbe pensare guardando il dato dei 68 milioni di persone costrette alla fuga a livello globale.

Quasi due terzi di questi sono infatti sfollati all'interno del proprio Paese. Dei 25.4 milioni di rifugiati che hanno lasciato il proprio Paese a causa di guerre e persecuzioni, poco più di un quinto sono palestinesi sotto la responsabilità dell’Unrwa (l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente). Dei restanti, che rientrano nel mandato dell’Unhcr, due terzi provengono da soli cinque Paesi: Siria, Afghanistan, Sud Sudan, Myanmar e Somalia. “La fine del conflitto in ognuna di queste nazioni potrebbe influenzare in modo significativo il più ampio quadro dei movimenti forzati di persone nel mondo

Il Global Trends offre altri due dati, forse inattesi: il primo è che la maggior parte dei rifugiati vive in aree urbane (58%) e non nei campi o in aree rurali; il secondo è che le persone costrette alla fuga nel mondo sono giovani, nel 53% dei casi si tratta di minori, molti dei quali non accompagnati o separati dalle loro famiglie.

I paesi ospitanti

Come per il numero di Paesi caratterizzati da esodi massicci di persone, anche il numero di quelli che ospitano un elevato numero di rifugiati è relativamente basso: in termini di numeri assoluti la Turchia è rimasta il principale Paese ospitante al mondo, con una popolazione di 3.5 milioni di rifugiati, per lo più siriani. Nel frattempo, il Libano ha ospitato il maggior numero di persone in rapporto alla sua popolazione nazionale. Complessivamente, il 63% di tutti i rifugiati di cui si occupa l’Unhcr si trova in soli 10 Paesi. “Purtroppo le soluzioni a tali situazioni sono state poche mentre guerre e conflitti hanno continuato a essere le principali cause di fuga, con progressi assai limitati verso la pace

Pochi quelli che tornano a casa

Circa cinque milioni di persone hanno potuto tornare alle loro case nel 2017, la maggior parte delle quali però era sfollata all'interno del proprio Paese. Tra queste, inoltre, in migliaia sono rientrate in maniera forzata o in contesti assai precari. A causa del calo dei posti messi a disposizione dagli Stati per il reinsediamento, sono 100mila i rifugiati che sono potuti tornare a casa, un numero diminuito di oltre il 40 per cento. Una sconfitta.

L'UE e l'immigrazione

Persino l'UE negli ultimi anni ha disatteso i principi sanciti dalla convenzione di Ginevra, firmando con la Turchia di Erdogan un accordo finalizzato a bloccare il flusso dal Medioriente proprio mentre i siriani scappavano dalle bombe della coalizione internazionale e da quelle di Daesh.

Il fallimento dei governi e delle istituzioni dell'Unione Europea nello sviluppare una risposta politica efficace sull'immigrazione alimenta, secondo Human Rights Watch, una crisi politica senza precedenti.

Lezioni di umanità dall'Uganda

Una delle crisi umanitarie più dure al mondo, in ballo ormai da cinque anni, la sta soffrendo il Sud Sudan, e mentre il vecchio continente chiude le porte, Medici con l'Africa Cuamm ricorda gli sforzi, silenziosi e imponenti, che l'Uganda sta mettendo in atto per accogliere oltre 1.000.000 di rifugiati in fuga dal più giovane Stato del mondo, messo in ginocchio dagli scontri interni e dalla fame.

"Questa crisi non è destinata a risolversi in tempi brevi ma ci insegna che l'accoglienza di chi ha bisogno è possibile, lavorando già in Africa. In Uganda per esempio negli ultimi anni oltre un milione di sud sudanesi sono stati accolti in West Nile, a nord ovest del paese. Lì vive una popolazione di 1.700.000 persone, che pacificamente hanno accolto e continuano ad accogliere chi più ha bisogno. È una lezione di umanità"

Sempre a causa delle tensioni interne, dal 2013 ad oggi si stima che in Sud Sudan 4 milioni di persone abbiano dovuto abbandonare la propria casa, un terzo dei 12,3 milioni di persone che costituiscono la popolazione. Molti di questi trovano rifugio all'interno del paese, ospitati dalle comunità, andando a gravare su un servizio sanitario già estremamente debole. Altri scappano nei paesi vicini, Uganda ed Etiopia in primo luogo. Anche in Etiopia Medici con l'Africa Cuamm interviene a sostegno dei rifugiati e della popolazione che accoglie, rafforzando il sistema sanitario della regione di Gambella e gestendo il centro di salute del campo rifugiati di Nguenyyiel.

La situazione in Italia

In Italia, alla luce del rifiuto del Governo di permettere a una nave di soccorso di una Ong di attraccare, la linea dura è sotto gli occhi di tutti e, malgrado alcune importanti manifestazioni di sensibilizzazione antirazzista, come il flash mob, organizzato da Caritas Ambrosiana, di due scalatori del gruppo alpinistico i "Ragni di Lecco" che si sono calati per protesta dal "Pirellone", sede del consiglio della Regione Lombardia, il clima di intolleranza è purtroppo destinato a peggiorare.

Segnali positivi arrivano da realtà come Refugees Welcome Italia, associazione che promuove l'accoglienza in famiglia dei rifugiati, che negli ultimi giorni ha registrato un picco di iscrizioni sulla piattaforma, pari a oltre l'80%, per un totale di circa 40 nuove famiglie pronte ad aprire le porte a chi scappa da guerre, persecuzioni e povertà.

Il dramma dei minori non accompagnati

SOS Villaggi dei Bambini ha lanciato la campagna "L'impegno a favore dei migranti in Italia e nel mondo", una road map per accendere i riflettori sui diritti e i bisogni dei minori che arrivano in Italia e far sì che vengano trattati e considerati semplicemente come bambini. Nel 2017, l'organizzazione ha aiutato 266 tra Minori Stranieri Non Accompagnati e giovani richiedenti asilo, grazie ai Villaggi SOS e ai Programmi di assistenza a Torino e Crotone.

A preoccupare maggiormente gli operatori vicende come quella della nave Aquarius, che ha coinvolto 123 bambini, e i casi di detenzione degli oltre duemila minori separati dai genitori negli Stati Uniti, in attesa di un verdetto sulla possibilità o meno di restare negli USA.

Il rapporto Global Trends 2017

È un rapporto statistico dell'UNHCR, una mappatura globale dei flussi di uomini, donne e bambini in fuga da guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti umani. Lo scopo del rapporto in tutto il mondo in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, è quello di monitorare gli esodi forzati sulla base dei dati forniti da governi e altri partner.

Non viene invece esaminato il contesto globale relativo all'asilo, a cui l'UNHCR dedica pubblicazioni separate e che nel 2017 ha continuato a vedere casi di rimpatri forzati, di politicizzazione e uso dei rifugiati come capri espiatori, di rifugiati incarcerati o privati della possibilità di lavorare, e diversi paesi che si sono opposti persino all'uso del termine "rifugiato"

Violenza Donne

Troppe volte e per troppo tempo alla donna è stata associata l'idea sbagliata della sprovveduta, dell'ingenua e della vittima sacrificale

La violenza è il tuo nemico

Troppe volte e per troppo tempo alla donna è stata associata l'idea sbagliata della sprovveduta, dell'ingenua e della vittima di chi vuole solo approfittarsi di lei.

È accaduto, accadono questi fatti e purtroppo anche oggi molto spesso. Ma si deve dire basta, alle illusioni e alle belle parole devono seguire reali dimostrazioni. È finito il tempo dell'incanto, è giunto il momento della liberazione.

Non solo il femminicidio, che è solo la punta di un iceberg gigantesco che comprende anche reati odiosi che passano in secondo ordine, relegati o addirittura ignorati dalle cronache, o troppo spesso non denunciati: maltrattamenti domestici, mobbing sul lavoro, stalking, violenza sessuale, stupri, ecc..

In molti luoghi del mondo inoltre la donna è vittima della stessa società, della cultura e dell'ignoranza che "tollera" reati contro la donna odiosi, perché in quanto donna è considerata un essere "inferiore".

Tratta di esseri umani, sfruttamento lavorativo, schiavitù sessuale, violenze e stupri di massa, bigamia e sottomissione al marito, matrimoni combinati e precoci, mutilazioni genitali, bambine soldato, mortalità per problematiche legate alla gravidanza o al parto, ecc..

Giornata Mondiale contro la violenza sulle Donne, ecco perché si celebra il 25 novembre

Il 25 novembre ricorre la Giornata Mondiale contro la violenza sulle Donne, ricorrenza istituita il 17 dicembre 1999 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134. La data è stata scelta come giorno della ricorrenza in cui celebrare attività a sostegno delle donne, sempre più vittime di violenze, molestie, fenomeni di stalking e aggressioni tra le mura domestiche. Il 25 novembre non è una data casuale: quel giorno infatti, correva l’anno 1960, furono uccise le sorelle Mirabal, attiviste politiche della Repubblica Dominicana.

Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Il caso Mirabal

Il brutale assassinio delle tre sorelle Mirabal fu fortemente sentito dall'opinione pubblica. Le tre donne sono considerate ancora oggi delle rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo (1930-1961), il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell'arretratezza e nel caos.

Il 25 novembre del 1960 le tre donne si recarono a far visita ai loro mariti in carcere quando furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare che le portarono in un luogo nascosto. Qui furono torturate, stuprate, massacrate a colpi di bastone e strangolate a bordo della loro auto.

La storia delle sorelle Mirabal: bibliografia e filmografia

L’unica sopravvissuta fu la quarta delle sorelle Mirabal, Belgica Adele, che dedicò la sua vita a onorare il ricordo delle tre donne. Pubblicò successivamente un libro di memorie: Vivas in su jardin.

Le sorelle Mirabal sono conosciute anche con il nome “Mariposas”, poiché simili a delle farfalle in cerca di libertà. La loro storia venne raccontata anche dall’opera della scrittrice dominicana Julia Alvarez, Il tempo delle farfalle, in Italia edito da Giunti. Esistono anche due film che raccontano la loro biografia “In the Time of Butterflies” (2004) e “Trópico de Sangre” (2010).

No al Razzismo

"Odio intensamente le discriminazioni razziali in ogni loro manifestazione"
(Nelson Mandela)

Le discriminazioni su base etnica, religiosa o verso minoranze, o verso gruppi politici, sono purtroppo sempre presenti. Ancora oggi nel Mondo sono decine di milioni le persone, le popolazioni e gruppi discriminati a causa del colore della loro pelle, della loro religione, del fatto di essere minoritari nel loro ambito socio-culturale.

Il razzismo è presente anche nel web e nei social network. Su facebook proliferano moltissimi gruppi che si proclamano esplicitamente "razzisti", altri che sono palesemente discriminatori verso persone di colore, verso gli immigrati, verso questa o quella religione.

Abbiamo più volte denunciato il fatto che, proprio su facebook, in nome della libertà di espressione e di pensiero, molti gruppi "razzisti" vengono quantomeno "tollerati".

Nel Mondo, secondo una recente statistica che ha monitorato per alcuni anni in 87 Paesi il grado di "intolleranza" della popolazione verso le diversità etniche e religiose, ha elaborato una classifica dalla quale risulta che la maglia nera va ad Hong Kong, India e Bangladesh, mentre i più "tolleranti" sono gli Usa, la Gran Bretagna e il Canada.

L'Italia è classificata come Paese "non razzista" anche se nell'ultimo anno (2018-2019) gli atti discriminatori e di intolleranza verso gli immigrati e le persone di colore sono decisamente aumentate. Tra tutti i paesi europei quello più intollerante risulta essere la Francia.

Le discriminazioni non si misurano solo con le statistiche o con i sondaggi, ma si vedono anche nelle piccole cose quotidiane, nella vita di tutti i giorni, nei gesti, negli sguardi delle persone che ci circondano.

In Italia, l'Ufficio Nazionale Anti-discriminazioni Razziali del Ministero dell'Interno (UNAR) del Dipartimento delle Pari Opportunità, ogni anno elabora un "Dossier Statistico" in base alle segnalazioni ricevute.

I casi di discriminazione segnalati vengono poi sddivisi in base a tipologie su base etnico-razziale (oltre il 60% delle segnalazioni), nei contesti di vita pubblica (20% circa), accesso al lavoro e ai servizi pubblici (meno del 10% delle segnalazioni), altre minori come l'accesso alla casa, in ambito scolastico, e discriminazioni delle forze dell'ordine.

Odio intensamente le discriminazioni razziali, in ogni loro manifestazione. Le ho combattute tutta la mia vita, le continuo a combattere e lo farò fino alla fine dei miei giorni

(Melson Mandela)

NEGRA, video per denunciare il razzismo subdolo. Brano autobiografico che parla delle difficoltà di tutti coloro che hanno un colore della pelle diverso in Italia. Lei è Cecile, una "negra" di 21 anni nata a Roma. (Brano presentato al festival di Sanremo 2016)

"Ma quando mi vedi nuda vado bene anche sono NEGRA"

Africa Libera

Via dall'Africa chi sfrutta l'Africa

Contro chi ci chiude i porti in faccia e sequestra le navi di chi salva i nostri figli.
Africa Libera

Prima ci avete "rubato" i nostri giovani e le nostre ragazze, e ci avete venduti come schiavi nel "Nuovo Mondo".

Poi siete venuti da noi e ci avete "sottomessi" imponendoci le vostre leggi, le vostre religioni, le vostre lingue, e ci avete sfruttati portando via le nostre ricchezze (colonialismo). Ci avete messi gli uni contro gli altri per i vostri interessi economici e politici.

Avete creato e finanziato guerre e massacri, avete corrotto i nostri governi per mandarci le vostre multinazionali a rubare ancora le nostre ricchezze, i nostri diamanti, i nostri minerali preziosi, il nostro petrolio, rubate le nostre terre, inquinate i nostri fiumi e la nostra natura, distruggete le nostre foreste e uccidete la nostra preziosa fauna selvatica.

Per la vostra sete di ricchezza avete ucciso i nostri figli, le nostre donne, i nostri ragazzi. Ma ora diciamo basta.

  • Non ne possiamo più di vedere i nostri figli e figlie trattati come zimbello dei paesi che fino a ieri hanno fatto man bassa delle nostre materie prime.
  • Non ne possiamo più di vedere i nostri figli e figlie essere cibo per i pesci del "Mare Nostrum".
  • Non ne possiamo più di vedere morire di fame i nostri figli perché il già ricco occidente "depreda" le nostre ricchezze, inquina i nostri terreni agricoli e le nostre acque.
  • Non ne possiamo più di questa Europa che prima ci ha reso schiavi e ora ci sfrutta, ma che continua a respingerci, a chiudere i porti, a sequestrare le navi che salvano dalla morte i nostri figli.

Via dall'Africa le multinazionali straniere che rubano all'Africa
Via dall'Africa le multinazionali straniere che sfruttano l'Africa
Via dall'Africa chi non ci rispetta, nessuno dovrà mai più rubare la nostra dignità

Africa Libera

Franco CFA. Il paradosso africano della moneta forte in un'economia debole, il neocolonialismo finanziario francese ai danni dei paesi francofoni dell'Africa sub sahariana.

Maris Davis History

(Biografia)

La
Storia di Maris che fu schiava sessuale per nove anni, prima in Italia
e poi in Spagna

Maris
Davis
e la
sua storia personale
, vittima
di tratta e di schiavitù sessuale tra il 1995 e il 2003
,
prima in Italia e poi in Spagna. Fondatrice di Friends of Africa,
autrice di testi e articoli sull’Africa e sempre in prima linea nella
lotta alla Mafia Nigeriana

Freetown 1974, Maris nasce durante una guerra

Maris Davis
Joseph
, a cui è dedicata la nostra
Fondazione è nata a Freetown
(città
fondata da
ex-schiavi
) in Sierra Leone da genitori nigeriani
il 2 luglio 1974
(originale
del certificato di
nascita
). Il papà, militare
dell’esercito
nigeriano, fu trasferito in Sierra Leone al tempo della rivoluzione che
insaguinava quel Paese, in appoggio all’esercito governativo (la così detta Guerra
dei diamanti degli anni settanta
). Si può ben
dire che Maris nacque nel bel mezzo di una guerra, i genitori
ritornarono in Nigeria quasi subito dopo la sua
nascita e si
stabilirono in un villaggio intorno alla città di Benin City.

Il
papà aveva due mogli (la
bigamìa è consentita anche adesso
),
come molti
altri uomini in Nigeria. Famiglia povera, ma non poverissima, lo
stipendio di militare dell’esercito del babbo permetteva il
sostentamento. Maris era la maggiore dei 4 figli di sua mamma, poi
c’erano altri 5 fratelli e sorelle dell’altra moglie.

Benin City, la nonna e gli studi

Maris
però trascorse la sua
gioventù nella città di Benin City dalla
nonna,
che rimasta vedova, la accolse come una figlia e la fece studiare,
evento molto raro nella Nigeria dell’epoca perché le ragazze
erano discriminate nello studio a favore dei maschi, e un po’ lo sono
anche adesso. La nonna,
donna molto forte e determinata, viveva
commerciando frutta e verdura
, plasmò il
carattere di Maris
tant’è che anch’essa divenne una bravissima venditrice,
determinata e forte. Carattere che l’aiutò molto quando fu
costretta, prima in Italia e poi in Spagna, ad affrontare eventi
davvero terribili.

Conseguito il diploma, come tante sue
coetanee divenne una delle decine di migliaia di vittime della
tratta“,
forse venduta dal suo stesso papà che comunque la
incoraggiò a venire in Italia. Un traffico di ragazze, molto
attivo ancor oggi, giovani ragazze che dalla Nigeria partono con la
speranza di trovare in Europa un lavoro onesto ed invece diventano
schiave nelle mani della mafia nigeriana.

Erano
gli anni 1994 e 1995
, e da qui in
poi è Maris stessa che ha raccontato quello che le accaduto
prima in Italia e poi in Spagna, fino al suo definitivo rientro in
Italia nel 2006. Un’autobiografia che denuncia la sua condizione di
schiava
sessuale
” e pubblicata (in italiano)
nell’agosto del 2010
durante il suo primo viaggio a Toronto (Canada).

Aprile 1995.
L’arrivo in Italia

Prima città Torino, e quei
signori eleganti mi presero a forza e, alla presenza della mia prima
“mamam”, mi violentarono ripetutamente, per tre giorni di seguito, mi
dissero che dovevo imparare il mestiere. Non avevo ancora compiuto i
miei 21 anni.

Parlo
di
me (Senza Paura)

Breve
Autobiografia scritta da lei stessa

Edizione
2017
ampliata e arricchita con nuovi documenti e
testimonianze

Edizione
2017

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Settembre
2003. Finalmente libera

Era
quasi la fine di Settembre del 2003
, e quella “maledetta” estate
era finalmente terminata. In quella malefica stanza di una delle tante
cittadine che stanno intorno a Madrid, i miei “carcerieri” non
avevano nessuna pietà di me, anche se stavo male, anche se
ero l’ombra di me stessa e ormai magrissima, senza speranza e senza
contatti con la mia famiglia ormai da più di un anno e
mezzo, ma loro continuavano a tenermi “segregata” in
quella stanza buia, dove ogni tanto arrivava qualche “cliente
a cui, anche se piangendo e piena di vergogna, dovevo soddisfare le sue
stronze
voglie di sesso. Pregavo,
pregavo in continuazione,
chiedevo a Dio di farmi
morire
, volevo
davvero morire
.

11-M Marid,
Atocha 11 marzo 2004. Io c’ero

Scampa
agli attentati di matrice islamica che a Madrid provocano quasi 200
morti e più di duemila feriti
. Un episodio che
ricordò lei stessa in un articolo apparso nel suo blog a
dieci anni da quei fatti.

Agosto 2004

Dopo
5 anni rivede quello che sarà il suo futuro marito
,
Florindo,
un friulano che aveva conosciuto a Udine poco prima del suo rapimento
nel 1999 e adesso arrivato in Spagna proprio per aiutare Maris ad
uscire da una situazione davvero difficile. Florindo sarà il
tramite tra Maris e il consolato italiano di Madrid
sia per recuperare i
documenti ma anche per ridare a Maris la necessaria
tranquillità economica e psicologica dopo la terribile
esperienza vissuta
.

Maris diventa collaboratrice di giustizia

Per due anni è costretta a vivere in regime di semi-protezione.

Maris
denuncia i suoi rapitori e i suoi sfruttatori
. Le
autorità di polizia spagnole, in collaborazione con quelle
italiane, dopo alcuni mesi dalle denunce di Maris, e dopo indagini
accurate arrestano alcuni nigeriani che operano tra Italia e Spagna, ma
non coloro che l’avevano tenuto prigioniera e l’avevano sfruttata. Si
accerterà in seguito che erano rientrati in Nigeria.

In
ottobre si trasferisce in nuova abitazione a Parla
, una cittadina
a 20 chilometri a sud di Madrid. È una soluzione per
proteggere Maris dalla mafia nigeriana e per prevenire altri atti di
vendetta nei suoi confronti.

Estate 2005

Maris
si ammala gravemente
, le
viene diagnosticato un cancro alle ovaie mai curato e per questo in uno
stato avanzato
. Subisce
una delicata operazione all’utero che le impedirà
per sempre di diventare mamma
.
Nel frattempo prosegue la collaborazione con le autorità
spagnole e il consolato italiano per la ricostruzione della sua vicenda
personale, l’acquisizione dei documenti personali e la denuncia ai suoi
ex-sfruttatatori.

Il
luogo, nei pressi di Madrid, dove Maris ha vissuto
sotto protezione tra
ottobre 2004 e dicembre 2006

Parla,
Calle Villaverde
(Comunidad de Madrid)

Madrid,
Ottobre 2006, Maris si sposa

Maris si sposa e poi rientra in Italia, in
Friuli, dove attualmente vive con suo marito.

Principali
avvenimenti 2006-2017

Oggi

Attualmente Maris vive con il marito a
Mortegliano
in provincia di Udine. È attiva nel
volontariato, si adopera come mediatrice culturale per aiutare ragazze
nigeriane in difficoltà, pubblica arti­coli
divulgativi sulla Africa e tematiche sociali contribuendo ad
in­formare sulle problematiche legate al contrasto della Mafia
Nige­riana.

Per conto di Foundation for Africa,
utilizzando
anche la sua laurea e le sue conoscenze informatiche, gestisce la parte
web dell’associazione, il sito internet principale, un nuovo sito
internet
dedicato alle Campagne
Informative
, il Blog, le News
dall’Africa
e i Social
Network
.

Copyright
© Maggio 2019

Matrimoni Combinati e Precoci

Spose Bambine. È una vera e propria schiavitù, subdola e odiosa, a cui sono sottoposte ragazzine minorenni e bambine, una tradizione assurda radicata in molte culture

È un problema odioso radicato in molte culture, soprattutto islamiche, indù e tradizioni animiste del continente africano. Bambine di otto anni, con lo sguardo, la spontaneità, la voglia di giocare di qualsiasi coetanea. Solo che loro sono diverse, sono delle "baby spose".

È l'India a detenere il triste primato per quanto riguarda i diritti negati alle donne e alle bambine. Per la percentuale di ragazze che si sposano prima dei diciotto anni, agli ultimi posti della classifica anche Mali, Bangladesh, Nepal, Yemen e Burkina Faso. Il 47 per cento delle giovani che oggi hanno tra i 20 e i 24 anni si è infatti sposato ancora minorenne.

Nel Mondo

In Pakistan la percentuale di spose bambine è del 24 per cento, e in Paesi come il Sudan, la Nigeria e l’Afghanistan la percentuale è, rispettivamente del 34, 39 e 43 per cento. Tra i virtuosi ci sono Mongolia e Sri Lanka, con il 9 e 12 per cento dei matrimoni tra minorenni.

In Africa

Quello dei matrimoni combinati e precoci è un fenomeno piuttosto diffuso, nonostante le legislazioni dei paesi africani si siano adeguate e abbiano vietato i matrimoni con ragazze minorenni. Ma ancora un terzo delle ragazze si sposa precocemente o comunque ancora minorenne, quasi sempre interrompendo gli studi.

Una pratica che impedisce alle ragazze di avere una adeguata cultura e le relega alla precarietà, sottomesse al maschio e all'emancipazione. Le adolescenti sono il principale bersaglio di questa tradizione "antica" e molto radicata nei paesi a maggioranza islamica e con una cultura animista molto radicata.

Nei paesi occidentali

In Europa, nelle Americhe e nel continente australe, salvo rare eccezioni, i matrimoni con minorenni è generalmente vietato per legge. In Italia i minorenni non possono sposarsi. Esiste però una deroga. Per "gravi motivi", dai 16 anni in poi il tribunale per i minori può autorizzare le nozze. Alcuni casi di "spose bambine" si registrano all'interno di comunità straniere, in qualche caso il matrimonio è avvenuto (illegalmente) in Italia, in molti altri casi il matrimonio era già avvenuto nei paesi di origine.

Si Ius Soli

Si alla cittadinanza italiana a chi nasce in Italia

Circa un milione sono i minorenni, figli di genitori stranieri residenti regolarmente in Italia, nati in Italia, italiani in tutto e per tutto, ma non per la legge.

Infatti la legge n. 91 del 1992 che regola la cittadinanza italiana, non riconosce l'acquisizione della cittadinanza per lo "Ius Soli" (sei cittadino italiano se nasci in Italia), perché in Italia prevale lo "Ius Sanguinis" (acquisisci la cittadinanza dei tuoi genitori anche se nasci in Italia).

Questi minorenni nati in Italia da genitori stranieri potranno chiedere la cittadinanza italiana solo al compimento del 18° anno di età attraverso un complicato e costoso iter burocratico, dimostrando di aver vissuto ed essere sempre rimasti residenti in Italia ininterrottamente, fino ad allora devono rinnovare il permesso di soggiorno assieme ai genitori. Sono bambini e ragazzi che "rischiano" di perdere il diritto alla cittadinanza italiana solo per una gita scolastica fatta all'estero.

Se i loro genitori, per qualsiasi motivo dovessero perdere il permesso di soggiorno per qualsiasi motivo o intoppo, rischierebbero di essere espulsi verso un paese straniero che non conoscono e nel quale non ci sono mai stati.

Sono bambini e ragazzi che parlano italiano, anche con inflessioni dialettali, sono integrati, partecipano alla vita sociale dei luoghi in cui vivono, vanno a scuola esattamente come i loro coetanei "italiani". Ma loro, nati in Italia non sono italiani solo perché i loro genitori sono "stranieri". Ecco, queste sono le seconde generazioni di migranti.

Secondo un sondaggio ISPSOS il 64% degli italiani è "molto favorevole" allo Ius Soli, e a questa percentuale si aggiunge anche un ulteriore 15% "abbastanza favorevole". Una percentuale decisamente alta, una realtà del tutto diversa da quella che certi razzisti e pseudo-razzisti vorrebbero farci credere.

Siamo duri, durissimi, con i figli degli immigrati "regolari" nati in Italia e morbidi, troppo morbidi, con i clandestini che arrivano irregolarmente in Italia.

L'attuale legislazione italiana sulla cittadinanza è quella più rigida tra tutti i paesi europei. Una legislazione che non permette il diritto di cittadinanza nemmeno ai maggiorenni che hanno frequentato regolarmente le scuole italiane. Una legislazione al limite della violazione dei diritti umani.

La proposta di uno "Ius Soli temperato", si può diventare cittadini italiani dopo aver frequentato almeno un ciclo scolastico (Ius Culturae), ci sembra un buon punto di mediazione.

A ottobre 2015 la Camera dei Deputati ha approvato con 310 sì, 66 no e 83 astenuti il disegno di legge "Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, e altre disposizioni in materia di cittadinanza" .. "Ius Soli temperato"

Attualmente la legge è ferma al Senato impantanata tra veti incrociati e ostruzionismo delle opposizioni che non vogliono l'approvazione della riforma sulla cittadinanza. Una legge che, stante l'attuale governo, Lega-5Stelle, NON vedrà MAI la sua approvazione definitiva. Anzi, l'attuale governo a dicembre ha provveduto ad inasprire ulteriormente la possibilità di richiedere la cittadinanza per gli stranieri residenti in Italia.

La nuova legge sulla cittadinanza 2018. Decreto Salvini

Ecco cosa prevede il nuovo D.L. sulla cittadinanza del ministro Salvini che integra e modifica la legge n. 91 del 1992 e la rende ancor più restrittiva.

  • (1) Per l'acquisizione della cittadinanza italiana si richiede una buona conoscenza della lingua italiana.
  • (2) Innnalza da 200 a 250 euro il contributo richiesto per la domanda di cittadinanza.
  • (3) Estende da 730 giorni a 48 mesi il termine per la conclusione dei procedimenti della cittadinanza per matrimonio e per residenza.
  • (4) Fissa il termine di sei mesi per il rilascio degli estratti e dei certificati di stato civile occorrenti ai fini del riconoscimento della cittadinanza italiana.
  • (5) Abroga la disposizione che preclude il rigetto dell'istanza di acquisizione della cittadinanza per matrimonio decorsi due anni dalla domanda.
  • (6) Revoca della cittadinanza in caso di condanna definitiva per i reati di terrorismo ed eversione.

Italiani in tutto e per tutto tranne che per la legge

Niger Delta

Uno dei luoghi più inquinati del mondo. Una devastazione causata solo dallo sfruttamento indiscriminato e dall'arroganza delle Compagnie Petrolifere

La regione petrolifera della Nigeria, un'area grande come la pianura Padana, devastata dall'inquinamento dei terreni, delle acque e dell'aria.

Il Delta del Niger

La regione del Delta del Niger è uno dei dieci luoghi più inquinati al mondo, ma per la sua estensione, la continuità con cui si sta inquinando, la mancanza di progetti per le bonifiche, fanno del Delta del Niger il più grave disastro ambientale di sempre, e tutto questo nell'indifferenza del mondo, in nome solo dei petro-dollari.

Le compagnie petrolifere hanno "militarizzato" quei luoghi. Shell ed ENI, ma anche Total, Erg, Chevron, Esso e altre.

La corruzione e l'arroganza di queste compagnie in nome del business ha permesso per decenni (dagli anni '70) a queste compagnie di estrarre la ricchezza della Nigeria senza alcun beneficio per la popolazione locale, a cui hanno sottratto terreni da coltivare e acque in cui pescare.

Il petrolio estratto non viene raffinato in Nigeria, ma viene subito caricato sulle petroliere e portato via. La raffinazione avviene in altri luoghi e così la Nigeria, paese ricco di petrolio, è però povero di benzina, dove si deve ancora fare la coda per una tanica di carburante.

Attraversata da centinaia di migliaia di chilometri di tubature (pipeline) che corrono in superfice per trasportare il greggio estratto fino alla costa, sono spesso fonte di incidenti causati dalla mancanza di manutenzione o dal tentativo della popolazione di "rubare" il petrolio. Sono una delle principali cause dell'inquinamento di acque e terreni.

Da anni Amnesty International sta combattendo contro queste "multinazionali" e ormai considera ciò che sta accadendo in questi luoghi un vero e proprio crimine contro l'umanità, ma che da 50 anni è il luogo di un "furto" continuo di ricchezza, di una aberrazione indescrivibile che i "vincitori" della Guerra del Biafra stanno facendo pagare a chi ha perso tutto, a chi non può più coltivare la propria terra una volta fertile, a chi non può più pescare in quelle acque che una volta erano azzurre.

Le multinazionali del petrolio hanno "rubato" non solo il nostro petrolio, ma anche la nostra terra.

Nel 2012 la Corte di Giustizia della Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale ha giudicato la Nigeria responsabile della violazione della "Carta Africana" dei diritti umani e dei popoli riguardo alle condizioni di vita delle popolazioni del delta del fiume Niger.

La Corte ha stabilito che il governo federale nigeriano è responsabile del comportamento delle compagnie petrolifere e che ad esso spetta di chiamarle a rispondere dell'impatto ambientale gravemente compromesso a causa del loro operato.

Gas Flaring

Il "Gas Flaring" (un gas che si trova nella parte superiore dei giacimenti petroliferi) che brucia in continuazione provoca un panorama desolante, e la ricaduta al suolo delle sottilissime polveri bruciate provoca rossore permanente agli occhi, tumori della pelle, e gravi malattie legate alla respirazione.

Si stima che la trasformazione del gas flaring della Nigeria potrebbe fornire energia elettrica e metano all'Africa Sub-Sahariana e all'Africa Centrale per centinaia di anni, ma si preferisce "bruciarlo" piuttosto che costruire impianti per la sua trasformazione che, oltretutto, darebbe lavoro a migliaia di persone.

Guerre Dimenticate

Diritti umani, crimini di guerra e crimini contro l'umanità, eccidi, massacri, profughi, emigrazione, dittature cruente, tutto questo è il prodotto di secoli di sfruttamento dell'Africa

Per le guerre di oggi è più giusto dire "Guerre ignorate" .. Analizzando le due parole viene difficile capire come si possa "dimenticare" la propria contemporaneità, si scorda il passato non il presente, questo tutto al più lo si "ignora". Ma ignorare una guerra significa anche ignorare chi la vive e la subisce.

Il passato ed il presente ci hanno abituato a conflitti anche cruenti in Africa, spesso l'occidente li ha visti, e li vede, come semplici problemi interni, e che nulla avevano o hanno a che fare con il dorato mondo civile.

Diritti umani, crimini di guerra e crimini contro l'umanità, eccidi, massacri, profughi, emigrazione, dittature cruente, tutto questo è il prodotto di secoli di sfruttamento dell'Africa da parte di potenze europee, e non solo europee.

Il vero dramma dell'Africa è iniziato con la Conferenza di Berlino (1884-1885) quando le potenze europee di allora si sono spartite l'Africa, dando il via al processo di colonizzazione che si sarebbe concluso solo all'inizio degli anni sessanta.

Un secolo che ha privato l'Africa, non solo delle sue risorse naturali, ma ha privato l'Africa anche delle sue ricchezze culturali, naturali e politiche.

Ha privato generazioni e generazioni di africani di vivere della loro identità culturale, obbligandoli a seguire religioni non loro, a parlare lingue non loro, imponendo la cultura europea, alimentando conflitti tribali, riducendo in schiavitù giovani, uomini, bambini e donne.

La fine della colonizzazione "politica" del continente africano non ha però fatto cessare l'influenza economica dell'Europa sull'Africa. Il petrolio, i minerali preziosi, i minerali rari, i diamanti, immensi territori da adibire ad agricoltura sono sempre sotto il controllo e sfruttati da multinazionali europee e compagnie straniere, con la complicità di governi e autorità locali, che pur di mantenere il potere hanno sottomesso la loro stessa popolazione.

Darfur, regione sud-occidentale del Sudan, è una delle tante "guerre dimenticate dell'Africa". Venti anni di massacri e diritti violati, oltre mezzo milione di morti, almeno tre milioni, il 70% della popolazione costretta ad abbandonare i luoghi d'origine. Nel 2012 la Corte Penale dell'Aia condanna l'ex-presidente del Sudan, Omar al-Bashir, per crimini di guerra. Questo Video di Mattafix è stato girato in un campo profughi del Darfur. Prodotto da Mick Jagger per ricordare al mondo una tragedia ancora in atto ma di cui nessuno parla.