Biafra, la Nigeria riconosce risarcimenti a 50 anni dalla guerra

La guerra che è costata la vita a oltre 1,2 milioni di persone pesa ancora oggi sul Biafra. Altri due milioni morirono di fame e malattie, la metà erano bambini.

Alla fine del conflitto oltre 5 milioni di persone furono costrette ad abbandonare le loro terre per far posto ai pozzi petroliferi.

Se da una parte il governo di Abuja riconosce un risarcimento alle vittime e inizia a bonificare le aree infestate da ordigni abbandonati, dall'altra dichiara "terroristica" l'organizzazione che chiede l'indipendenza.

In uno dei rari tentativi di affrontare la questione della guerra del Biafra e di sanare le profonde cicatrici che ha lasciato su milioni di nigeriani, nei giorni scorsi il governo di Abuja ha accettato di risarcire con 139 milioni di dollari le vittime del confitto, concluso cinquant’anni fa. E oltre a versare l’indennizzo, saranno stanziati 105 milioni di dollari per bonificare dagli ordigni abbandonati, i territori che furono teatro degli aspri combattimenti tra il 1967 e il 1970.

Gli esperti governativi hanno riconosciuto lo status di reduci di guerra a 685 persone. A quasi 500 di esse, incluse quelle che avevano inizialmente citato in giudizio il governo, è stato anche accordato un risarcimento per essere stati vittime dell’esplosione di mine e bombe. La decisione della Nigeria è il risultato di una risoluzione extragiudiziale, che ha fatto seguito a un procedimento presentato contro il governo federale nel 2012.

Una lunga scia di violenza nel sud-est della Nigeria

Il provvedimento giunge dopo mesi di crescenti tensioni nel sud-est della Nigeria causate dalle rinnovate richieste di secessione avanzate dal movimento dei popoli indigeni del Biafra (IPOB), che dopo mezzo secolo continua a rivendicare l’indipendenza del Biafra.

La radicalizzazione violenta del confronto si era manifestata lo scorso 12 settembre, quando l’esercito nigeriano ha fatto irruzione nella casa del leader dell’Ipob, NwannekaenyiNnamdiKenny Okwu Kanu, per arrestarlo. Nel conflitto a fuoco che ne è seguito sono morti 20 militanti del gruppo separatista.

Poi, lo scorso 15 settembre, le truppe nigeriane dispiegate nella regione hanno lanciato l’operazione Python Dance II nei cinque stati sud-orientali, Abia, Anambra, Ebonyi, Enugu e Imo, per porre fine alla campagna di secessione del movimento. Nel corso dell’operazione, terminata il 10 ottobre, sono morti quattro membri dell’IPOB, mentre il leader Nnamdi Kanu, da allora non è più comparso in pubblico.

Movimento per indipendenza Biafra definito “terrorista”

Pochi giorni dopo, il ministro della Giustizia nigeriano, Abubakar Malami, ha emesso un provvedimento che bollava l’IPOB come un’organizzazione terroristica, per aver agito contro funzionari della sicurezza e cittadini nigeriani.

La decisione di classificare l’IPOB come un’organizzazione terroristica ha suscitato le critiche degli Stati Uniti e dell’Unione europea. Inoltre, questa scelta stride col fatto che il gruppo indipendentista è ufficialmente riconosciuto a livello internazionale, da quando le Nazioni Unite l’hanno annesso nell’Ecosoc, l’organismo che raccoglie più di 3.200 ong internazionali.

Nel frattempo, il sentimento anti-nigeriano dei biafrani ha continuato a covare sotto le ceneri emergendo periodicamente e dando luogo a sanguinosi scontri fra i separatisti biafrani e l’esercito federale, sempre repressi con violenza dai militari nigeriani.

La guerra del Biafra oggi è ancora un tabù in Nigeria

Nel paese africano molti sperano che il risarcimento deciso dal governo serva a stemperare le tensioni degli ultimi mesi e sia un segnale della volontà di discutere la pluridecennale questione dell’eredità e delle divisioni lasciate dalla guerra, che dopo cinquant’anni in Nigeria è ancora considerata un argomento tabù.

Certo è che nell’immediato dopoguerra, le ritorsioni applicate dal governo federale nei confronti degli Igbo (l’etnia della popolazione biafrana) furono pesantissime, come la limitazione all’accesso ai conti correnti e le discriminazioni nell’impiego pubblico e privato. Mentre l’amministrazione di alcune delle città con forte presenza Igbo venne affidata a gruppi etnici rivali come gli Ijaw e Ikwerre.

Senza contare che il nome Biafra è stato cancellato da tutte le mappe geografiche della Nigeria e quello che per tre anni fu uno Stato indipendente, adesso è smembrato in nove entità territoriali diverse.

Senza dubbio, è troppo tardi per i programmi di riconciliazione, ma oltre ai risarcimenti, anche l’apertura di un dialogo tra governo e movimenti pro-Biafra può avere un ruolo importante nell’aiutare i molti nigeriani, che ancora portano le cicatrici di uno dei conflitti più devastanti del secolo scorso.

Fame e malattie. L’emergenza umanitaria del Biafra

Un conflitto che costò la vita a più di un milione e 200 mila persone e produsse un’emergenza umanitaria senza precedenti, che culminò in una drammatica carestia che provocò la morte di altri due milioni di uomini, donne e bambini.

Tutto questo, mentre i filmati in bianco e nero trasmessi dai telegiornali dell’epoca mandavano in onda le terribili immagini dei volti scavati di bambini biafrani sofferenti con l’addome gonfiato dal liquido ascitico.

La mobilitazione generale delle organizzazioni non governative internazionali fu così impressionante che sotto la guida del Comitato Internazionale della Croce Rossa (Icrc), Oxfam, Africa Concern, Catholic Relief Services, Caritas International, Quaker-Service-Nigeria e altre organizzazioni che operavano sotto il cappello della Joint Church Aid (Jca), diedero vita alla più importante operazione umanitaria della loro storia dopo i programmi di assistenza ai rifugiati della seconda guerra mondiale.

Somalia, al-Shabaab assalta un hotel, 26 morti

I terroristi hanno fatto esplodere un'autobomba nel centro di Chisimaio. Poi l'attacco armi in pugno nell'edificio e lo scontro con le forze di sicurezza. Tra le vittime anche la giornalista somalo-canadese Hodan Nalayeh. Oltre 50 i feriti.

Somalia, al-Shabaab assalta un hotel, 26 morti

L'attentato

In Somalia nel corso della serata di venerdì un assalto armato, durato 12 ore, ha provocato la morte di 26 persone. In un hotel nella città portuale di Chisimaio, nel sud del Paese, i terroristi di al-Shabaab hanno fatto prima esplodere un'autobomba e poi sono passati all'attacco armi in pugno e quindi allo scontro con le forze di sicurezza. L'Agi riporta, che l'attacco iniziato venerdì sera e durato 12 ore è ora concluso. L'edificio, in gran parte distrutto dall'assalto, è quindi tornato nelle mani delle forze di sicurezza.

In quel momento l'hotel ospitava uomini d'affari e politici che erano in città per la preparazione delle elezioni presidenziali nella regione semi-autonoma dello Jubaland, prevista per la fine di agosto.

L'Afp riporta il messaggio rilasciato sabato mattina dal presidente della regione dello Jubaland Ahmed Mohamed che ha spiegato che i morti sono 26, tra cui diversi cittadini stranieri: tre keniani, un canadese, un inglese, due americani e tre tanzaniani. Tra i feriti figurano due cittadini cinesi. Anche un candidato presidenziale per le prossime elezioni regionali è stato ucciso. I 4 terroristi autori dell'attacco sono tutti morti. L'Agi spiega che i feriti finora recuperati sono 56.

Hodan Nalayeh

Hodan Nalayeh

Tra le vittime anche l'attivista e giornalista somalo-canadese Hodan Nalayeh 43enne fondatrice di Integration Tv e autrice di programmi youtube per le comunità somale in lingua inglese, che si trovava in vacanza in Somalia insieme al marito Farid Jama Suleiman, anche lui ucciso. Il ministro dell'Immigrazione canadese, Ahmed Hussen, ha così descritto il suo impegno: "Con il suo lavoro di giornalista, ha messo in luce le notizie e i contributi positivi delle comunità, dandone notizia in Canada, ed è diventata una voce per molti. Il suo lavoro ha rafforzato i legami fra le comunità somale del Canada e la Somalia nel suo continuo processo di stabilizzazione e ricostruzione"

Testimonianze

Un testimone citato dall'Agi, Muna Abdirahman, ha raccontato la drammatica vicenda: "L'intero edificio è in rovina, ci sono cadaveri e feriti che sono stati recuperati all'interno, e le forze di sicurezza hanno isolato tutta l'area. Gli aggressori indossano uniformi della polizia somala"

Al-Shabaab

Il gruppo jihadista sunnita di matrice islamista al-Shabaab ha rivendicato l'attentato, che aveva l'obiettivo di colpire i "funzionari apostati dell'amministrazione Jubaland". I militanti al-Shabaab dopo esser stati allontanati dalla capitale Mogadiscio nel 2011, hanno continuato ad attaccare le forze governative ed obiettivi civili con attentati suicidi ed assalti in stile guerriglia. Nel 2012 il gruppo terroristico è stato cacciato da Chisimaio, porto e città commerciale della regione dello Jubaland. Mantengono sotto il loro controllo vaste aree rurali.

La Repubblica

RD Congo, sentenza della CPI. “Terminator”, ex-signore della guerra, colpevole di crimini contro l’umanità

Bosco Ntaganda, condannato per crimini di guerra contro l’umanità

I
giudici della Corte penale
internazionale hanno ritenuto l’ex warlord filorwandese
responsabile di diciotto capi d’accusa per crimini di guerra
e contro l’umanità compiuti nella Repubblica
democratica del Congo, con la complicità del Rwanda.

L’ex signore della guerra
congolese, Bosco Ntaganda,
tristemente noto come
Terminator”,
è stato giudicato
colpevole dalla Corte penale internazionale (Cpi) per 18 capi
d’accusa relativi a crimini di guerra e crimini contro
l’umanità.

Tra
questi spiccano
: esecuzioni
sommarie, stupri di massa, schiavitù sessuale, mutilazioni,
trasferimento forzato della popolazione civile e arruolamento di
bambini soldato. Il tribunale dell’Aia ha stabilito che
l’entità della condanna che dovrà
scontare in carcere, sarà determinata in una successiva
udienza.

Chi
è stato Bosco Ntaganda

Il quarantacinquenne Ntaganda, di etnia
tutsi, è stato accusato di aver diretto e pianificato il
massacro di civili compiuto dai suoi soldati nella regione dell’Ituri,
nell’est della Repubblica democratica del Congo, tra il 2002
e il 2003. All’epoca, l’imputato era al comando delle
operazioni militari delle Forze patriottiche per la liberazione del
Congo (Fplc),
l’ala armata del gruppo ribelle che rispondeva
all’altisonante nome di Unione dei patrioti congolesi (Upc), ma non era
niente altro che una delle numerose sanguinarie milizie attive da anni
nel paese.

La
carriera militare dell’ex
capo ribelle è iniziata nel 1990
, quando, ad
appena 17 anni,
si unì al Fronte patriottico rwandese (Fpr), oggi al
potere
a Kigali (Rwanda).
Da allora, ha fatto parte di diversi gruppi armati e
nel gennaio 2008, dopo la cattura dell’ex generale
filorwandese Laurent
Nkunda
in Rwanda (che
sarebbe stato tradito
proprio da Ntaganda
), è diventato il leader dei
ribelli
tutsi del Cndp
(Congresso nazionale per
la difesa del popolo
). Il 23
marzo 2009
ha firmato un accordo di pace con il governo di
Kinshasa e,
nonostante si fosse macchiato di efferati crimini, venne integrato con
il grado di generale insieme a tutti i suoi uomini, nei ranghi
dell’esercito regolare congolese.

Nell’aprile
del 2012
, esasperato dalle
promesse non mantenute dell’allora presidente congolese
Joseph Kabila,
insieme a circa altri 700 soldati a lui fedeli
disertò, tornando sulle colline del Nord Kivu dove
creò il nuovo gruppo M23
(richiamandosi proprio
agli accordi
del 23 marzo 2009
) che nel giro di qualche mese
riuscì a
prendere Goma, capitale della provincia del Nord Kivu e
città strategica del Congo orientale.

Il
processo

Nel corso delle udienze cominciate il 2
settembre 2015, le decine di testimoni, tra cui un elevato numero di ex
bambini soldato, hanno fornito ai pubblici ministeri orribili
particolari sul trattamento riservato alle vittime delle violenze
dell’Upc. I giudici
hanno anche accertato che Ntaganda uccise
personalmente un sacerdote cattolico
. Gli attacchi della
milizia
paramilitare, composta principalmente da uomini di etnia Hema, presero
di mira specifici gruppi etnici come Lendu, Bira e Nande.

Gli attivisti per i diritti umani hanno
accolto favorevolmente la decisione della corte. «Coltiviamo
la speranza che il verdetto di oggi offra qualche consolazione alle
migliaia di persone colpite dai crimini di Ntaganda e spiani loro la
strada per ottenere finalmente giustizia
», ha
twittato
Amnesty International.

Mentre le organizzazioni congolesi che
hanno raccolto le prove per contribuire a garantire la condanna di
Ntaganda, hanno detto che altri sospetti criminali godono ancora di
impunità e che numerose atrocità continuano a
essere commesse nella Repubblica Democratica del Congo.

Bosco
Ntaganda era rimasto in
libertà per sette anni
dopo che nel 2006 la
Corte dell’Aja
aveva spiccato il mandato di arresto nei suoi confronti
,
suscitando
l’irritazione dei giudici del Tribunale internazionale per le
sue frequenti apparizioni in pubblico.

La
paura di essere ucciso dai suoi
stessi uomini

Poi, con una mossa a sorpresa, nel marzo
2013, si è consegnato all’ambasciata degli Stati Uniti a
Kigali, in Rwanda. I motivi all’origine della resa di Ntaganda,
potrebbero essere riconducibili alle guerre intestine che minarono
l’M23
e sancirono la sconfitta della fazione guidata dall’ex
signore della guerra, che per evitare di essere eliminato nella faida
interna si rifugiò all’interno dell’ambasciata
americana in Rwanda. Da dove chiederà di essere estradato
all’Aia per rispondere delle accuse formulate nei suoi confronti.

Bosco
Ntaganda è uno dei
cinque ex signori della guerra congolesi
che sono comparsi
dinanzi ai
giudici della Cpi
, istituita nel luglio 2002 per giudicare
i crimini
contro l’umanità, i crimini di guerra e i
genocidi, in qualunque posto e in qualunque momento siano stati
commessi.

Nel
luglio 2012
, la Corte ha condannato
a 14 anni di carcere il fondatore dell’Upc, Thomas Lubanga,
per la coscrizione forzata di bambini soldato, mentre negli anni
recenti ha prosciolto diversi imputati. Tuttavia, alcuni paesi africani
hanno ripetutamente accusato l’istituzione internazionale di
concentrare la propria azione solo sugli africani, mentre crimini di
guerra e contro l’umanità vengono compiuto in continuazione
ovunque, soprattutto in Asia e in Medio-Oriente.