Le
ragazze nigeriane sono l’80
per cento delle vittime dello sfruttamento sessuale in Italia,
fenomeno
che interessa in totale tra le 30 e le 50 mila donne. E il decreto
sicurezza voluto da Matteo Salvini rende più vulnerabile chi
è arrivata negli anni scorsi, in particolare le
vittime di
tratta. Mentre si fanno
largo fenomeni di sfruttamento nello
sfruttamento. sempre più difficili da
combattere e segnali
allarmanti di come il fenomeno stia cambiando, in peggio. Ad esempio,
ormai ci sono tratte dentro la tratta: donne ingannate più
volte, passate di paese in paese, scomparse e spesso uccise: circa 500
in Italia negli ultimi 20 anni.
Quello che accade dentro la rete fittissima
e autoreferenziale che è la comunità nigeriana,
in cui i legami sono una protezione ma anche una trappola, in cui tutti
conoscono tutti e se un destino è deciso nessuno tenta di
cambiarlo, a volte emerge grazie a donne coraggiose come Isoke, Maris
Davis, Grace,
Nadine, Blessing e tante
altre che hanno visto la neve
per la prima volta in Italia più di venti anni fa. Oggi come
allora le cose NON sono cambiate, poco hanno fatto le
istituzioni per
contrastare il fenomeno, tanto ha fatto la mafia nigeriana che ha
affinato le armi e si è intrufolata nel territorio italiano
in modo ancora più capillare. Rispetto a 20 anni fa, ai
tempi di Isoke, Maris Davis, Grace, Nadine, le cose sono peggiorate.
Appena arrivate, accanto al fuoco, semi
svestite, non si capacitavano di essere cadute nella trappola della
tratta. Ribellarsi è costato molto, pestaggi, tentativi di
essere uccise e per Maris
Davis anche un rapimento
cruento che l'ha
portata in Spagna dove è rimasta segregata per 4 anni, come
racconta lei stessa nel libro "Parlo di me"
«Come siete arrivate qui, possono
ingannarvi ancora e portarvi altrove, non accettate nulla»,
ripetono a tutte. Perché il destino può essere
ancora peggiore della schiavitù e della prostituzione: e si
chiama traffico di organi.
Per
le donne vittime di tratta le cose sono
peggiorate ancora di più con l'entrata in vigore dei due
decreti sicurezza voluti da Salvini. È stata
smantellata
tutta quella rete di protezione sociale così faticosamente
costruita negli anni. Un colpo al Cuore per tutte quelle ragazze
nigeriane che con fatica e tanta sofferenza avevano denunciato i loro
aguzzini e che ora rischiano di ritornare dentro al vortice della
schiavitù sessuale.
Il
trucco dei falsi fidanzati
«A Verona una ragazza nigeriana
ci ha mostrato un contratto di assunzione per un lavoro a Dubai,
ottenuto tramite il fidanzato. Un contratto come quello non ti fa
dubitare, ci credi sempre». Dietro
però, spesso,
si nasconde il traffico peggiore: quando si ricevono queste
opportunità allettanti, addirittura con contratto firmato,
c’è dietro una rete criminale transnazionale
attiva da tempo, ma che negli ultimi cinque anni è emersa
con forza: «Questi
falsi fidanzati conquistano la loro
fiducia, dicono alla ragazza “tu sei sveglia, cosa fai qui in
attesa, c’è questa
possibilità”»
Arriva
il contratto e le giovani donne
vengono spedite nel Golfo, di solito a Dubai, Gibuti ed
Emirati. Ai
“fidanzati”,
contemporaneamente, arrivano i soldi
tramite money transfer o su carte ricaricabili. «Delle
ragazze poi non si sa più nulla»,
dietro
c'è il racket del traffico di organi: «In quei
paesi operano medici cinesi, stando a quello che ci hanno detto, non
arabi. Magari loro fanno i broker, ma chi fa le operazioni è
asiatico». Il fenomeno delle
sparizioni e in generale della
tratta, riguarda anche i minori.
«Qualche anno fa collaborai con i
Carabinieri del Ros all'indagine per il ritrovamento di un bambino
africano nel Tamigi, a Londra, privato di tutti gli organi. Non era
chiaro se fosse per qualche rito o altro. Con Esther Ekanem, anche lei
nigeriana, che da Londra si occupa di tratta di esseri umani, ci siamo
subito attivate. Lei stava indagando sulla tratta delle donne sfruttate
per fare figli destinati alla vendita, alle adozioni illegali, ma non
si nasconde che i bambini servano per più scopi»
Joseph
Chidiebere Osuigwe, avvocato e
direttore del Devatop
Centre for Africa Development in Nigeria,
conferma che la mafia nigeriana ha ormai un ruolo di primo piano in
questo traffico, annidato dentro la tratta tradizionale per lo
sfruttamento sessuale o lavorativo che dalla Nigeria, anche attraverso
il Mediterraneo, si indirizza verso tre continenti.
È
un commercio fiorente
perché raddoppia il guadagno del trafficante
che costringe
le vittime, donne, giovani e capifamiglia attratti da un lavoro
all'estero, a
vendere un organo per saldare il proprio debito: pagano
lui con la vendita di un rene, il quale poi riceve soldi anche dal
broker. «Le
vittime, al netto dei casi di rapimento o
convinte da qualcuno di necessitare di un’operazione, vendono
a partire da 1.500 dollari, ignare dei 50 mila che guadagna
l’organizzazione e dei 128.500 di base che i ricchi pazienti
danno alle gang per un rene»
«Questo commercio in Nigeria
è tra le forme allargate di sfruttamento degli ultimi dieci
anni, insieme a schiavitù domestica, matrimoni
forzati,
traffico di minori attraverso gli orfanotrofi o il lavoro di
apprendistato, i bambini soldato, il traffico per scopi rituali. Siamo
a conoscenza di casi avvenuti in India, Malesia e Dubai che coinvolgono
cittadini nigeriani, la mia organizzazione ha ricevuto due segnalazioni
di rimozione illegale di organi di due nigeriani in India»,
spiega Osuigwe.
Doppio
inganno
L’eventualità che la
tratta finalizzata al traffico d’organi coinvolga anche
l’Italia non è, allo stato, suffragata da prove
giudiziarie. Don Carmine Schiavone, direttore della Caritas diocesana
di Aversa e referente regionale Caritas per l’immigrazione,
ha rilasciato però un’intervista al sito Vatican
News dicendo che «una
delle ragazze a ottobre scorso ha
cominciato a raccontare di questo commercio, rivelando che alcuni amici
suoi, per arrivare in Italia, hanno dovuto dare un rene, alcuni la
cornea»
Sotto
osservazione poi è il
litorale di Castel Volturno, dove sono noti i rapporti tra
la mafia
nigeriana e la camorra. Va detto però che difficilmente
può svilupparsi un traffico d’organi
“interno”
al nostro Paese: per un trapianto servono
strutture ospedaliere complici e molto vicine al luogo in cui
l’organo viene espiantato. Il problema, da noi, sono invece
le ragazze nigeriane già in Italia che per
sottrarsi alla
prostituzione accettano le improbabili “offerte di
lavoro” in Paesi dove il traffico
d’organi non
è una leggenda metropolitana ma è stato provato,
come appunto l’India e i Paesi del Golfo. Ingannate una volta
per farle venire in Italia e una seconda volta per portarle via dal
nostro Paese, verso un destino ancora peggiore.
Nel
2018 sono arrivati in Italia solo 1.250
migranti nigeriani, ma aumentano gli adescamenti di chi
è
già presente da tempo in Europa. Mentre la crescente
instabilità libica e la politica dei “porti
chiusi” hanno trasformato le rotte: si rafforza
quella
Nigeria-Mali-Spagna mentre è storico il legame diretto tra
la Nigeria e i Paesi del Golfo Persico.
«Nel 2014 sono arrivate in Italia
circa 2.400 ragazze. 5.600 nel 2015 e nel 2016 erano 11
mila», spiega Anna Pozzi, giornalista e studiosa
esperta di
tratta. Col tempo è diminuita l’età
delle ragazze, minorenni che spesso non si dichiaravano tali per
evitare di essere inserite in strutture protette, con
scolarità bassa se non analfabete.
Secondo
il rapporto di ActionAid pubblicato
ad aprile sulla base di 60 verbali di vittime di tratta presentati
presso la Commissione territoriale di Roma tra il 2016 e il 2017, il
decreto Sicurezza colpirebbe soprattutto loro: stabilendo
il rigetto
della richiesta di asilo avanzata da chi ha in esecuzione
già un provvedimento di espulsione, queste non hanno la
possibilità di presentare nuove richieste e non
c’è il tempo di indagare sulle loro storie di
sfruttamento.
Il
decreto inoltre non solo abroga il
permesso di soggiorno per motivi umanitari prima concesso
anche in
ragione delle violenze subìte nei Paesi di transito, ma i
richiedenti asilo e i beneficiari di protezione umanitaria non accedono
più al sistema ex Sprar (ora solo per titolari di status
di
rifugiato o protezione sussidiaria e minori non accompagnati)
ma ai
Centri ordinari, Cas e Cara: affollati, privi di personale qualificato
e programmi di inclusione. L’eliminazione
dell’obbligo di denuncia da parte della vittima di tratta per
ottenere il permesso di soggiorno depotenzia anche l’articolo
18 del Testo Unico sull'Immigrazione che prima le tutelava.
L'incrocio
con la religione
Una
sera scaricano Gioia da
un’auto davanti alla porta della Caritas di Aversa.
La
accolgono, non ha documenti, non parla. Se la ricordano a fissare il
muro, con le braccia appoggiate su un tavolo per interi pomeriggi.
«Quando ha
ricominciato a parlare abbiamo capito che era
molto confusa. Aveva bisogno di un supporto psicologico importante.
Ovunque mi incrociasse, voleva per forza una benedizione»,
dice don Carmine Schiavone. Con suor Rita Giarretta delle Orsoline del
Sacro Cuore di Maria, fondatrice di Casa
Rut, Schiavone svolge la sua
pastorale in una delle «periferie
del mondo»: la
strada. «Un
giorno ha detto di aver conosciuto un pastore, un
reverendo: aveva un numero che chiamava in continuazione
perché adesso poteva stare finalmente bene, diceva. Una
mattina è uscita e nessuno l’ha più
vista»
I
sedicenti “pastori”
religiosi sono tra le più insidiose pedine della tratta.
Alcuni sfruttano direttamente ragazze e ragazzi, altri li mettono in
mano ai trafficanti. Case di preghiera delle Chiese pentecostali
africane sono presenti sul litorale Domizio e a Castel Volturno,
l’enclave dei clan mafiosi nigeriani che gestiscono, dentro
una comunità di 25 mila nigeriani e ghanesi, arrivi,
traffico di droga e prostituzione.
Certi leader spirituali organizzano momenti
di preghiera per la “liberazione”.
I migranti
raccontano che non ottenere il permesso di soggiorno è un
maleficio e loro si offrono di toglierlo a pagamento. «Ce
n’è uno considerato potente e allora, quando
arriva, molti nigeriani si riversano lì anche da altre parti
di’Italia. Vende braccialetti con la scritta Holy ghost
fire», spiega Blessing Okoedion nel libro in cui
racconta la
sua storia.
L’intreccio tra religione
cristiana, business e il rito ju-ju,
che lega le ragazze ai propri
sfruttatori, è un capitolo anche della sua storia personale.
«Alice
è stata molto furba, mi ha ingannata
facendosi passare per una donna di Chiesa. Faceva di tutto per
mostrarsi molto pia e devota ma non si è fatta scrupolo a
raggirarmi e trafficarmi»
Blessing
ha 33 anni ed ha appena superato
l’esame di maturità in Italia: «Ho preso
64», racconta. Laureata in informatica, assembla
e ripara
computer a Benin City quando incontra una donna che le propone di
trasferirsi a Napoli per lavorare nel nuovo negozio del fratello.
Quando arriva a Castel Volturno però si ritrova una
“mamam”
che le spiega di accettare anche 15, 10
euro e di non rifiutare nessuno. Era il marzo 2013. Oggi lavora come
interprete e mediatrice culturale e la sua nuova vita la deve alla
Polizia e a Casa
Rut, che negli anni di ragazze ne ha accolte
500,
più 80 bambini.
Alcune lavorano nella cooperativa NewHope:
accessori fatti con stoffe africane e negozio nella più
bella via di Caserta, perché «la
dignità si restituisce con la bellezza. Non le facciamo
sentire delle bisognose, ma persone in grado di farsi valere per quello
che sono, che pensano con la propria testa» dice
suor Rita.
«Si tollerano le ragazze anche in
zone centrali», dice don Carmine. «Lo stiamo
notando anche dalla geografia delle abitazioni da cui partono e
rientrano». La
Caritas di Caserta le va a trovare in strada.
Alle 20 parte l’auto con lui in tonaca e i volontari. Si
chiede il permesso prima di scendere, e se c’è, ci
si stringe la mano, sono festose. «Chiedo di potermi sedere
con loro, poi iniziamo a parlare bevendo cioccolata o il tè
caldo che abbiamo portato, o regaliamo loro una rosa».
Solo
dopo varie visite escono le loro storie. L’importante
è non essere invadenti, non chiedere, meritare la loro
fiducia. «Parlando,
emerge che vivono in condizioni pietose.
Poi arriva la telefonata di chi le controlla»,
racconta don
Carmine. Quando qualche auto passa con insistenza vuol dire che il
tempo è scaduto: si prega tutti insieme, benedizione e si
risale in auto. Certe sere le ragazze sono più felici di
altre: «Stasera
gioca il Napoli». Vuol dire che per
strada i clienti saranno pochissimi.
Le
"Cose Nostre"
Ha la forma di una sirena, uno specchio in
mano, i capelli lunghi, indossa perle e pettini preziosi. Mami
Wata
è una divinità recente, le organizzazioni
criminali fanno giurare le ragazze su di lei, è creata per
invocare e giustificare la ricerca sfrenata di benessere.
Gli africani
vogliono somigliare nello stile di vita all'Europa. E per raggiungerlo,
fanno soldi con tutto, hanno perduto i loro valori antichi.
Le radici culturali della vendita di esseri
umani parte proprio da questo concetto, fare soldi ad ogni costo senza
guardare in faccia nessuno, nemmeno una figlia, una sorella, un'amica.
Abbiamo
ricevuto minacce di morte per le
indagini sui "fidanzati" dalla stessa comunità nigeriana:
«Le cose
nostre devono rimanere tra noi», hanno
detto. «Donne
e minori sono mercificati da genitori,
familiari e persino leader della comunità e questo ha
autorizzato la società a ignorare i loro diritti
fondamentali. Questo è pericoloso per il benessere delle
donne in qualsiasi Paese», spiega Joseph
Chidiebere Osuigwe,
che ha ideato e lanciato Talkam,
un’app
con cui si
può segnalare ogni tipo di violazione dei diritti umani.
A
inizio anno è stata resa nota
l’esistenza di uno scambio di informazioni tra Fbi e Polizia
italiana, i cui investigatori sono esperti delle modalità
criminali e della ramificazione in Italia e in Europa dei clan mafiosi
nigeriani. Per Osuigwe «è
importante lo scambio di
informazioni. La condanna di queste mafie dovrebbe comprendere anche la
destinazione delle loro ricchezze alla cura dei sopravvissuti»
La maggioranza delle
“sopravvissute”
in Italia, si trova in carcere, o
nel “sommerso”.
La speranza arriva dalla
seconda e
terza generazione: «Non ha nulla a che vedere con
questo
fenomeno, bisogna valorizzarle, dare loro opportunità,
altrimenti si innesca lo stesso meccanismo. Da troppo tempo gli
africani pensano che si possa fare soldi con tutto. Cosa possono fare
di più che vendere le proprie sorelle?»