Non Una di Meno. Verso il 23N, chiamata per artist@ e cospiratrici

23 Novembre, Roma ore 14:00 @Piazza della Repubblica

Non una di meno
23-24 Novembre. Manifestazione a Roma contro la Violenza maschile sulle Donne

23 Novembre, Roma, ore 14:00 @Piazza della Repubblica.

Siamo le attiviste di Non Una di Meno, il movimento transfemminista che combatte la violenza maschile, razzista, economica ed ambientale.

Il 23 novembre inonderemo le strade di Roma e vorremmo averti con noi.

Perché le tue performances, le tue immagini, la tua musica e le tue parole raccontano di donne che vogliono trasformare il mondo, di corpi desideranti che si ribellano alla misoginia, al razzismo e al ricatto della povertà.

Perché ogni rivolta ha bisogno di corpi, suoni, immagini e parole.

Ti invitiamo a unirti a noi, come puoi:

  • Vieni in corteo,
  • Usa i microfoni di "Non Una di Meno",
  • Sostieni #NonUnadiMeno sui social con un post,
  • Diffondi un’immagine del pugno di fuoco o il pañuelo fucsia, simboli del movimento.

Da oggi al 23 novembre e all’infinito, respiriamo e cospiriamo insieme "Contro la Violenza maschile sulle Donne".

Che la rivolta abbia inizio!

Manifesti

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Mi chiedo che paese sia

Le pillole di Maris Davis

Mi chiedo che paese sia

Una donna ormai anziana, reduce dei campi concentramento, costretta ad avere la scorta a causa delle minacce dei "nuovi fascisti"

Mi chiedo che paese sia quello in cui una donna, ormai anziana, reduce dei campi di concentramento nazisti, ha bisogno della scorta perché ogni giorno minacciata dai fascisti e dai razzisti.

Mi chiedo con quale faccia (di bronzo) l'ex-ministro dell'interno Salvini dice di sentirsi vicino a Liliana Segre, dopo che lui stesso ha provocato tutto questo clima di odio e di intolleranza in Italia.

Mi chiedo come possano definirsi "non razzisti" tutti quelli che restano indifferenti a questa onda nauseabonda che puzza di razzismo e che ormai ha invaso l'Italia.

Mi chiedo come si possa tollerare che una donna italiana impedisca ad una bambina, anch'essa italiana, di sedersi accanto a lei sull'autobus solo perché il colore della pelle di quella bambina è nero. C'è chi vuole il ritorno dell'apartheid.

Mi chiedo con che dignità umana ci si possa ancora "vantare" di appoggiare una politica rude e razzista, causa principale dell'odio che circola IMPUNITO, nell'indifferenza di troppi, ogni giorno.

La faccia tosta di Salvini

Dopo l'assegnazione della scorta a Liliana Segre, Salvini ha cercato in tutti i modi di incontrare la senatrice a vita. Ci pensate la faccia tosta ?? Colui che ha provocato con le sue dichiarazioni rozze e discriminatorie tutto questo clima fosco di odio, che è la causa principale della discriminazione tollerata, giustificata politicamente, forse per lavarsi la coscienza, o più probabilmente per una mossa di marketing mediatico, avrebbe voluto incontrare una reduce dei campi di sterminio nazisti.

Certo, Salvini nell'immediato, ha rilasciato una dichiarazione di circostanza per manifestare la sua solidarietà alla Senatrice Segre, ma poi voleva anche incontrarla. Per fortuna quell'incontro non è mai avvenuto, pensiamo che la senatrice abbia, giustamente, declinato l'invito. Sarebbe davvero stato inopportuno.

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Un autobus all’ora di punta

Le pillole di Maris Davis

Un autobus all’ora di punta

No, qui non ti siedi”. Alessandria, razzismo su un autobus verso una ragazzina di colore

"Alabama 1955?
No, Alessandria 2019"

Sale una mamma africana con due bambini. Una dei due, 7 anni, vede un posto a sedere libero accanto a una signora, occupato solo da una borsa della spesa. Prova a sedersi.

La risposta è agghiacciante: “No, qui non ti siedi!” Ha 60 anni, e ha appena detto a una bambina di 7 che non c’è posto per lei, di stare alla larga, nel silenzio assordante dell’intero autobus, compresa la mamma della bambina, che guarda a terra, troppo annichilita per alzare lo sguardo, troppo inerme per reagire.

Quasi tutto il bus. Perché a bordo c’è anche Vittoria Oneto, una consigliera comunale del Pd che ha assistito a tutta la scena. E non si è voltata dall’altra parte. “Sposti la borsa, la faccia sedere” intima alla donna. “Si faccia gli affari suoi” è la risposta, sempre la stessa.

Come se non fossero “affari suoi, come se quella cosa non ci riguardasse. Ma Vittoria è la persona sbagliata. Vittoria è una donna, un essere umano dove non ti aspetti più di trovarlo. Vittoria insiste, le grida “Vergogna” con tutto il fiato che ha in corpo, le fa spostare la borsa, fa sedere la bambina nel posto che le spetta, di fronte agli sguardi schifati della donna e nel silenzio generale.

Vittoria scende dall’autobus e non regge. Scoppia a piangere

Per il nervoso, per la tristezza per il senso di sconfitta che ho provato e provo. Come se questi giorni non fossero già dolorosi. È questo quello che siamo? È questo quello che vogliamo essere? Io non voglio crederci

E invece accade ogni giorno, su autobus, treni, stazioni, bar, ovunque. Sempre più spesso. Ma, finché ci saranno nei paraggi donne come Vittoria che non si rassegnano all’orrore, che reagiscono, che non restano al loro posto, che non si fanno “gli affari propri”, finché non ci volteremo dall’altra parte di fronte ai razzisti, vinceremo noi.
Grazie Vittoria.

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Accade nello studio di Del Debbio

Le pillole di Maris Davis

Accade nello studio di Del Debbio

“Nella mia borgata vige ordine e disciplina. Devi fare quello che dico io”

Accade nello studio di Del Debbio (Rete 4, Mediaset). Portano un fascista dichiarato, che così esordisce: “Nella mia borgata vige ordine e disciplina. Devi fare quello che dico io”. E quando una donna, Francesca, esterrefatta gli chiede: “Scusa ma in che film?”, il gentiluomo l’ha guardata dritta in faccia e le ha detto: “Te li faccio vedere io i film, se vieni nella mia borgata ..

Ha iniziato ad intimidirla, in perfetta prassi fascista. È allora intervenuto Vauro, presente in studio, che l’ha affrontato di petto e gli ha gridato: “Fammelo vedere a me! Fascista di me…a, vergognati, hai minacciato una donna”. E sapete cosa? Del Debbio, il padrone di casa, non è intervenuto in difesa della donna. Né, tanto meno, di Vauro.

Ha minacciato di cacciare tutti dallo studio. Ma si è guardato bene da prendere, con decisione, le difese della donna aggredita, fronteggiando quell'uomo. Ha trattato tutti alla pari: come se intimidire una donna fosse un litigio tra scolari in una classe. Come se le parole e le intimidazioni di quella persona fossero normali.

Perché da ognuno di questi episodi loro escono più sicuri di sé. Rafforzati. Legittimati.

Finché continueremo a trattare con normalità le parole e le azioni dei fascisti, la situazione, nel Paese, non potrà che peggiorare. Perché da ognuno di questi episodi loro escono più sicuri di sé. Rafforzati. Legittimati. E questo no, non possiamo più consentirlo. E a capirlo dovrebbero essere soprattutto le persone come Del Debbio.

Il nuovo fascismo cresce nelle periferie

Il giornalista Paolo Del Debbio, travolto dalle polemiche, cerca di difendersi

"A me sul fascismo non mi dovete rompere il cazzo"

A "Dritto e Rovescio" il giornalista risponde alle polemiche per la presenza in studio di Massimiliano Minnocci, un noto esponente dell'estrema destra. "Sono figlio di un deportato"

"Mi preme rispondere a chi dice che io sdoganerei il fascismo. Io sono figlio di un deportato, mio padre è stato deportato nel campo di Buchenwald, 30 chilometri sotto Berlino. So qual è la parte sbagliata e quella giusta. A me sul fascismo, cari giovanotti e giovanotte, Pd o non Pd, non mi dovete rompere il cazzo. Io so esattamente quello che è giusto e quello che è ingiusto a proposito di questo". Paolo Del Debbio a Dritto e Rovescio risponde così alle critiche per aver ospitato in studio Massimiliano Minnocci, esponente di estrema destra, in una puntata precedente.

In quell'occasione Minnocci, detto Brasile, aveva attaccato pesantemente, fino alle minacce, la giornalista Francesca Fagnani (attuale compagna di Enrico Mentana) presente in studio. Il vignettista Vauro si era alzato a difesa della Fagnani e i due erano arrivati al faccia a faccia. In quell'occasone Del Debbio, padrone di casa, lasciò che l'esponente di estrema destra minacciasse la giornalista ed intervenne con colpevole ritardo e per questo, in seguito, criticato da molti.

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A voi che

Le pillole di Maris Davis

A voi che

A voi che non è xenofobia perché è ironia da stadio e goliardia

A voi che non è fascismo se non c'è il fez, la camicia nera, il braccio alzato e il fascio littorio

A voi che non è xenofobia perché è ironia da stadio e goliardia

A voi che non è razzismo ma è "un fenomeno" che vale meno di un operaio

A voi che "nero di merda" non è odio ma è libertà di parola

A voi che il rispetto dell'altro è "bavaglio"

A voi che non è dolo ma un cortocircuito dell'impianto

A voi che non sono naufraghi e disperati, ma invasori

A voi che non è ignoranza ma genuinità del popolo

A voi che non è manipolazione delle masse ma è bravura a usare i social

A voi che non è incitazione all'odio ma comunicazione politica e propaganda legittima

A voi che non è umanità ma buonismo

A voi che non è terrorismo psicologico contro "l'altro" ma è selezione dei fatti di cronaca

A voi che non è nazionalismo ma patriottismo

A voi che i problemi dell'Italia è colpa loro

A voi che continuate a fingere di non aver capito, ma invece avete capito benissimo. Ma fingete, perché vi fa comodo così. Perché tanto non tocca voi. Ma a voi diciamo una cosa. Non ve lo consentiremo.

L'Italia, la sua bandiera, la nostra Patria, altro non sono che la nostra Costituzione. E la nostra Costituzione, scritta e intinta nel sangue di chi ha già dato la vita per voi, traditori della Patria, è democratica, repubblicana, parlamentare e antifascista.

E antifascista non significa che ripudia solo qualsiasi partito o movimento di imbecilli repressi che decida di chiamarsi Fascista. È antifascista perché ripudia la guerra, ripudia la violenza, ripudia il razzismo, ripudia il culto del capo, dell'ignoranza, della forza, della disuguaglianza e di quell'insieme di idee criminali e criminogene che ieri chiamavate "fascismo" e oggi mascherate sotto altri nomi.

Da oggi a causa vostra, anche della vostra silenziosa complicità, Liliana Segre vivrà sotto scorta. Un giorno dopo l'ennesimo rogo dei libri. E l'ennesimo "nero di merda". Da oggi in Italia un'ebrea deportata 80 anni fa e sopravvissuta ad Auschwitz ha perso di nuovo, di nuovo, la sua libertà. Quando meno lo credeva possibile. Quando credeva d'aver chiuso i conti col passato.

Perché qualcuno vi ha lasciato intendere che oggi potete di nuovo farvi sentire. Che oggi il razzismo non è più un crimine, e non sarà mai una priorità perché "vengono prima altri problemi". Che oggi l'odio sistematico e organizzato è libertà di espressione.

Ma non ve lo consentiremo

Sappiate che i vostri "valori" sono contrari ai valori del Paese in cui avete il privilegio di vivere, sono contrari ai valori della nostra Costituzione, della Resistenza, della nostra Patria, dell'Italia. Ne sono il tradimento.

Da oggi tutti siamo chiamati a prendere posizione. O di qua o di là. Non c'è più una zona grigia sulla quale si possa giocare e far finta che sia normale dialettica politica tra partiti che si confrontano nello stesso alveo costituzionale.

Qui ci sono partiti costituzionali e partiti anti-costituzionali. L’Italia è sotto l’attacco di un esercito di traditori che vogliono distruggerla e sostituirla con altro. Oggi o si è con l'Italia e la Costituzione e i suoi valori, o si è contro l'Italia e i suoi valori scritti nella Costituzione.

In mezzo non si può più. In mezzo si è solo complici

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Razzismo negli Stadi (e non solo)

Le pillole di Maris Davis

Razzismo negli Stadi (e non solo negli Stadi)

Domenica a Verona, durante la partita Verona-Brescia, si è consumato l'ennesimo atto di "razzismo" contro un giocatore di colore.

Mi ha fatto davvero "schifo" la società del Verona che, per bocca dell'allenatore prima, e poi nelle dichiarazioni del presidente, hanno minimizzato l'episodio relegandolo a semplici "sfottò" della curva.

Come se non bastasse questa mattina il capo-ultrà dei veronesi rilascia un'intervista dicendo che Balotelli NON è italiano perché nessun "negro" può mai essere italiano, nemmeno io quindi.

Nemmeno le ragazze di colore dell'atletica italiana che hanno contribuito alle medaglie "italiane" agli ultimi mondiali.

Nemmeno le ragazze della pallavolo femminile che hanno fatto arrivare l'Italia ai vertici mondiali ed europei.

Nemmeno i tanti altri calciatori neri (non c'è solo Balotelli) della serie A e della serie B italiana, per non parlare dei tantissimi che militano nelle squadre minori.

Nemmeno il quasi milione di bambini di colore nati e cresciuti in Italia, che studiano e vanno a scuola, che fanno sport in Italia.

E poi mi vengono a dire (proprio a me) che in Italia il razzismo non è esiste. Eccome se esiste, adesso è perfino "spavaldo e arrogante" spalleggiato da una certa politica becera e rude, come dimostra quell'ultrà veronese che il giorno dopo ha fatto dichiarazioni aberranti e "razziste" affermando che i neri non potranno mai essere italiani fino in fondo. Uno così dovrebbe essere nelle "patrie galere" e non libero di "vomitare sterco"

La prova che l'Italia scivola sempre di più verso il razzismo è anche il fatto che le destre compatte si sono astenute in Parlamento sulla Commissione Segre contro il Razzismo, ma è soprattutto il fatto che sempre di più la società italiana "tollera" certi episodi minimizzandoli.

Se va avanti così temo che il prossimo "Mussolini" NON è lontano. La Storia a qualcuno NON insegna nulla.

Spero e mi auspico che la gente perbene si svegli, non resti indifferente, ed inizi a ribellarsi a questa deriva. E mi auguro che il "Verona Calcio" abbia dalla federazione una SEVERA ed esemplare punizione (che alla fine è risultata essere la semplice chiusure della curva per una sola giornata, che tristezza). NON è più possibile MINIMIZZARE.

E poi si viene a sapere perfino che alcuni consiglieri comnali di destra veronesi sono intenzionati a denunciare Balotelli per aver "offeso" la città di Verona. Tristezza infinita.

Per fortuna la società del Verona Calcio (almeno quella) si è riscatta, impedirà al capo-ultrà razzista di entrare allo stadio per dieci anni.

"Non sono razzista, ma .. C'è un'Italia che sta facendo l'abitudine al Razzismo"
(mio articolo, giugno 2019)

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Mi sono sbagliata. Su Matteo (Renzi)

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Mi sono sbagliata. Su Matteo (Renzi)

Mi sono sbagliata .. su Matteo (Renzi), si avete capito bene, proprio lui Renzi, il Matteo che pensavo quello "giusto".

Ma voi di destra non fatevi illusioni, l'altro Matteo (Salvini) per me resta sempre un razzista, il peggio del peggio della politica italiana.

Renzi, già alle ultime primarie del PD votai Zingaretti, su di lui avevo già le prime ombre, non uno statista come lo credevo, ma solo un opportunista di bassa lega come si è dimostrato poi con la scissione, i modi e i tempi di quella scissione. Ho avuto la prova del suo opportunismo.

Già al tempo del famoso referendum costituzionale lo avevo avvertito, non che quelle riforme fossero sbagliate, ma gli italiani non avrebbero capito, troppe cose in una volta sola. Ma lui no, testardo, o tutto o niente. Il risultato è che ora gli italiani NON hanno NIENTE. O magari si, hanno un Salvini in più, minaccioso come non mai. Hanno in più discriminazioni e razzismo dilaganti e minacce alla libertà.

Che tristezza, caro Renzi, che adesso ti impunti sulle piccole cose della finanziaria, e non fai altro che amplificare i megafoni della destre e delle loro bugie. Ti sei seduto sui banchi di un governo coraggioso, ma lo contrasti come fossi all'opposizione anche se sai benissimo che questo governo è l'unico argine all'avanzata di una destra che discrimina, fascista. Ti impunti per i quattro soldi della sugar-tax e della plastic-tax solo per darti visibilità spicciola, anziché elogiare (per esempio) la cancellazione del super-ticket sanitario, i soldi che arrivano in più nelle buste paga della gente che lavora. Vergognati.

Resta il dubbio se anche tu, caro Renzi, vuoi un'Italia più verde, più uguale, più bella, più libera, oppure se ti interessano solo le tue sorti politiche "personali". Idiota

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Rapporto OIM, in aumento il numero di ragazze potenzialmente vittime di tratta

Non solo dalla Nigeria, ora stanno arrivando anche dalla Costa d'Avorio. Nuovo rapporto OIM. “Spesso già sfruttate in Tunisia e Libia, sono a rischio di re-trafficking in Italia”. Gli arrivi di donne ivoriane è aumentato in modo esponenziale, passando dall'8% al 46%.

Rapporto OIM, in aumento il numero di ragazze potenzialmente vittime di tratta

In occasione delle celebrazioni per la Giornata Europea contro la Tratta, una delle forme di schiavitù moderna più diffusa del ventunesimo secolo, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) pubblica un rapporto su un nuovo fenomeno di sfruttamento recentemente emerso a seguito dell’analisi dei flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo Centrale.

Aumento esponenziale delle donne ivoriane in arrivo con i "barconi"

Un aumento di donne in arrivo dalla Costa d'Avorio passato nell'ultimo anno dall'8 al 46%. Tutte a grave rischio sfruttamento. Nel corso dell’ultimo anno l’OIM, presente nei principali punti di sbarco italiani con diversi team anti-tratta, ha rilevato un aumento della presenza di ragazze provenienti dalla Costa d’Avorio. “Abbiamo ragione di credere che molte di queste ragazze siano purtroppo vittime di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo e a volte anche sessuale”, spiega Laurence Hart, direttore dell’Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo dell’OIM. I numeri relativi agli arrivi via mare dei migranti provenienti dalla Costa d’Avorio rivelano come, a una riduzione del numero complessivo dei migranti di nazionalità ivoriana in ingresso in Italia negli ultimi anni, corrisponda il progressivo aumento della percentuale di donne coinvolte, dall’8% sul totale dei migranti di questa nazionalità sbarcati nel 2015 al 46% del 2019.

C'è chi paga il viaggio, ma poi si rivale sfruttando

Nella maggioranza di casi il Paese di partenza è la Tunisia, e, dai colloqui che abbiamo avuto con queste giovani ragazze, pare evidente che ci troviamo di fronte a quello che può essere definito un fenomeno di re-trafficking

Sottoposte a "servitù domestica" in Libia o in Tunisia, maltrattate e private della libertà personale, abusate dai loro "padroni", vengono vendute ai trafficanti per essere portate in Italia e sfruttate di nuovo. Il fenomeno del re-trafficking di ragazze della Costa d'Avorio è paurosamente aumentato

Molte, reclutate nel loro paese per lavorare come domestiche o cameriere, diventano invece vittime di servitù domestica una volta arrivate in Tunisia o in Libia, dove sono sottoposte a maltrattamenti, violenze e privazione della libertà personale, nonché costrette a subire abusi sessuali da parte dei loro sfruttatori. A questa fase ne segue un’altra, che prevede un ulteriore sfruttamento in Europa organizzato da persone che si dicono disposte a farsi carico dell’organizzazione e dei costi della traversata nel Mediterraneo, ma che poi hanno intenzione di sfruttare le vittime una volta giunte in Italia o in altri paesi dell’Unione Europea

La liberazione dagli aguzzini

Dopo lo sbarco in Italia alcune di queste vittime, consapevoli di poter incorrere in una rinnovata condizione di sfruttamento, hanno deciso di chiedere aiuto all’OIM per potersi finalmente liberare dai loro aguzzini. “La scoperta di questo circuito di sfruttamento dimostra ancora una volta come dietro ai numeri degli sbarchi ci siano storie molto drammatiche, di cui spesso si sa troppo poco. Non possiamo fare a meno di pensare alle ragazze ivoriane morte lo scorso 7 ottobre nel corso del naufragio avvenuto al largo di Lampedusa, una tragedia che ci riporta alla memoria l’altro drammatico incidente che nel 2017 causò la morte di 26 ragazze nigeriane, anche loro probabili vittime di tratta

In aumento il numero di prostitute-schiave in Italia

La lunga lotta anti-tratta

Occorre fare di più per proteggere questi gruppi di ragazze vulnerabili, che non solo subiscono una lunga serie di abusi e violazioni di diritti umani, ma poi si trovano costrette a rischiare di morire in mare

Come OIM ribadiamo la nostra volontà a continuare a impegnarci nella lotta alla tratta di esseri umani, promuovendo attività di identificazione e di protezione delle vittime rafforzando l’esistente stretta collaborazione con Procure, Forze dell’Ordine, Ministeri e organizzazioni che lavorano sul territorio

Dossier Save the Children sulle vittime di tratta. 1400 adolescenti schiave prostitute

I trafficanti le portano dalla Nigeria e dall'Est Europa. E le tengono sempre più nascoste, per sfuggire ai controlli. Il rapporto "Piccoli Schiavi" dà voce alle associazioni, preoccupate per le conseguenze del decreto Sicurezza.

Dossier Save the Children sulle vittime di tratta. 1400 adolescenti schiave prostitute

Adesso le nascondono. Le tengono segregate in appartamenti, o le portano lungo strade sempre più periferiche, isolate. E ovviamente le picchiano per non parlare, a Palermo come a Torino e in Germania. Sono le vittime della tratta sessuale, schiave giovanissime, neo maggiorenni o ancora bambine, costrette a vendersi da una rete di trafficanti che prima le obbligano a partire e poi a prostituirsi.

Il dramma della tratta delle schiave dalla Nigeria e dall'Est Europa, all'Italia e all'Europa è al centro del nuovo rapporto sui “Piccoli schiavi invisibili” di Save The Children. La Onlus, con il progetto “Vie d'uscita”, ha permesso l'anno scorso a 31 vittime di trovare un futuro, di uscire allo sfruttamento. Gli operatori in sole cinque regioni hanno incontrato oltre mille adolescenti sfruttate sessualmente. Mille e quattrocento schiave, obbligate a vendersi al costo di ferite fisiche e psicologiche talmente buie da cancellare le parole stesse per spiegarsi.

Le nuove forme di controllo e sfruttamento

L'ultima relazione semestrale della Direzione investigativa Antimafia ha dedicato ampio spazio al tema della tratta. A dicembre del 2018 la polizia ha arrestato otto nigeriani della confraternita “Eiye” a Torino, accusati di associazione di tipo mafioso, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione.

A marzo era stata la volta di Palermo, ad aprile di Cuneo; a maggio grazie alla denuncia di una minorenne, costretta a prostituirsi insieme a un'amica a Giugliano, è stata fermata una rete di sfruttamento a Napoli. Il mese scorso un'altra operazione, fra Palermo, Napoli, Dervio, in provincia di Lecco, e Bergamo ha fermato quattro uomini. Sono nigeriani, liberiani e italiani, tra cui un 78enne che faceva da vedetta e accompagnava le ragazze nelle zone di prostituzione.

Il controllo dei trafficanti infatti è totale. E così il loro tentativo di non perdere la “merce”, le ragazze. Daniela Moretti del Servizio anti-tratta “Roxanne” del Comune di Roma, spiega nel rapporto di Save the Children come i trafficanti cerchino infatti di occultare sempre più la presenza delle minorenni sul territori. Ricorrendo alla prostituzione in appartamento ad esempio piuttosto che in strada, dove è più facile vengano individuate dagli operatori. Questo rende sempre più difficile la possibilità di entrare in contatto con loro e di offrire percorsi di protezione.

«In Piemonte, e nello specifico nell’astigiano, è stato segnalato da Alberto Mossino di PIAM un aumento delle connection houses, ovvero case chiuse, ma aperte solo per uomini africani, in cui le ragazze possono affittare un posto letto il cui pagamento sarebbe garantito con i proventi derivanti dalla prostituzione», spiega il dossier sui “Piccoli Schiavi”: «Anche Andrea Morniroli di Dedalus ha riconosciuto come nella città di Napoli e provincia l’indoor rappresenti una modalità di sfruttamento assai diffusa e si stiano progressivamente sviluppando diverse connection houses». Morniroli ha raccontato come cercano comunque di entrare in contatto con le ragazze per offrire aiuto: «In questi casi si procede via telefono. Inizialmente ci si finge clienti al fine di capire il tipo di prestazioni offerte e quale sia il livello di autonomia. Molto spesso, componendo lo stesso numero non si riesce a parlare con la stessa persona e scopri che tre persone hanno 15 numeri diversi, così inizi a pensare ci sia un’organizzazione alle spalle»

È difficile, ma tentano lo stesso, continuamente, a spiegare alle ragazze le possibilità che offre loro il paese per salvarsi. Possibilità che esistono, sono radicate. Ma hanno bisogno di fondi, risposte legali, e standard di intervento sui documenti da parte delle questure. Proprio sul punto dei permessi si aprono oggi nuovi rischi, a causa del decreto Sicurezza voluto dal ministro dell'Interno Matteo Salvini.

Le conseguenze del decreto sicurezza

Lo stesso governo, il Conte uno, che ha aumentato i fondi per le iniziative anti-tratta (24 milioni di euro dal 2019 al 2021) ha voluto infatti un decreto che indebolisce gli strumenti con cui gli operatori possono aiutare le vittime. Con il Decreto sicurezza, spiega il rapporto di Save the Children, è stata abolita la protezione per motivi umanitari, ovvero il modello di permesso più utilizzato per le ragazze sfruttate. Che ora si troveranno in condizioni di non poterlo rinnovare. A meno di non riuscire a ottenere un nuovo visto di soggiorno per “casi speciali”, fra cui la violenza domestica e il grave sfruttamento.

Per le vittime di tratta esisterebbe da tempo un altro strumento, la protezione sociale “ex art.18”, ma il modo con cui viene accordata varia a seconda della Questura di appartenenza. Spesso viene infatti chiesto che la vittima, per ottenere il documento, denunci dettagliatamente le persone che l'hanno costretta a prostituirsi. Una denuncia che le espone, di fatto, a una vendetta dei trafficanti. Di cui hanno paura, per sé o per la propria famiglia. Da tempo le associazioni chiedono che vengano stabilite linee guida perché alle ragazze che si ribellano e iniziano un percorso di reinserimento sia riconosciuto un permesso, a prescindere dalla denuncia.

Ci sono poi altre due conseguenze del decreto Sicurezza. Con la chiusura dell'accesso nelle piccole strutture comunali della rete Sprar per la prima accoglienza, le ragazze si ritrovano oggi nei centri straordinari. Dove è maggiore il numero di persone e spesso inferiore la preparazione dei gestori. Così è difficile che i responsabili si accorgono dei segnali di disagio di una vittima o di una potenziale sfruttata. Lasciandola in balia dei trafficanti, anche all'interno stesso del centro. Infine, secondo il decreto Salvini chi ha un permesso di protezione internazionale non può iscriversi all'anagrafe.

«E benché l’accesso ai servizi, come l’iscrizione sanitaria, ai sensi del Decreto, sia assicurato nel luogo del domicilio, la residenza rappresenta di fatto la chiave per l’esercizio effettivo di alcuni diritti fondamentali riconosciuti dalla nostra Costituzione. Inoltre alcune ASL continuano a richiedere la residenza, ostacolando l’accesso al servizio sanitario. Che rappresenta uno degli strumenti essenziali per garantire assistenza alle vittime di sfruttamento sessuale»

Non chiamateli clienti

Trovare ogni mezzo per abolire questo business orrendo deve invece restare una priorità. Legale. Ma anche culturale. «Non si può ignorare il fatto che il fiorente mercato dello sfruttamento sessuale delle minorenni è legato alla presenza di una forte “domanda” da parte di quelli che ci rifiutiamo di definire “clienti”, i quali sono parte attiva del processo di sfruttamento. È necessario rafforzare l’azione di contrasto e, allo stesso tempo, promuovere iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica e in particolare i più giovani sui danni gravissimi che questo mercato provoca sulle ragazze che ne sono vittima»

Non chiamateli clienti. Sono solo "aguzzini" di passaggio che approfittano della sofferenza di ragazzine minorenni. Chiamateli piuttosto "stupratori a pagamento"

Minorenni come Happy. Una ragazza a cui la violenza ha tolto anche le parole: non riesce a raccontare tutta la sua storia. Interi pezzi della sua vita restano neri, silenzio.

Cresciuta in una famiglia numerosa di Benin City, in Nigeria, la sua storia ricalca quella di molte, troppe, sue coetanee, convinte come lei a partire con una promessa. Nel suo caso l'impiego in un bar. Affronta la rotta lungo il deserto, in Libia iniziano gli abusi. Quindi il gommone, il salvataggio nel canale di Sicilia, la trappola della rete di contatti che le forniscono tutto, biglietti, documenti, indirizzi, fino all'incontro con la donna che la porta al lavoro. In Germania. È lì che Happy viene costretta a prostituirsi da un'aguzzina che le requisisce tutto, compreso il telefono per parlare con la famiglia. In compenso la porta dal parrucchiere, la istruisce su cosa dire alla polizia per il permesso, l'accompagna in strada, controlla e prende i soldi alla fine dei rapporti.

«Una mattina sono tornata dal lavoro in strada all’alba ed ero sfinita, mi sono messa a letto ma Zainab (la mamam) mi ha svegliata e mi ha costretto con violenza ad avere rapporti con un cliente. Dopo quella volta ho detto che volevo parlare con i miei genitori, che non sopportavo più quella vita, e mi stavo preparando i bagagli per chiedere aiuto a quelli dell’accoglienza, ma lei ha fatto entrare in casa due uomini nigeriani, che hanno cominciato a spintonarmi e a insultarmi. Ho cercato di scappare ma mi hanno presa a calci; mi sono accorta che uno dei due aveva in mano una pentola con acqua bollente, a quel punto mi sono buttata dalla finestra. Mi sono fatta molto male, qualcuno del vicinato mi ha soccorsa ma in ospedale non potevano operarmi perché ero senza documenti. Io per paura non ho raccontato nulla; poi è arrivata la Polizia e mi ha portato in cella. Mi hanno preso le impronte. Avevo molto male perché non mi curavano abbastanza. Dopo due settimane mi hanno accompagnata in aeroporto per rimandarmi in Italia»

È in Italia che ha incontrato i ragazzi di Vie d'Uscita ed è riuscita a cambiare il suo presente. È entrata in una comunità protetta, quindi in un programma di formazione. Grazie ai corsi, ha iniziato a lavorare come stagionale in un hotel.

Nigeria. Migliaia di minori imprigionati arbitrariamente con l’accusa di essere complici di Boko Haram

Migliaia di bambini e bambine sono stati incarcerati in modo arbitrario, anche per anni, in condizioni disumane, picchiati e umiliati dall’esercito federale nigeriano nella decennale lotta al movimento terrorista nel nordest. A denunciarlo è un rapporto di Human Rights Watch contestato dai vertici militari.

Nigeria. Migliaia di minori imprigionati arbitrariamente con l'accusa di essere complici di Boko Haram

L’esercito nigeriano avrebbe arbitrariamente arrestato migliaia di bambini per sospetto coinvolgimento con il gruppo islamista Boko Haram. La sconcertante notizia è diventata un rapporto di cinquanta pagine pubblicato da Human Rights Watch (HRW) e intitolato “They didn’t know if i was alive or death” (Loro non sapevano se io fossi vivo o morto), dove è spiegato che tutti questi minori per mesi, e in alcuni casi per anni, sono rimasti detenuti senza specifiche accuse.

Più di 3.600 bambini, tra cui 1.617 ragazzine, sono stati arrestati dalle forze armate nigeriane tra il 2013 e il 2019, secondo i dati raccolti dalle Nazioni Unite. A riguardo, HRW afferma che le autorità nigeriane non hanno consentito l’accesso ai siti di detenzione per verificare queste cifre e di conseguenza non si conosce l’esatto numero dei bambini e delle bambine attualmente detenuti.

Alcuni avevano appena cinque anni

Il dettagliato report rileva che alcuni dei bimbi detenuti avevano appena cinque anni. Altri hanno raccontato di essere stati stipati in centinaia in celle roventi e affollate con un unico bagno nella famigerata caserma di Giwa, nella città nord-orientale di Maiduguri. Prima di arrivare lì, diversi minori hanno raccontato di essere stati oggetto di pestaggi per mano delle forze di sicurezza.

Ibrahim, 10 anni, ha riferito che quando aveva 4 anni, dopo un attacco di Boko Haram è fuggito insieme alla sua famiglia dal loro villaggio ed è stato arrestato dai militari. Dopo la cattura è stato accusato insieme ai suoi familiari di far parte del gruppo jihadista ed è stato ripetutamente percosso con una corda di pelle. Saeed, 17 anni, inizialmente detenuto nella città di Banki, ha dichiarato di essere stato appeso a un albero, dove è stato bastonato e frustrato da alcuni membri della Task force civile congiunta (Cjtf), una milizia di autodifesa formatasi nello stato di Borno con l’appoggio delle forze di sicurezza federali.

Accuse respinte dall'esercito

Le accuse sono state respinte al mittente dall’esercito: «I militari hanno arrestato solo i bambini che tentavano di compiere attentati e che hanno fornito un tacito sostegno agli insorti, comprese informazioni sui movimenti delle truppe. Ciononostante, i bambini sono stati trattati come vittime di guerra e non come sospetti terroristi»

Quest'ultimo rapporto si inserisce in un più ampio contesto di accuse all'esercito nigeriano

Il rapporto di Human Rights Watch (HRV) si inserisce in un modello più ampio di presunti abusi da parte delle forze di sicurezza del paese africano che combattono il gruppo estremista Boko Haram da più di un decennio.

Nel giugno 2015, con un report, Amnesty International ha denunciato la morte di almeno 7.000 persone che erano detenute presso strutture militari nel nord-est della Nigeria. Nel maggio del 2018, un’indagine della stessa organizzazione ha rivelato che migliaia di donne e ragazze liberate dai jihadisti sono state sistematicamente oggetto di abusi sessuali da parte dei militari, in cambio di cibo e assistenza. Più recentemente, migliaia di civili in fuga da Boko Haram sono stati trasferiti in aree non sicure dal governo, che in vista delle elezioni presidenziali del 2020 vuole dare l’impressione di aver restituito sicurezza al nord-est della paese.

"Ci hanno tradite"

Le donne scampate a Boko Haram stuprate dai loro soccorritori

Report Amnesty International

Migliaia di donne e ragazze sopravvissute alla brutalità del gruppo armato Boko Haram sono state successivamente stuprate dai soldati che sostengono di averle liberate.

Sono le principali evidenze emerse grazie al lavoro di ricerca sul campo e rese pubbliche nel report di Amnesty International “Ci hanno tradite“.

Il lavoro di ricerca è il risultato di un’ampia indagine, realizzata attraverso oltre 250 interviste e riguardante “campi satellite” istituiti dalle forze armate nigeriane in sette città dello stato di Borno. Comprende interviste a 48 donne e ragazze rilasciate e l’analisi di video, fotografie e immagini satellitari.

L’esercito nigeriano e la milizia alleata, chiamata Task force civile congiunta (Cjtf), hanno separato le donne dai loro mariti confinandole in “campi satellite”. Lì le hanno stuprate, a volte in cambio di cibo.

È stato documentato che dal 2015 migliaia di persone sono state ridotte alla fame nei campi dello Stato di Borno, nel nordest della Nigeria. Migliaia di donne costrette a fare sesso con i militari in cambio di cibo per se e per la famiglia, quelle che si sono rifiutate ridotte alla fame.

Suona completamente scioccante che persone che hanno già tanto sofferto nelle mani di Boko Haram siano condannate a subire ulteriori tremendi abusi da pare dell’esercito. Invece di essere protette, donne e ragazze sono costrette a sottostare agli stupri per evitare la fame

"They Betrayed us"

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RD Congo, non solo ebola. Strage di bambini per la più grande epidemia di morbillo al mondo

I decessi causati dalla più grande epidemia al mondo di morbillo, nella Repubblica Democratica del Congo, raggiungono le 4.000 unità. Da gennaio sono stati riportati 203.179 casi di morbillo in tutte le 26 province del paese, e per la precisione 4.096 sono morti, il 90% erano bambini. Sono i dati allarmanti forniti dall'Unicef, che sta proseguendo il programma di vaccinazione.

Proprio i più piccoli, sotto i 5 anni, rappresentano il 74% dei contagi e circa il 90% dei morti. Il numero di casi di morbillo in Repubblica Democratica del Congo quest'anno è più che triplicato rispetto a tutto il 2018. L'epidemia di morbillo ha causato più morti dell'Ebola, che, ad oggi, ha ucciso 2.143 persone. "Stiamo combattendo l'epidemia di morbillo su due fronti: prevenendo i contagi e prevenendo le morti", ha dichiarato Edouard Beigbeder, Rappresentante Unicef in Repubblica Democratica del Congo.

Oltre 4000 morti. È il terribile bilancio, denunciato dall'Unicef, causato dal morbillo nella Repubblica Democratica del Congo.

La più grande epidemia al mondo

L'organizzazione umanitaria dell'ONU parla di "più grande epidemia al mondo di morbillo". 4000 morti, dei quali il 90% è rappresentato da bambini sotto i 5 anni. Oltre 200mila le persone colpite dal virus. L'Unicef comunica di essere impegnata in una sorta di lotta contro il tempo vaccinando altre migliaia di bambini e distribuendo farmaci salvavita nei centri sanitari.

Lotta su due fronti

Da gennaio sono stati riportati 203.179 casi di morbillo in tutte le 26 province del Paese centroafricano, 4096 le vittime.

"Stiamo combattendo l'epidemia di morbillo su due fronti", ha dichiarato Edouard Beigbeder, rappresentante Unicef, "vaccinazioni dei bambini e fornitura alle cliniche di medicine che possano trattare i sintomi e migliorare le probabilità di sopravvivenza per tutti quelli già colpiti dalla malattia". Nei prossimi giorni saranno distribuiti oltre mille kit medici. I kit contengono antibiotici, sali per la disidratazione, Vitamina A, antidolorifici, antipiretici e altri aiuti per colpire questa malattia altamente contagiosa e potenzialmente letale.

Peggio dell'Ebola

L'epidemia di morbillo ha causato più morti del virus dell'Ebola, che, ad oggi, ha ucciso 2143 persone.

Morbillo, secondo l'Oms quasi triplicati i casi nel 2019

Sky TG24

Burundi, la calma del terrore prima del genocidio

Secondo
la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Burundi i fattori
che potrebbero portare al genocidio sono stati rilevati, ma se questo
ci sarà non si può sapere.

La
Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Burundi

(COIB)
ha dichiarato che il rischio di genocidio nel Paese potrebbe esserci.
«Analizzando
l’escalation delle violenze dal 2015 ad oggi siamo riusciti
ad individuare tutte le atrocità e l’odio
razziale, indicatori di un futuro genocidio
»,
«Finora
è una crisi politica con elementi etnici
»,
così nelle dichiarazioni rilasciate dai componenti della
Commissione, Doudou Diène (Senegal), Lucy
Asuagbor (Camerun)
e Françoise Hampson (Regno
Unito
), a margine della pubblicazione del rapporto, lo
scorso 4 settembre.

La Commissione è stata
creata il 30 settembre 2016 con la risoluzione 33/24 del Consiglio dei
diritti umani delle Nazioni Unite, con il mandato di condurre
un’indagine approfondita sulle violazioni dei diritti umani e
gli abusi commessi in Burundi dall’aprile 2015, per
identificare i presunti autori e formulare raccomandazioni. Il
rapporto è stato
presentato ufficialmente il 17 settembre al
Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra
.

L’Ufficio
Prevenzione
Genocidi delle Nazioni Unite
, dinnanzi a prove inconfutabili
di un
genocidio
, ha
il potere di ordinare l’immediato intervento
militare offensivo dei Caschi Blu
in virtù del
principio
della Responsabilità di Proteggere i civili. Solo un veto in
votazione del Consiglio di Sicurezza può fermare
l’intervento. Chi
oppone il veto si prende la
responsabilità in caso di genocidio avvenuto
.

I
fattori presi in considerazione
dalla Commissione sono diversi
. Instabilità
politica, crisi
economica, il clima di odio etnico, l’impunità per
le violazioni dei diritti umani, un sistema giudiziario debole,
l’assenza di media indipendenti e della libertà di
espressione, la formazione di milizie etniche.

Froncoise
Hampson
, membro
della Commissione
, parla
di un clima di terrore e paura che da Bujumbura si è esteso
nelle campagne
. I discorsi inneggianti all’odio
razziale, le Imbonerakure (milizia
giovanile a sostegno del partito al potere CNDD-FDD
),
la caccia all’oppositore e le violenze commesse hanno
raggiunto dimensioni etniche. «L’analisi e le
conclusioni tratte dallo studio sulla situazione attuale in Burundi non
può predire se e quando avverrà il genocidio,
come, e in quale forma. Può
solo allertare che il rischio di
genocidio è reale
»,
spiega Hampson. In
sostanza
: i
fattori che potrebbero portare al genocidio sono stati rilevati, non
è possibile prevedere se il genocidio scoppierà
.

Il
rapporto ONU guarda con preoccupazione alle elezioni del 2020

Il
rapporto
guarda con preoccupazione alle elezioni del 2020
che, recita,
«rappresentano
un grave rischio
», anche in
considerazione
del fatto che il Governo sta aumentando il controllo sulle
organizzazioni non governative e non esisteva un vero sistema
multipartitico, poiché la maggior parte dei partiti
è
stata ‘infiltrata
e divisa
’. Altresì
si
ipotizza un
possibile restauro della monarchia da parte del Presidente e dittatore
Pierre Nkurunziza,
«Il tema dell’origine
divina del
potere
del Presidente è sempre più comune nei discorsi
ufficiali
pronunciati dal Presidente e da sua moglie
»,
afferma il
rapporto. È la vicenda del ‘prete-re
e della
revisione della
storia del Paese attuata da Nkurunziza quella che viene evidenziata nel
rapporto.

Le
prime reazioni ufficiali da parte
del Burundi

vengono da Willy
Nyamitwe
, che è ritornato in Burundi dopo
l’attentato subito nel 2017. «Il Burundi non
è
più interessato a rispondere a delle bugie e manipolazioni
della
realtà da parte di alcune potenze occidentali che vogliono
destabilizzare il Burundi
», arma di difesa
consueta quella
del
complotto neo-coloniale contro gli hutu. A gran voce aveva
gridato il dittatore ‘Je me fiche
de
l’ONU!
’ (me ne
frego dell’ONU
).

Il concetto di genocidio è
parte integrante del pensiero politico di Pierre Nkurunziza

Il
concetto di genocidio è
parte integrante
del pensiero politico di Pierre Nkurunziza
, formatosi
durante la guerra
civile e rafforzatosi durante il primo decennio di potere. Nella guerra
civile i miliziani del FDD
sotto il suo comando trucidavano i civili
tutsi per poi scappare all’arrivo dell’Esercito
regolare.
Fino ad ora Nkurunziza
non ha mai espresso opinioni sul genocidio
.
Però, utilizzando l’eventualità di un
simile gesto
come arma per impedire un intervento militare della comunità
internazionale, indirettamente Nkurunziza
ammette tale
possibilità.

Nel
novembre 2015 il CNDD-FDD ha
tentato di
innescare il genocidio
, fallendo dinanzi alla
risposta negativa della
maggioranza delle masse contadine hutu
. Senza mano
d’opera
invasata di odio etnico, un genocidio non è possibile. Ora
la
situazione è cambiata
. La
mano d’opera
è
disponibile, gli Imbonerakure
.

Ad aggravare la situazione
è la presenza del
gruppo terroristico Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda
(FDLR),
responsabili del
genocidio del 1994
. Da
mercenari le FDLR si
sono trasformati in partner di Nkurunziza
, assumendo
progressivamente
molto potere e influenza. Il regime, isolato e allo stremo finanziario,
lascia libero campo ai miliziani Imbonerakure controllati dalle FDRL. I
confini tra regime, Imbonerakure e FDLR sono fin troppo labili. La
situazione attuale in Burundi impedisce di determinare con chiarezza
chi realmente detiene il potere
.

Questa
scelta ha creato un pericoloso
paradosso
.
Questi miliziani provenienti dagli strati hutu più poveri
sono
consapevoli del loro potere, ma non hanno migliorato le loro condizioni
di vita. A cosa serve combattere i tutsi se non puoi impossessarti
delle loro proprietà? Uccidere un tutsi senza guadagnarci
non ha
senso. Le
pulizie etniche striscianti avvenute dal 2015 ad oggi sono
sempre state associate alla razzia dei beni e proprietà
delle
vittime
. È
un incentivo per convincere i miliziani
Imbonerakure
a commettere omicidi su larga scala
.

Da
un mese varie donne tutsi nei villaggi sono state vittime di stupri
etnici inflitti dalle Imbonerakure
. Nessuna meraviglia in
quanto questi miliziani lo avevano promesso a voce alta nelle prime
sfilate del 2017. Lo
stupro è stato utilizzato dai miliziani di Nkurunziza come
arma etnica nella guerra civile
. La donna tutsi stuprata
metteva al mondo un hutu che ingrossava le file hutu a danno dei tutsi,
secondo la primitiva mentalità di questi miliziani.

Il
problema è che la recente ondata di stupri etnici evidenzia
una orribile evoluzione dello stupro etnico
. Alla vittima
non viene riservato il destino di procreare un hutu. Viene uccisa dopo lo
stupro
. Trattasi di donne con il marito o fratelli
precedentemente assassinati o fuggiti. Le proprietà di
queste donne uccise vengono distribuite tra i miliziani autori dello
stupro e dell’assassinio senza che le autorità si
oppongano.

Le
Imbonerakure contano circa 30.000 iscritti
. Un numero sufficiente
per innescare un genocidio dei tutsi
. Considerando la
possibilità
di impossessarsi dei bene e proprietà delle vittime, vari
contadini hutu potrebbero unirsi alle Imbonerakure aumentando la
capacità genocidaria di questa milizia para militare.

L’unico
segnale positivo è che le autorità non hanno
ancora chiuso i confini
. Lo scorso luglio in Uganda si
è registrato un aumento di 861 rifugiati burundesi in
più rispetto agli altri mesi. Per la maggioranza sono tutsi.
Tutti confermano
lo stato di terrore instaurato da Nkurunziza e tutti temono il genocidio
.

Dopo
la fallita invasione del Rwanda tentata in agosto
, Burundi e Rwanda riprendono
timidamente gli scambi commerciali
, congelati dal 2017.
Una distensione inaspettata, visto che il regime di Nkurunziza mantiene
le sue ostilità contro Kigali. Una delle due colonne FDLR
che avevano invaso il Rwanda lo scorso agosto era entrata dalla foresta
di Kibira in Burundi.

La
sospensione degli scambi commerciali ha danneggiato maggiormente il
Rwanda
. Si
parla di una perdita secca di 4 milioni di dollari a trimestre
.
Il Ruwnda principalmente esporta in Burundi cemento, bibite, prodotti
alimentari finiti, manufatti. Il Burundi ha perso 1 milioni di dollari
a trimestre, ma è stato fortemente penalizzato dalla
scarsità di carburante normalmente fornito dal Rwanda. Il
Burundi esporta nel Paese gemello solo alimentari e rappresenta il 0,8%
delle importazioni regionali del Rwanda.

La riapertura degli scambi commerciali
sembra essere stato una scelta obbligata per l’economia
rwandese, ma pare destinata a non provocare sostanziali cambiamenti
nella politica estera dei rispettivi Paesi nemici

Il
Rwanda per Nkurunziza rimane una
Nazione ostile
che
supporta i ribelli burundesi e trama per abbattere
un governo ‘democraticamente’, dice lui, eletto
.
Per Kigali il Burundi
rimane un Paese HutuPower
che ospita i terroristi
ruandesi FDLR

(responsabili del
genecidio del 1994 in Rwanda
). La riapertura degli scambi
commerciali è una
boccata di ossigeno per la moribonda economia burundese, e il Governo
sta sfruttando la decisione per rappresentarla come un primo passo per
la normalizzazione dei rapporti con il Rwanda.