La Guerra del Biafra (1967-1970)

Mentre milioni di bambini morivano di fame, nello stesso luogo qualcuno continuava imperterrito ad estrarre il petrolio, incurante dei tantissimi bambini bisognosi di aiuto. Fu una sconfitta per tutta l'Umanità.

Guerra del Biafra, Le forze governative nigeriane e i loro alleati occidentali che controllavano i pozzi petroliferi impedirono, per più di due anni, l'arrivo di qualsiasi aiuto umanitario

Una tragedia di proporzioni enormi

La guerra del Biafra ha segnato, sotto diversi aspetti, l'affermarsi di un nuovo periodo storico e culturale per l'intera umanità. È stata una tragedia di proporzioni enormi.

Si stimano quasi 3 milioni di morti, di cui due terzi in gran parte bambini, dovuti alla fame e alla malnutrizione. Le immagini di bambini gravemente malnutriti fecero il giro del mondo, e nel linguaggio comune la frase "bambini del Biafra" divenne un neologismo per indicare proprio bambini estremamente magri e affamati.

Il tentativo di autodeterminazione del popolo Igbo

La guerra del Biafra durerà dal 6 luglio 1967 al 13 gennaio 1970, e sarà determinata dal tentativo di secessione della provincia sud-orientale della Nigeria, popolata da etnia Igbo, cristiana ed animista, che scatenerà la risposta del governo centrale nigeriano.

Tutto ha inizio il 15 gennaio 1966, quando sulla base di presunti (e probabilmente veri) brogli elettorali che hanno favorito le popolazioni del nord, alcune sezioni dell'esercito, principalmente di etnia Igbo attuano un colpo di stato. Il 29 luglio dello stesso anno, l'esercito "settentrionale", etnie Yoruba e Hausa, organizzano un contro-golpe massacrando le minoranze cristiane Igbo del nord e gli Igbo del Biafra furono così completamente esclusi dal potere.

Le popolazioni del Sud, preoccupate che il nord si impadronisse delle grandi risorse petrolifere presenti nel loro territorio (Delta del Niger) dichiarano la secessione dalla Nigeria e autoproclamarono la nascita della Repubblica del Biafra, con capitale Enugu.

La nuova nazione sarà ufficialmente riconosciuta solo dal Gabon, da Haiti, dalla Costa d'Avorio, dallo Zambia e dalla Tanzania. Il 6 luglio 1967 l'esercito nigeriano entra in Biafra occupando le città di Nsukka e Garkem e decretando l'inizio della guerra.

Dopo una controffensiva del Biafra, che giungerà a 200 km da Lagos, la guerra assume la forma di assedio. La truppe nigeriane dopo aver conquistato i porti, determinano il blocco completo navale, terrestre e aereo.

La lenta agonia del Biafra

La lenta agonia del Biafra ha inizio. Le foto dei bambini malnutriti iniziano a girare il mondo e volontari iniziano ad effettuare ponti aerei a favore della popolazione affamata. Non mancheranno ovviamente accuse di infiltrazioni mercenarie e di contrabbando di armi. I volontari della Croce Rossa saranno attaccati dall'esercito nigeriano.

Mentre milioni di bambini morivano di fame, nello stesso luogo qualcuno continuava ad estrarre, non curante, il petrolio

Il 23 dicembre 1969 le forze nigeriane spezzano in due il Biafra e il 7 gennaio lanciano l'offensiva finale. Il 13 gennaio cadrà l'ultima città.

Il bilancio finale sarà catastrofico, oltre 3 milioni di morti di cui un milione e duecentomila in battaglia e quasi due milioni per fame.

L'intera regione distrutta (ancora oggi vi sono i segni) , l'etnia Igbo discriminata e ridotta tra i gruppi etnici più poveri dell'Africa Centro-Occidentale.

Le questioni che sono state alla base della guerra del Biafra sono stati gli interessi derivanti dai ricchi giacimenti di petrolio della regione, questione che appare ancora oggi irrisolta. I vincitori di allora diedero facoltà a ricche compagnie straniere di estrarre il petrolio del delta, le quali fecero dell'ex-Biafra un specie di territorio franco protetto da milizie private.

Almeno 5 milioni di persone furono costrette ad abbandonare i luoghi di origine per far posto alle concessioni petrolifere di ricche multinazionali. I contadini costretti a vendere terreni in cambio di irrisori risarcimenti in denaro o in cambio di estinzione di debiti.

Una situazione che a distanza di mezzo secolo pesa ancora pesantemente sul destino del popolo Igbo e sul destino di un territorio grande come la Pianura Padana dove la gente non ha ottenuto alcun beneficio da una ricchezza che fa ricco solo chi è già ricco.

Il nome "Biafra" viene cancellato perfino dalle carte geografiche

Il nome "Biafra" è stato addirittura cancellato da tutte le mappe geografiche della Nigeria e quello che fu uno stato indipendente per soli tre anni ora è un territorio smembrato in ben nove entità territoriali diverse che sono diventati nove Stati Federati della Repubblica di Nigeria, Enugu, Ebonyi, Cross Rivers, Abia, Anambra, Imo, Rivers, Beyelsa, Akwa e Ibom.

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Somalia, al-Shabaab assalta un hotel, 26 morti

I terroristi hanno fatto esplodere un'autobomba nel centro di Chisimaio. Poi l'attacco armi in pugno nell'edificio e lo scontro con le forze di sicurezza. Tra le vittime anche la giornalista somalo-canadese Hodan Nalayeh. Oltre 50 i feriti.

Somalia, al-Shabaab assalta un hotel, 26 morti

L'attentato

In Somalia nel corso della serata di venerdì un assalto armato, durato 12 ore, ha provocato la morte di 26 persone. In un hotel nella città portuale di Chisimaio, nel sud del Paese, i terroristi di al-Shabaab hanno fatto prima esplodere un'autobomba e poi sono passati all'attacco armi in pugno e quindi allo scontro con le forze di sicurezza. L'Agi riporta, che l'attacco iniziato venerdì sera e durato 12 ore è ora concluso. L'edificio, in gran parte distrutto dall'assalto, è quindi tornato nelle mani delle forze di sicurezza.

In quel momento l'hotel ospitava uomini d'affari e politici che erano in città per la preparazione delle elezioni presidenziali nella regione semi-autonoma dello Jubaland, prevista per la fine di agosto.

L'Afp riporta il messaggio rilasciato sabato mattina dal presidente della regione dello Jubaland Ahmed Mohamed che ha spiegato che i morti sono 26, tra cui diversi cittadini stranieri: tre keniani, un canadese, un inglese, due americani e tre tanzaniani. Tra i feriti figurano due cittadini cinesi. Anche un candidato presidenziale per le prossime elezioni regionali è stato ucciso. I 4 terroristi autori dell'attacco sono tutti morti. L'Agi spiega che i feriti finora recuperati sono 56.

Hodan Nalayeh

Hodan Nalayeh

Tra le vittime anche l'attivista e giornalista somalo-canadese Hodan Nalayeh 43enne fondatrice di Integration Tv e autrice di programmi youtube per le comunità somale in lingua inglese, che si trovava in vacanza in Somalia insieme al marito Farid Jama Suleiman, anche lui ucciso. Il ministro dell'Immigrazione canadese, Ahmed Hussen, ha così descritto il suo impegno: "Con il suo lavoro di giornalista, ha messo in luce le notizie e i contributi positivi delle comunità, dandone notizia in Canada, ed è diventata una voce per molti. Il suo lavoro ha rafforzato i legami fra le comunità somale del Canada e la Somalia nel suo continuo processo di stabilizzazione e ricostruzione"

Testimonianze

Un testimone citato dall'Agi, Muna Abdirahman, ha raccontato la drammatica vicenda: "L'intero edificio è in rovina, ci sono cadaveri e feriti che sono stati recuperati all'interno, e le forze di sicurezza hanno isolato tutta l'area. Gli aggressori indossano uniformi della polizia somala"

Al-Shabaab

Il gruppo jihadista sunnita di matrice islamista al-Shabaab ha rivendicato l'attentato, che aveva l'obiettivo di colpire i "funzionari apostati dell'amministrazione Jubaland". I militanti al-Shabaab dopo esser stati allontanati dalla capitale Mogadiscio nel 2011, hanno continuato ad attaccare le forze governative ed obiettivi civili con attentati suicidi ed assalti in stile guerriglia. Nel 2012 il gruppo terroristico è stato cacciato da Chisimaio, porto e città commerciale della regione dello Jubaland. Mantengono sotto il loro controllo vaste aree rurali.

La Repubblica

Appello di Padre Alex Zanotelli “Gridiamo Vita”

Foundation for Africa aderisce all'appello di Padre Alex Zanotelli. Contro l'arroganza di Stato, contro le nuove leggi razziali, contro il servilismo del Movimento Cinque Stelle incapace di essere coerente perfino ai suoi stessi principi etici e morali. Uniamoci nella lotta per il rispetto della Costituzione, per il rispetto dell'Umanità, per la Giustizia. Diciamo NO a chi in questi giorni, in questi mesi, nell'ultimo anno ha messo sempre la politica al di sopra dei Diritti Umani e della Vita.

Padre Alex Zanotelli

Gridiamo Vita

È come missionario che lancio questo appello contro il Decreto Sicurezza-bis. Sono vissuto per dodici anni dentro la baraccopoli di Korogocho, a Nairobi, e ho sperimentato nel mio corpo l’immensa sofferenza dei baraccati (oggi sono duecento milioni nella sola Africa). Siamo passati dall’apartheid politica a quella economica: l’1% della popolazione mondiale ha tanto quanto il 99%.

È questa una delle ragioni fondamentali delle migrazioni, insieme alle guerre e ai cambiamenti climatici. Per questo, come missionario, denuncio il cinismo con cui il governo giallo-verde respinge i “naufraghi dello sviluppo”. Non avrei mai pensato che un governo italiano avrebbe potuto regalarci un boccone avvelenato come il Decreto Sicurezza-bis , che il 15 luglio verrà presentato in parlamento per essere trasformato in legge. Un Decreto le cui clausole violano i principi fondamentali della nostra Costituzione, del diritto e dell’etica.

È proprio l’etica ad essere colpita a morte perché questo Decreto dichiara reato salvare vite umane in mare. Ne abbiamo subito visti i vergognosi risultati con la Sea Watch 3 con la capitana Carola Rackete e con il veliero Alex di Mediterranea. E in commissione Affari costituzionali e Giustizia, la Lega e i Cinque Stelle hanno ulteriormente peggiorato quel testo con nuovi giri di vite contro i migranti. Infatti, il Decreto rimaneggiato prevede lo schieramento delle navi della Marina e della Guardia di Finanza in difesa del confine delle acque territoriali; l’impiego massiccio di radar e monitoraggi con mezzi aerei e navali sulle coste africane per intercettare le partenze di migranti e segnalarle alle autorità libiche perché li riportino nei lager; il regalo di altre dieci motovedette al governo di Tripoli per riportare i rifugiati nell’inferno libico; infine, un incremento delle multe fino a un milione di euro a navi salva-vite in mare, con l’arresto del comandante e il sequestro dell’imbarcazione.

Nessun accenno al fatto che in Libia è in atto una spaventosa guerra e che Tripoli non è “un porto sicuro. Questo Decreto Sicurezza-bis è un obbrobrio giuridico ed etico che viola i dettami costituzionali ed è uno schiaffo al Vangelo. «Sono poliche criminali che provocano ogni giorno decine di migliaia di morti, oltre all’apartheid mondiale di due miliardi di persone. Verrà un giorno in cui questi atti saranno ricordati come crimini e non potremo dire che non sapevamo, perché sappiamo tutto»

Trovo vergognoso che i Cinque Stelle si siano allineati e sostengano le posizioni leghiste. Per questo mi appello a quei parlamentari grillini che non condividono le posizioni razziste e criminali della Lega a disobbedire, come hanno fatto la storica attivista del Meet-up di Napoli, Paola Nugnes, e il comandante Gregorio De Falco. Non si può barare su vite umane, nello specifico vite dei poveri. È l’ora delle decisioni: se stare dalla parte della vita o della morte. Ma questo vale per ogni cittadino perché è in ballo la nostra democrazia e i suoi valori fondamentali (uguaglianza, solidarietà, libertà, giustizia, ecc...), ma vale anche per ogni cristiano perché è in ballo il cuore del Vangelo.

Per questo uniamoci a “Restiamo Umani” che ha indetto un presidio davanti a Montecitorio, il 15 luglio alle ore 16, per dire no a questo Decreto criminale. Noi ci saremo come “Digiuno di giustizia in solidarietà con i migranti”, gruppo che da un anno, ogni primo mercoledì del mese, digiuna davanti al parlamento contro le politiche migratorie del governo giallo-verde. Anche quel giorno digiuneremo.

Chiedo a tutte le forze sindacali (Cgil, Cisl e Uil), a tutto l’associazionismo laico, alle reti, ai comitati di resistenza, di scendere in piazza. Ma soprattutto mi appello all’associazionismo cattolico (Azione cattolica, Caritas, Migrantes, Focolarini, Acli, Focsiv, ecc..) perché si unisca alle forze laiche per dire no all’imbarbarimento della nostra società.

Mi appello ai missionari italiani che hanno toccato con mano la sofferenza di quest’Africa crocifissa, perché alzino la voce e scendano in piazza contro leggi razziste e disumane.

Chiedo soprattutto ai nostri vescovi di prendere posizione contro questo Decreto che nega radicalmente l’etica della compassione e della misericordia, e di proporre alle parrocchie giornate di digiuno e di preghiera.

Uniamoci, credenti e laici, per difendere quei valori fondamentali negati da questo Decreto che, criminalizzando la solidarietà, disumanizza i migranti e tutti noi

Restiamo umani e resistiamo

Padre Alex Zanotelli

Ennesima tragedia del Mediterraneo. Si rovescia barcone di fronte alle coste tunisine, 82 migranti morti

Si rovescia un barcone davanti alle coste tunisine. Con il passare dei giorni l'incidente accaduto la scorsa settimana ha le proporzioni di una tragedia. I morti accertati sono 59, i dispersi 23 e nessuna possibilità di trovare ancora qualcuno in vita.

Con Salvini calano gli sbarchi ma aumentano i morti in mare. Statistiche alla mano, uno su cinque partito dalla Libia muore durante la traversata. Nel 2017 era uno su 20.

Tunisia, non abbiamo più parole

È salito a 59 il numero delle vittime accertate del naufragio di una barca carica di migranti africani affondata il 3 luglio al largo della costa tunisina. Giovedì le autorità locali hanno recuperato altri 38 corpi, ha fatto sapere Mongi Slim, capo della Mezzaluna Rossa della provincia meridionale di Medenine, nel sud del paese.

«I corpi di 36 migranti, tra cui una donna, sono stati trovati sulla costa di Zarzis, e altri 2 sulla costa di Djerba», ha precisato all’agenzia turca Anadolu. A questi si aggiungono i 21 corpi rinvenuti nei giorni scorsi.

La barca, partita dalla vicina Libia, si è capovolta vicino alla costa meridionale della Tunisia, nei pressi di Zarzis. «Trasportava 86 persone, tra le quali 7 donne». La guardia costiera tunisina è riuscita a salvarne solo 4.

Al momento risultano disperse in mare ancora 23 persone. Complessivamente nel naufragio sarebbero morte 82 persone. La ricerca continua lungo la costa meridionale per trovare altri corpi.

Fonte: Anadolu

Migranti, con Salvini calano gli sbarchi ma aumentano i morti in mare. “Numeri mai registrati prima”

Nel 2018 il 19,1% di chi è partito dalla Libia non ha toccato riva: uno su cinque. Mentre solo una persona su dieci partite dalla Libia è riuscito ad arrivare in Europa: il 70% di loro è stato intercettato e riportato indietro.

Calano gli sbarchi di migranti sulle coste italiane, ma aumenta il numero di morti o dispersi. Anzi, non ci sono mai state così tante persone inghiottite dal Mediterraneo. Nel 2018 il 19,1% di chi è partito dalla Libia non ha toccato riva.

Uno su cinque. “Una percentuale mai registrata lungo la rotta del Mediterraneo centrale da quando si dispone di statistiche sufficientemente accurate”, afferma l’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale, che ha elaborato un primo bilancio delle politiche di dissuasione dei salvataggi in mare. Mentre solo un migrante su dieci partiti dalla Libia è riuscito ad arrivare in Europa. Il 70% di loro è stato intercettato e riportato indietro.

Universiadi 2019. Daisy Osakue, il riscatto d’oro dopo l’aggressione razzista

Universiadi, il trionfo della lanciatrice. Un anno fa a Torino venne colpita da uova e rimase ferita all’occhio dopo un'aggressione razzista.

Daisy Osakue, festeggia con la bandiera italiana dopo la vittoria nel gara del lancio del disco femminile alle Universiadi di Napoli

«Ho fatto tardi per i festeggiamenti e non ho dormito molto: sono rimbambita e forse non troppo lucida nelle risposte ma felice. Vincere il titolo mondiale universitario è bello, vincerlo in Italia e col record personale di più. Se vi va di parlare della mia medaglia lo faccio volentieri, sul passato non voglio tornare, l’ho chiuso in una scatola che non voglio più aprire»

La vittoria

Daisy Osakue è raggiante. Martedì notte al San Paolo di Napoli ha lanciato il disco a 61 metri e 69 centimetri, primato personale, settima misura italiana di sempre, battendo la quotata tedesca Vita e regalando all’Italia il primo oro nell’atletica leggera alle Universiadi. Nella scatola che lei non vuole riaprire, Daisy, 23 anni, nata in Italia da genitori nigeriani, ha chiuso la brutale aggressione subita un anno fa nella sua Moncalieri quando due giovani le lanciarono uova sul volto da un’auto in corsa. Rischiò il distacco della retina.

L'operazione

Operata d’urgenza, Daisy riuscì in pochi giorni a recuperare la vista e a partecipare ai Campionati Europei di Berlino, dove conquistò l’ottavo posto in finale. Identificati, i due aggressori rivelarono un confuso movente a metà tra razzismo e bullismo prodotto dalla noia. Sul caso ci fu l’ennesimo, acceso dibattito politico sui temi dell’immigrazione.

Un anno è passato, il dibattito è ancora allo stesso punto. Daisy invece ne ha fatta di strada. «Sul piano sportivo sono migliorata sia tecnicamente che come potenza di lancio. Le Universiadi contano: si tratta di un piccolo mondiale dove nei lanci il livello tecnico è stato molto alto. Ora mi aspettano il tricolore, la Coppa Europa in Polonia e, a settembre, i miei primi mondiali veri, quelli di Doha».

L’obiettivo è raggiungere Agnese Maffeis, che 23 anni fa ha stabilito il primato italiano e resta l’unica azzurra della storia davanti a lei, con poco meno di due metri di vantaggio, non tanti considerando la giovane età e i margini di progresso di Daisy. Superarla significherebbe dare una scossa a un settore lanci cristallizzato nel secolo scorso.

Il futuro

Ma nella vita di Daisy c’è molto altro. «Il prossimo 15 dicembre mi laureo in Criminologia alla Angelo State University, in Texas. È un sogno di bambina che si realizza. Il percorso scelto è quello della criminalità internazionale con il progetto di trovare lavoro in un’organizzazione come l’Onu. Ma prima di arrivarci mi servono qualche master e moltissima atletica»

Chissà che la Osakue non possa trovare lavoro nelle Fiamme Gialle, il corpo militare che l’ha arruolata nel gruppo atleti. Intanto spazio all’atletica e a quel gruppo di italiani di seconda generazione (circa metà degli azzurri) che sta provando a risollevare le sorti italiane nelle discipline più belle e prestigiose del programma olimpico. «Tutti hanno fretta ma io chiedo pazienza. Stiamo migliorando costantemente, quest’anno a Doha porteremo molti atleti che hanno conseguito il minimo di partecipazione nelle ultime settimane. È una squadra giovane, affiatata, multietnica. Dateci fiducia, non vi deluderemo»

Effetti con Foto

Effetti con Foto

Effetto "Standard"

Foto classica che al passaggio del mouse perde i colori e arrotonda gli angoli

Effetto "gly"

Foto con sottile bordo e angoli arrotondati. Al passaggio del mouse si sfoca e diventa ovale

Effetto "pht"

Al passaggio del mouse perde i colori, arrotonda gli angoli e aggiunge un bordo sottile

Paragrafi e Titoli

Paragrafi e Titoli

Questo articolo è uno schema di esempio di come sono formattati, in questo sito e secondo uno stile personalizzato, i vari titoli, paragrafi, ed elenchi.

<h1> O Grande Spirito

<h1 class="miotit1">O Grande Spirito</h1>

<h2> O Grande Spirito

<h2 class="miotit2">O Grande Spirito</h2>

<h3> O Grande Spirito

<h3 class="miotit3">O Grande Spirito</h3>

<h4> O Grande Spirito

<h4 class="miotit4">O Grande Spirito</h4>

O Grande Spirito

<p class="cl_T">O Grande Spirito</p>

Paragrafi classici giustificati con rientro paragrafo

Carattere Grande

<p class="just">Testo giustificato</p>

Sono piccola e debole, ho bisogno della tua forza e della tua saggezza. Lasciami camminare tra le cose belle, e fai che i miei occhi ammirino il tramonto rosso e oro, fai che possa ancora sentire il profumo della natura.

Fai che le mie mani rispettino tutto ciò che hai creato, e le mie orecchie siano acute nell’udire la tua voce. Dammi la saggezza, così che io conosca le cose che hai insegnato al mio popolo, le lezioni che hai nascosto in ogni foglia, in ogni roccia.

Sono piccola e debole, ho bisogno della tua forza e della tua saggezza. Lasciami camminare tra le cose belle, e fai che i miei occhi ammirino il tramonto rosso e oro, fai che possa ancora sentire il profumo della natura.

Carattere Piccolo

<p class="little">Testo giustificato</p>

O Grande Spirito la cui voce sento nei venti ed il cui respiro dà vita a tutto il mondo, ascoltami! Vengo davanti a Te, sono una delle tue tante figlie.

Fai che le mie mani rispettino tutto ciò che hai creato, e le mie orecchie siano acute nell’udire la tua voce. Dammi la saggezza, così che io conosca le cose che hai insegnato al mio popolo, le lezioni che hai nascosto in ogni foglia, in ogni roccia.

Fai che io sia sempre pronta a venire a te, con mani pulite e occhi dritti, così che quando la mia vita svanirà come luce al tramonto, il mio spirito possa venire a te senza vergogna.

Sono piccola e debole, ho bisogno della tua forza e della tua saggezza. Lasciami camminare tra le cose belle, e fai che i miei occhi ammirino il tramonto rosso e oro, fai che possa ancora sentire il profumo della natura.

Carattere Medio

<p class="mdj">Testo giustificato</p>

Cerco forza per essere abile a combattere le ingiustizie e il malvagio, l’odio e il disprezzo. Dammi il coraggio di combattere il mio più grande nemico: me stessa.

Fai che io sia sempre pronta a venire a te, con mani pulite e occhi dritti, così che quando la mia vita svanirà come luce al tramonto, il mio spirito possa venire a te senza vergogna.

Fai che le mie mani rispettino tutto ciò che hai creato, e le mie orecchie siano acute nell’udire la tua voce. Dammi la saggezza, così che io conosca le cose che hai insegnato al mio popolo, le lezioni che hai nascosto in ogni foglia, in ogni roccia.

Sono piccola e debole, ho bisogno della tua forza e della tua saggezza. Lasciami camminare tra le cose belle, e fai che i miei occhi ammirino il tramonto rosso e oro, fai che possa ancora sentire il profumo della natura.

Paragrafo Piccolo Giustificato

<p class="flo_little">Testo giustificato</p>

Sono piccola e debole, ho bisogno della tua forza e della tua saggezza. Lasciami camminare tra le cose belle, e fai che i miei occhi ammirino il tramonto rosso e oro, fai che possa ancora sentire il profumo della natura.

O Grande Spirito la cui voce sento nei venti ed il cui respiro dà vita a tutto il mondo, ascoltami! Vengo davanti a Te, sono una delle tue tante figlie.

Fai che le mie mani rispettino tutto ciò che hai creato, e le mie orecchie siano acute nell’udire la tua voce. Dammi la saggezza, così che io conosca le cose che hai insegnato al mio popolo, le lezioni che hai nascosto in ogni foglia, in ogni roccia.

Cerco forza per essere abile a combattere le ingiustizie e il malvagio, l’odio e il disprezzo. Dammi il coraggio di combattere il mio più grande nemico: me stessa.

Fai che io sia sempre pronta a venire a te, con mani pulite e occhi dritti, così che quando la mia vita svanirà come luce al tramonto, il mio spirito possa venire a te senza vergogna.

Paragrafo Normale Giustificato

<p class="flomdj">Testo giustificato</p>

Sono piccola e debole, ho bisogno della tua forza e della tua saggezza. Lasciami camminare tra le cose belle, e fai che i miei occhi ammirino il tramonto rosso e oro, fai che possa ancora sentire il profumo della natura.

O Grande Spirito la cui voce sento nei venti ed il cui respiro dà vita a tutto il mondo, ascoltami! Vengo davanti a Te, sono una delle tue tante figlie.

Fai che le mie mani rispettino tutto ciò che hai creato, e le mie orecchie siano acute nell’udire la tua voce. Dammi la saggezza, così che io conosca le cose che hai insegnato al mio popolo, le lezioni che hai nascosto in ogni foglia, in ogni roccia.

Paragrafo Grande Giustificato

<p class="flo_just">Testo giustificato</p>

Sono piccola e debole, ho bisogno della tua forza e della tua saggezza. Lasciami camminare tra le cose belle, e fai che i miei occhi ammirino il tramonto rosso e oro, fai che possa ancora sentire il profumo della natura.

O Grande Spirito la cui voce sento nei venti ed il cui respiro dà vita a tutto il mondo, ascoltami! Vengo davanti a Te, sono una delle tue tante figlie.

Fai che le mie mani rispettino tutto ciò che hai creato, e le mie orecchie siano acute nell’udire la tua voce. Dammi la saggezza, così che io conosca le cose che hai insegnato al mio popolo, le lezioni che hai nascosto in ogni foglia, in ogni roccia.

Paragrafo Speciale

<p class="mylove">Testo da evidenziare (centrato)</p>

Sono piccola e debole, ho bisogno della tua forza e della tua saggezza. Lasciami camminare tra le cose belle, e fai che i miei occhi ammirino il tramonto rosso e oro, fai che possa ancora sentire il profumo della natura.

Paragrafo Standard senza allineamento

<p>Testo non allineato</p>

Sono piccola e debole, ho bisogno della tua forza e della tua saggezza. Lasciami camminare tra le cose belle, e fai che i miei occhi ammirino il tramonto rosso e oro, fai che possa ancora sentire il profumo della natura.

O Grande Spirito la cui voce sento nei venti ed il cui respiro dà vita a tutto il mondo, ascoltami! Vengo davanti a Te, sono una delle tue tante figlie.

Fai che le mie mani rispettino tutto ciò che hai creato, e le mie orecchie siano acute nell’udire la tua voce. Dammi la saggezza, così che io conosca le cose che hai insegnato al mio popolo, le lezioni che hai nascosto in ogni foglia, in ogni roccia.

Cerco forza per essere abile a combattere le ingiustizie e il malvagio, l’odio e il disprezzo. Dammi il coraggio di combattere il mio più grande nemico: me stessa.

Fai che io sia sempre pronta a venire a te, con mani pulite e occhi dritti, così che quando la mia vita svanirà come luce al tramonto, il mio spirito possa venire a te senza vergogna.

Paragrafo Particolare (anche per voci di elenchi)

<p class="flo_SX">Testo allineato a sinistra</p>

Sono piccola e debole, ho bisogno della tua forza e della tua saggezza. Lasciami camminare tra le cose belle, e fai che i miei occhi ammirino il tramonto rosso e oro, fai che possa ancora sentire il profumo della natura.

O Grande Spirito la cui voce sento nei venti ed il cui respiro dà vita a tutto il mondo, ascoltami! Vengo davanti a Te, sono una delle tue tante figlie.

Fai che le mie mani rispettino tutto ciò che hai creato, e le mie orecchie siano acute nell’udire la tua voce. Dammi la saggezza, così che io conosca le cose che hai insegnato al mio popolo, le lezioni che hai nascosto in ogni foglia, in ogni roccia.

Paragrafo Calligrafico Centrato

<p class="mdjCS">Testo Calligrafico Centrato</p>

O Grande Spirito la cui voce sento nei venti ed il cui respiro dà vita a tutto il mondo, ascoltami! Vengo davanti a Te, sono una delle tue tante figlie.

Fai che le mie mani rispettino tutto ciò che hai creato, e le mie orecchie siano acute nell’udire la tua voce.

Dammi la saggezza, così che io conosca le cose che hai insegnato al mio popolo, le lezioni che hai nascosto in ogni foglia, in ogni roccia.

Paragrafo Speciale Calligrafico Giustificato

<p class="maris">Testo giustificato</p>

Sono piccola e debole, ho bisogno della tua forza e della tua saggezza. Lasciami camminare tra le cose belle, e fai che i miei occhi ammirino il tramonto rosso e oro, fai che possa ancora sentire il profumo della natura.

O Grande Spirito la cui voce sento nei venti ed il cui respiro dà vita a tutto il mondo, ascoltami! Vengo davanti a Te, sono una delle tue tante figlie.

Fai che le mie mani rispettino tutto ciò che hai creato, e le mie orecchie siano acute nell’udire la tua voce. Dammi la saggezza, così che io conosca le cose che hai insegnato al mio popolo, le lezioni che hai nascosto in ogni foglia, in ogni roccia.

Paragrafo Calendar New

<p class="cl_p">Testo giustificato</p>

Sono piccola e debole, ho bisogno della tua forza e della tua saggezza. Lasciami camminare tra le cose belle, e fai che i miei occhi ammirino il tramonto rosso e oro, fai che possa ancora sentire il profumo della natura.

O Grande Spirito la cui voce sento nei venti ed il cui respiro dà vita a tutto il mondo, ascoltami! Vengo davanti a Te, sono una delle tue tante figlie.

Fai che le mie mani rispettino tutto ciò che hai creato, e le mie orecchie siano acute nell’udire la tua voce. Dammi la saggezza, così che io conosca le cose che hai insegnato al mio popolo, le lezioni che hai nascosto in ogni foglia, in ogni roccia.

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B010 La Perla Nera (Blu Book)

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Internally displaced people, il fenomeno delle migrazioni Sub-Sahariane

Sono "sfollati", ovvero persone costrette ad abbandonare i luoghi d'origine per le cause più diverse. Sono "sfollati interni" se questo movimento di popolo avviene all'interno dello stesso Stato di appartenenza, "sfollati" o "rifugiati" se le persone in fuga sono costrette ad attraversare almeno un confine internazionale.

Un fenomeno in crescente aumento nell'Africa Sub-Sahariana

Ammonta a 28 milioni di persone il numero dei nuovi "Internally Displaced People" (IDPs), registrati solo nel 2018. Questi si aggiungono ai 40 milioni registrati l’anno precedente dall’UNHCR. Si tratta del nucleo centrale delle migrazioni odierne, che lambisce marginalmente l’Europa e che rimane invece circoscritto all'area di conflitto da cui scaturisce o nella sua immediata periferia.

Per dare una definizione precisa, si tratta di “persone o gruppi di persone costrette od obbligate a fuggire o ad abbandonare le loro case o luoghi di residenza abituale, in particolare a causa o per evitare gli effetti di conflitti armati, situazioni di violenza generalizzata, violazioni di diritti umani o disastri naturali o provocati dall'uomo, e che non hanno attraversato un confine internazionalmente riconosciuto

I disastri naturali, la causa principale

La causa principale del loro status è data dai disastri naturali, che ne determinano i due terzi del totale, mentre la restante parte è composta da chi fugge da violenze o conflitti armati. Qual'è, quindi, la differenza sostanziale tra questa categoria e quella più comunemente conosciuta dei “rifugiati

Rifugiati

Il rifugiato è, secondo la Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati “Convenzione di Ginevra” del 1951, una persona che “nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi

Nel corso degli anni la definizione è stata modificata e ampliata, facendo sì che diventasse centrale il riferimento all'attraversamento di un confine internazionale. Agli IDPs, quindi, non viene riconosciuto uno status speciale dal diritto internazionale: “the term ‘internally displaced person’ is merely descriptive” si legge nelle spiegazioni dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. Ciò non significa che rappresentino un fenomeno secondario nel vasto scenario migratorio odierno, anzi al contrario: basta guardare quale sia lo Stato con il più alto numero di sfollati interni, le Filippine, con quasi 4 milioni, dei quali la metà a causa del tifone Mangkhut, che ha colpito l’arcipelago all'inizio di settembre dell’anno scorso.

Etiopia

È l’Etiopia ad avere nel 2018, in proporzione, un numero di persone che fuggono dalle armi nettamente superiore a quello di chi ha lasciato la propria casa a causa di disastri: oltre 2,8 milioni contro poco meno di 300 mila persone.

Attualmente, la cifra complessiva si aggira intorno ai 2,5 milioni, ma quest’anno si è toccato il picco, con un’impennata nettissima rispetto al passato e più che raddoppiando il numero registrato nel 2017. Ciò è dovuto all’acuirsi degli scontri nel Paese, in particolare lungo i confini della regione Oromia con la Southern Nations, Nationalities and Peoples’ (SNNP) a sud-ovest, la Benishangul-Gumuz a nord-ovest e il Somali National Regional State (SNRS) a est.

Diversi scontri, tra gli altri, si sono verificati nella capitale di quest’ultima, Jijiga, e nella stessa capitale etiope Addis Abeba. Il conflitto per le risorse e la violenza etnica hanno provocato 2,9 milioni di nuovi sfollati in Etiopia nel 2018, più che in qualsiasi altro paese del mondo e quattro volte il dato del 2017.

Somalia e Corno d'Africa

Anche siccità e carestia sono un fattore chiave nella nascita degli IDPs. soprattutto lungo il confine con la Somalia, dove si concentra buona parte della richiesta di urgenti aiuti umanitari per contrastare la malnutrizione.

Molti somali, dallo scoppio della guerra civile negli anni ’90 ad oggi, vivono in una situazione di precaria sostenibilità, causata anche dalla profonda siccità che devasta regolarmente il Corno d’Africa. I due fenomeni hanno quasi lo stesso peso sulla bilancia degli sfollati, come mostrano i dati IDMC: nel solo anno scorso, 547 mila persone sono state colpite da cause climatiche, a fronte di altri 578 mila soggetti invece alle violenze. Il totale degli IDPs ha così raggiunto i 2,6 milioni di persone.

In Somalia gli scontri regionali, in particolare tra i jihadisti di al-Shabaab e le forze filo-governative, uniti alle espulsioni forzate dalle città, hanno portato al più alto numero di nuovi spostamenti in un decennio. Nel 2014, la Somali Disaster Management Agency (SODMA) ha iniziato la prima fase di profiling degli IDPs, iniziando con cinque dei più grandi insediamenti di sfollati interni a Mogadiscio: Horsed, Tarabunka, Sigale, Darwish e Bondhere. A quella data, erano circa 50 mila le persone registrate nei campi.

Non sorprende, quindi, che lo spostamento interno sia un fenomeno sempre più urbano. Conflitti, shock climatici e progetti di sviluppo su larga scala spingono le persone dalle aree rurali a quelle cittadini, e tali afflussi presentano grandi sfide per i centri e possono aggravare i fattori di rischio esistenti. Le persone che sono fuggite dai combattimenti nella Somalia rurale, ad esempio, affrontano, una volta arrivati a Mogadiscio, situazioni di povertà estrema, insicurezza di ruolo e spostamenti forzati da inondazioni e sfratti. Ecco quindi che gli spostamenti prendono origine anche nelle città, sia che siano scatenati da conflitti, disastri o infrastrutture e progetti di rinnovamento urbano.

Sud Sudan

La guerra civile in atto dal 2013 ha provocato un grave stato di insicurezza. Un terzo della popolazione, 4 milioni di persone hanno abbandonato i luoghi d'origine, sia perché coinvolti direttamente nel conflitto, ma soprattutto per l'impossibilità di coltivare le terre e avviare qualsiasi altro tipo di attività economica come l'allevamento di bestiame. Un milione e mezzo di persone ha trovato "rifugio" in Uganda.

Repubblica Democratica del Congo

Proseguendo nella lista degli Stati con il più alto numero di "Internally Displaced People", troviamo la Repubblica Democratica del Congo (RDC). Qui nel 2018 sono stati quasi 2 i milioni di sfollati, causati in larga parte dai conflitti armati. In totale, però, la cifra supera i 3 milioni, poiché decenni di disordini continuano a causare nuovi spostamenti.

Le cifre per la Repubblica Democratica del Congo sono altamente prudenti e non catturano l’intero paese, ma si registra un calo rispetto al 2017, quando si sfiorarono i 4,5 milioni. La situazione, però, sembra non conoscere tregua, nonostante i tentativi della diplomazia italiana e francese di riportare la pace nella zona, che dall'inizio degli anni ’90 è immersa in continui scontri.

Le elezioni presidenziali tenutesi lo scorso 30 dicembre non hanno risolto definitivamente il conflitto, che prosegue nelle provincie del North Kivu, South Kivu, Tanganyika e Kasai Central, oltre all'emergere di nuovi focolai in quelle di Ituri e Mai-Ndombe. L’inizio ufficiale delle attività in loco dell’ISIS e la costante presenza dell’Ebola, fanno sì che la popolazione civile possa difficilmente rimanere serena nelle proprie abitazioni. Infatti, chi decide di abbandonare non solo la propria casa, ma anche il Paese, si dirige principalmente verso quelli più vicini: in primis l’Uganda, che compare anche tra i primi cinque Stati al mondo per numero di rifugiati ospitati.

La stessa Repubblica Democratica del Congo compare al nono posto della classifica sopracitata (paesi che ospitano rifugiati di altri paesi). Come abbiamo visto, infatti, la differenza sostanziale da un IDP e un rifugiato è l’attraversamento intenzionale di un confine nazionale. Questo, nella maggior parte dei casi, si traduce fin da subito con uno spostamento di persone verso gli Stati limitrofi, anziché verso quelli più lontani come quelli europei.

Il caso Nigeria

Dal 2009 è in atto, nelle regioni nord-orientali del paese, un conflitto contro le milizie islamiste di Boko Haram, gruppo integralista islamico. Nel 2015 la crisi si è aggravata a tal punto che, ad oggi, almeno 2,7 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare i luoghi d'origine. Un terzo di di questi si sono "rifugiati" in Camerun e in Niger, il resto è ospitato in campi per "sfollati" nelle zone più sicure del Paese.

Resta grave l'emergenza umanitaria nella zona attorno al Lago Ciad, zona di influenza di Boko Haram, aggravata nel 2018 da un lunghissimo periodo di siccità, e dove almeno 20 milioni di persone sono travolte dalla carestia.

Altri punti di crisi nell'Africa Sub-Sahariana

Oltre ai già citati casi di "Internally displaced people" resta grave la situazione nella regione occidentale dell'Africa Sub-Sahariana, Mali del nord e Burkina Faso, integralismo islamico, e nella Repubblica Centrafricana, guerra civile e violenze.

È sempre gravissima la situazione nella regione del Darfur e in generale in tutta la regione meridionale del Sudan, conflitti armati decennali. Un situazione che potrebbe aggravarsi anche alla luce del recente colpo di stato militare che di recente ha deposto il presidente "genocidiario" Omar al-Bashir dopo 30 di potere assoluto.

Il Niger è invece un paese di passaggio per tutte le migrazioni che dal sud del Sahara si spostano il Libia in attesa di giungere in Europa.

Nel mondo, la crisi siriana e il Libano

Il capitolo della questione siriana, e quindi dei relativi sfollati e rifugiati, merita un’analisi a sé. Anche perché si specchia con la situazione sociale del Libano, meta per molti che fuggono dal Paese governato da Assad ma dove il peso dei propri sfollati interni, risalenti ancora alla guerra civile libanese (1975-1990), si fa ancora oggi sentire.

In un’indagine compiuta da due ricercatori dell’Università dell’Arizona e condotta su oltre 2 mila residenti libanesi, completata nell'estate 2017, oltre un terzo degli intervistati ha dichiarato di essere stato sfollato durante la guerra civile. Circa il 44% degli intervistati è stato colpito, esposto a bombardamenti, aggressione fisica e tortura o rapimento. Anche tra coloro che non hanno subito violenza diretta, il 70% era a conoscenza di violenze nelle vicinanze del proprio distretto. Di conseguenza, gli intervistati hanno identificato una serie di motivi per lasciare le loro case: minacce alla sicurezza, atti di violenza, situazione economica difficile e mancanza di bisogni primari.

In modo analogo, molti siriani sono stati spostati in più posti. Circa il 12% ha dichiarato di essere stato sfollato in Siria prima di recarsi in Libano. Qui, la vicinanza geografica e la facilità di attraversamento delle frontiere consentono alle persone di andare avanti e indietro per controllare i membri della famiglia e le loro proprietà.

Sempre secondo i dati ottenuti da questo studio, la durata del dislocamento medio si aggira attorno ai 7 anni, ma alcuni libanesi non sono tornati a casa per oltre 40 anni, mentre altri non vi hanno ancora fatto ritorno. Diversi fattori hanno ritardato o impedito alle persone di tornare a casa: impossibilità di ricostruire le proprie case, insicurezza, conflitti religiosi e difficoltà di acclimatamento, ossia l’adattamento che si attua in risposta a variazioni dell’ambiente climatico, alla loro nuova locazione.

Per quanto riguarda i rifugiati siriani, circa il 60% degli intervistati ha espresso il desiderio di tornare a casa; solo il 18% sostiene di non voler tornare in nessun caso. Sulla base dell’esperienza libanese, quindi, è probabile che molti di essi rimarranno sfollati per ancora molti decenni in futuro. Coloro che ritornano, nel frattempo, dovranno essere sostenuti al fine di ottenere soluzioni durature nel loro paese di origine. Un costo che sta lievitando a livello globale, mentre i finanziatori dei fondi predisposti iniziano a tirarsi indietro: il caso del taglio del contributo degli USA al bilancio dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA) potrebbe essere il primo, importante segnale di un cambio drastico nelle politiche di cooperazione ai PVS dell’Occidente.

Global Report on Internal Displacement 2019
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RD Congo, sentenza della CPI. “Terminator”, ex-signore della guerra, colpevole di crimini contro l’umanità

Bosco Ntaganda, condannato per crimini di guerra contro l’umanità

I
giudici della Corte penale
internazionale hanno ritenuto l’ex warlord filorwandese
responsabile di diciotto capi d’accusa per crimini di guerra
e contro l’umanità compiuti nella Repubblica
democratica del Congo, con la complicità del Rwanda.

L’ex signore della guerra
congolese, Bosco Ntaganda,
tristemente noto come
Terminator”,
è stato giudicato
colpevole dalla Corte penale internazionale (Cpi) per 18 capi
d’accusa relativi a crimini di guerra e crimini contro
l’umanità.

Tra
questi spiccano
: esecuzioni
sommarie, stupri di massa, schiavitù sessuale, mutilazioni,
trasferimento forzato della popolazione civile e arruolamento di
bambini soldato. Il tribunale dell’Aia ha stabilito che
l’entità della condanna che dovrà
scontare in carcere, sarà determinata in una successiva
udienza.

Chi
è stato Bosco Ntaganda

Il quarantacinquenne Ntaganda, di etnia
tutsi, è stato accusato di aver diretto e pianificato il
massacro di civili compiuto dai suoi soldati nella regione dell’Ituri,
nell’est della Repubblica democratica del Congo, tra il 2002
e il 2003. All’epoca, l’imputato era al comando delle
operazioni militari delle Forze patriottiche per la liberazione del
Congo (Fplc),
l’ala armata del gruppo ribelle che rispondeva
all’altisonante nome di Unione dei patrioti congolesi (Upc), ma non era
niente altro che una delle numerose sanguinarie milizie attive da anni
nel paese.

La
carriera militare dell’ex
capo ribelle è iniziata nel 1990
, quando, ad
appena 17 anni,
si unì al Fronte patriottico rwandese (Fpr), oggi al
potere
a Kigali (Rwanda).
Da allora, ha fatto parte di diversi gruppi armati e
nel gennaio 2008, dopo la cattura dell’ex generale
filorwandese Laurent
Nkunda
in Rwanda (che
sarebbe stato tradito
proprio da Ntaganda
), è diventato il leader dei
ribelli
tutsi del Cndp
(Congresso nazionale per
la difesa del popolo
). Il 23
marzo 2009
ha firmato un accordo di pace con il governo di
Kinshasa e,
nonostante si fosse macchiato di efferati crimini, venne integrato con
il grado di generale insieme a tutti i suoi uomini, nei ranghi
dell’esercito regolare congolese.

Nell’aprile
del 2012
, esasperato dalle
promesse non mantenute dell’allora presidente congolese
Joseph Kabila,
insieme a circa altri 700 soldati a lui fedeli
disertò, tornando sulle colline del Nord Kivu dove
creò il nuovo gruppo M23
(richiamandosi proprio
agli accordi
del 23 marzo 2009
) che nel giro di qualche mese
riuscì a
prendere Goma, capitale della provincia del Nord Kivu e
città strategica del Congo orientale.

Il
processo

Nel corso delle udienze cominciate il 2
settembre 2015, le decine di testimoni, tra cui un elevato numero di ex
bambini soldato, hanno fornito ai pubblici ministeri orribili
particolari sul trattamento riservato alle vittime delle violenze
dell’Upc. I giudici
hanno anche accertato che Ntaganda uccise
personalmente un sacerdote cattolico
. Gli attacchi della
milizia
paramilitare, composta principalmente da uomini di etnia Hema, presero
di mira specifici gruppi etnici come Lendu, Bira e Nande.

Gli attivisti per i diritti umani hanno
accolto favorevolmente la decisione della corte. «Coltiviamo
la speranza che il verdetto di oggi offra qualche consolazione alle
migliaia di persone colpite dai crimini di Ntaganda e spiani loro la
strada per ottenere finalmente giustizia
», ha
twittato
Amnesty International.

Mentre le organizzazioni congolesi che
hanno raccolto le prove per contribuire a garantire la condanna di
Ntaganda, hanno detto che altri sospetti criminali godono ancora di
impunità e che numerose atrocità continuano a
essere commesse nella Repubblica Democratica del Congo.

Bosco
Ntaganda era rimasto in
libertà per sette anni
dopo che nel 2006 la
Corte dell’Aja
aveva spiccato il mandato di arresto nei suoi confronti
,
suscitando
l’irritazione dei giudici del Tribunale internazionale per le
sue frequenti apparizioni in pubblico.

La
paura di essere ucciso dai suoi
stessi uomini

Poi, con una mossa a sorpresa, nel marzo
2013, si è consegnato all’ambasciata degli Stati Uniti a
Kigali, in Rwanda. I motivi all’origine della resa di Ntaganda,
potrebbero essere riconducibili alle guerre intestine che minarono
l’M23
e sancirono la sconfitta della fazione guidata dall’ex
signore della guerra, che per evitare di essere eliminato nella faida
interna si rifugiò all’interno dell’ambasciata
americana in Rwanda. Da dove chiederà di essere estradato
all’Aia per rispondere delle accuse formulate nei suoi confronti.

Bosco
Ntaganda è uno dei
cinque ex signori della guerra congolesi
che sono comparsi
dinanzi ai
giudici della Cpi
, istituita nel luglio 2002 per giudicare
i crimini
contro l’umanità, i crimini di guerra e i
genocidi, in qualunque posto e in qualunque momento siano stati
commessi.

Nel
luglio 2012
, la Corte ha condannato
a 14 anni di carcere il fondatore dell’Upc, Thomas Lubanga,
per la coscrizione forzata di bambini soldato, mentre negli anni
recenti ha prosciolto diversi imputati. Tuttavia, alcuni paesi africani
hanno ripetutamente accusato l’istituzione internazionale di
concentrare la propria azione solo sugli africani, mentre crimini di
guerra e contro l’umanità vengono compiuto in continuazione
ovunque, soprattutto in Asia e in Medio-Oriente.

Acqua Bene Primario

Senza acqua non c’è salute, né sviluppo

A livello globale, l’accesso all’acqua potabile è aumentato dal 77% del 1990 all’90% del 2012, ma nell’Africa Sub Sahariana solo tre persone su cinque si servono a fonti di acqua potabile vicine o nei pressi della propria abitazone. Per tutte le altre raggiungere un pozzo d’acqua salubre significa percorrere ogni giorno più di un chilometro.

Ancora milioni di bambini privi di acqua potabile e servizi igienici, 1.400 muoiono ogni giorno per la diarrea, dovuta all’acqua contaminata e a scarsa igiene. In Africa il difficile accesso all’acqua e l’inadeguatezza o inesistenza di servizi igienici impatta anche sul diritto all’istruzione, in particolare delle bambine.

Nella regione Sub-Sahariana il compito di raccogliere l’acqua per le proprie famiglie ricade sull’81% delle donne e bambine impedendo a quest’ultime di andare a scuola. La rinuncia all’istruzione alimenta a sua volta una condizione di povertà e disagio sociale, sia personale che collettivo. Un circolo perverso assolutamente da spezzare.

In questa regione migliaia di donne, bambini e bambine percorrono a piedi più di un chilometro ogni giorno per raggiungere un pozzo o una fonte di acqua potabile, indispensabile alla sopravvivenza del villaggio e della famiglia.

Senza acqua non c’è salute, né sviluppo. I danni all’agricoltura sono incalcolabili, il bestiame muore, le lezioni a scuola non si possono svolgere regolarmente.

La mancanza di acqua pulita costa ogni anno all’Africa Sub-Sahariana il 5% del suo PIL ed è legata, direttamente o indirettamente, all’80% delle malattie. Nella regione metà della malattie sono legate all’uso di acqua “sporca” o “contaminata”, e dalla mancanza di servizi igienici adeguati.

Nel mondo .. Su una popolazione di 7 miliardi di persone, 748 milioni non hanno ancora accesso a fonti di acqua salubre e 2,5 miliardi vivono in pessime condizioni igieniche. Fra di essi una quota rilevante è costituita da bambini e ragazzi sotto i 18 anni che non dispongono ancora di forniture sicure di acqua e che vivono senza servizi igienici adeguati.

Oggi sono sono 3 gli Stati, Repubblica Democratica del Congo, Mozambico e Papua Nuova Guinea, nei quali oltre metà della popolazione non ha ancora accesso a fonti adeguate di acqua potabile.

Nonostante i traguardi raggiunti, permangono grandi diseguaglianze. Dei 748 milioni di persone che nel mondo non hanno ancora accesso all’acqua, il 90% vive in aree rurali.

Per i bambini la mancanza di accesso all’acqua può essere tragica. Per donne e bambine c’è un prezzo ulteriore da pagare, il compito di recarsi a raccogliere acqua per la famiglia sottrae infatti enormi quantità di tempo allo studio o alla cura della famiglia. Nelle aree meno sicure, inoltre, donne e bambine sono esposte anche a rischi di violenza.

Per costruire un pozzo d’acqua in Africa, necessario a dissetare dalle 300 alle 500 persone, sono sufficienti soltanto 2-3 mila euro.

Campagne Informative

Foundation for Africa ritiene che sia fondamentale un'opera di sensibilizzazione rispetto a problematiche che spesso vengono sottovalutate e restano in secondo piano. Sottovalutate o addirittura ignorate dai media internazionali, dai governi occidentali, dalle istituzioni nazionali e sovra-nazionali.

Il continente africano, in particolare, vittima delle grandi potenze occidentali per secoli. Prima la deportazione di milioni di uomini e donne resi schiavi nel Nuovo Mondo, poi l'occupazione politica e sociale con la colonizzazione da parte di grandi Paesi europei che hanno imposto confini là dove non c'erano, costretto a convivere popoli tra di loro nemici oppure dividendo popolazioni ed etnìe. I Paesi europei in Africa hanno imposto le loro religioni, le loro lingue, hanno distrutto civiltà e tradizioni millenarie.

Per secoli i Paesi europei hanno rubato all'Africa ricchezze immense, costretto all'ignoranza generazioni di giovani e impedito la crescita di una classe dirigente africana illuminata. I Paesi europei, per la loro sete di ricchezza, hanno provocato guerre, imposto dittatori corrotti, sottomettendo popoli interi.

Oggi il furto delle ricchezze dell'Africa continua attraverso multinazionali occidentali, continua attraverso la massiccia presenza di eserciti stranieri, continua attraverso la corruzione capillare presente a tutti i livelli delle società africane, continua attraverso il controllo di importanti settori economici, e si continua ad impedire un pacifico e stabile sviluppo culturale e civile.

Si continua ad impedire all'Africa di utilizzare le proprie risorse e le proprie ricchezze

E, sempre oggi, sono proprio quegli stessi Paesi europei che per secoli hanno depauperato e impoverito l'Africa, e che continuano a rubare ricchezze all'Africa attraverso multinazionali sempre più ricche, che impediscono l'accoglienza degli africani che semplicemente cercano un "Mondo Migliore" in Europa.

E dopo aver rubato all'Africa di tutto, dopo che l'Europa è diventata ricca anche grazie ad intere generazioni di africani, questa stessa Europa va dicendo

"Aiutiamoli a casa loro"